hurt
10-04-2007, 21:22
Non è un segreto che Elvis amasse la voce da tenore di Shaun Nielsen.
Durante lo show del 1970 a Las Vegas, Presley lo presentava come “Il più grande tenore di Musica Gospel”.
Negli ultimi anni, Shaun divenne parte integrante della musica di Elvis, sia on stage che in studio. Si può sentire Shaun che canta insieme a lui “Spanish Eyes” e “Help Me” ed è Shaun che fa quell’alto falsetto alla fine di Unchained Melody. Ma, probabilmente, è più conosciuto in “O’ Sole Mio” come inizio di “It’s Now Or Never” ai concerti del 1976 e 1977 e l’insolita Softly As I Leave You dove Shaun canta ed Elvis recita le parole.
Nel 1966, Shaun incontrò Elvis per la prima volta in occasione dell’album gospel “How Great Thou Art”. Questo diede inizio ad una lunga amicizia tra i due ed alla firma di un contratto scritto personalmente da Elvis stesso. Questo contratto stabiliva che Shaun e il gruppo VOICE lo avrebbe seguito, avrebbe aperto i suoi spettacoli, sarebbero stati i vocalist nelle sue registrazioni e avrebbero scritto canzoni per la sua casa discografica. Non appena firmato il contratto, Elvis chiamò suo padre e disse “Papà, finalmente ho il mio gruppo personale”.
Shaun, una leggenda indiscussa della musica gospel, è l’unico ad essere inserito nel Gospel Music Hall of Fame, quale membro di tre diversi gruppi: The Speer Family, The Imperials e The Statemen. Il primo riconoscimento internazionale come solista arrivò con la canzone “Lights of LA”, entrando nella classifica del country.
D. Come hai iniziato?
Iniziai a cantare in chiesa quando avevo 4-5 anni. A scuola ero piuttosto famoso, perché riuscivo a battere tutti i ragazzi e riuscivo a cantare più alto delle ragazze (ride). Ero anche il più piccolo della classe, ma riuscii a farmi accettare perché cantavo e questa fu una cosa che mi spinse a continuare a cantare.
In casa avevo una vita infelice e mi consolavo cantando. A 14 anni, lasciai casa e andai a vivere con i miei nonni. Erano molto religiosi, ma nonostante questo sono cresciuto ascoltando Roy Orbison, Elvis e Sam Cooke, finendo col cantare gospel.
Era un’opportunità per cantare ed era quello che volevo.
D. Negli anni 50, ascoltavi molto Elvis?
SN. Ricordo che, come tutti i teenager, stavo seduto in macchina con la capotta aperta, e Houd Dog a tutto volume. Mi piaceva, era divertente. La cosa simpatica è, che mi piaceva la sua musica, ma non sono stato un grande fan, fino a che non l’ho conosciuto. Non avevo molte occasioni per ascoltarlo, perché ero troppo impegnato a girare con il gospel. In un anno, con gli Imperials, avevamo 200 date.
D. Sono sempre stato un tuo grande fan, non solo per Elvis, ma in quanto fan della tua musica. La mia preferita sarebbe Soflty As I Leave You”. Hai davvero un talento divino.
SN. Grazie mille, grazie per quello che dici. Sì è una canzone molto speciale.
D. Era la preferita di Elvis?
SN. Quello era uno dei duetti che facevamo. La storia è…. vuoi sapere come nasce?
D. Magari
SN. Eravano nel suo camerino all’Hilton. Bob Gary aveva raccontato la storia dell’uomo morente ad Elvis, ed Elvis stava raccontando questa storia.
Io conoscevo la canzone, l’avevo cantata in passato. Mi sedetti al pianoforte per suonarla, piano piano. Mentre suonavo e cantavo, Elvis iniziò a leggere i versi, dietro a me, come facevamo sul palco e suo padre disse: Elvis, è bella perché non la fate on stage? Elvis disse: è una bella idea. Qualcuno doveva trovare Glen D. Si creò una squadra di ricerca per andare a cercare Glen. Lo trovarono e lo portarono nel back stage. L’abbiamo preparata in tutta fretta nel backstage e l’abbiamo cantata quella sera stessa, ottenendo un’ enorme accoglienza. La primissima volta che l’abbiamo fatta assieme, ero nell’angolo fuori dalla luce. La notte successiva Elvis volle essere sicuro, che ci fosse luce anche su di me….. tanto per dire com’era.
D. E’ vero. Ho parlato anche con Kathy Westmoreland e ha detto che faceva questo: quando ti esibivi, il palco era tuo non suo. Non tanti performer lo fanno.
SN. E’ verissimo e posso fartene un esempio. Io facevo parte di un gruppo. Facevamo uno show per un cantante molto famoso. Aprivamo lo show per lui con “You Can’t Be A Beacon, If Your Light Don’t Shine” e alla fine avevamo sempre una standing ovation. Sai, noi eravamo là per cantare con questa persona. Così invece di farci aprire, veniva e diceva che uno di noi aveva mal di gola e quindi non potevamo uscire. Così, praticamentente, venivamo rimpiazziati da una specie di elefante (ride). Ma questa era una persona molto insicura, mentre Elvis no…… anzi era orgoglioso della sua gente. Tutti coloro che facevano parte dello show erano al top. Tutti erano stati scelti da lui, quindi era orgoglioso di noi.
Lui non avrebbe mai fatto una cosa simile, non gli sarebbe mai venuto in mente che noi fossimo in competizione con lui.
D. Mi racconti come sono nati i Voice?
SN. Eravamo seduti tutt’insieme e si parlava di una rivista religiosa. Io avevo un libro, che qualcuno mio aveva rubato (ride). Era un periodico religioso, con un disegno. Non ricordo cos’era, ma io dissi Voice, prendendolo dalla copertina del giornale. Avrebbe potuto chiamarci in qualsiasi altro modo e a me sarebbe, comunque, andato bene. Invece Elvis decise di chiamarlo così.
Sai, la cosa che distingueva il gruppo era che, quando “siamo stati assunti” ci chiamò immediatamente “il suo gruppo!” e disse “Papà, finalmente ho il mio gruppo personale!”. Ci vedeva come il SUO gruppo. Noi non eravamo a sostituire un altro gruppo, che era stato licenziato.
Aveva l’abitudine di farmi salire nella sua stanza e mi ricordo che, quando viaggiavamo sul “Lisa Marie”, mi chiamava nella sua camera da letto per chiacchierare di cose che succedevano nel suo gruppo (ride)
D. Parlavi di religione con lui?
SN. Sì ! C’erano volte che ci sedevamo nella sua camera, io e lui. Mi insegnava, si fa per dire (ride), io ascoltavo, ma diciamo che mi divertivo, perché non capivo di cosa parlava.
D. Ci racconti come hai iniziato nel Music Business?
SN. Allora, nel 1963 noi organizzammo “The Imperials”. Io ero un back tenor a Montgomery, Alabama, dove sono nato. Avevo cantato alla High School. Mi è sempre piaciuto cantare. Il gospel era molto popolare nel sud. Essendo un tenore ero molto richiesto, perché un buon tenore è difficile da trovare. Era qualcosa che mi arrivava con facilità. Avevo fatto un sacco di lavori, ma cantare era meglio che lavorare in un lavaggio macchine. Avevo bisogno di crearmi qualcosa che mi estraniasse da tutto questo. Mio nonno era solito dire “Figliolo, è meglio se ti cerchi un lavoro regolare. Non puoi vivere cantando”.
Tutto ciò è divertente perché il padre di Elvis gli disse pressoché la stessa cosa (ride).
Sai com’è, lui aveva lavorato duro nella sua vita, e certamente non poteva capire come potevo fare soldi cantando, ma alla fine sono stato fortunato.
A 18 anni iniziai a cantare con un gruppo che si chiamava “SONG FELLAS”. Andai a Nashville per registrare un album. Ricordo che, per il suono, avevano tappezzato le pareti cassette di uova. Il colore dell’album era giallo con una mia foto. Molto scialbo. C’era questo programma radiofonico a Nashville. Il ragazzo che mi accompagnò chiese loro se potevo cantare alla radio. Avevo lo smoking. Poi mi venne raccontato che mi avevano permesso di cantare, per il modo in cui ero vestito (ride). Così mi mandò in onda e io finii il programma.
E nel 1964 ci furono gli Imperials ed è stato quando ho incontrato Elvis. Ero lì per fare “How Great Thou Art”.
D. Com’era Elvis quando lo incontrasti per la prima volta? E come avvenne?
SN. E’ qualcosa di ben impresso nella mia memoria. Ricordo che ero in piedi in un angolo, cercando quasi, di sembrare parte della tappezzeria. Ero piuttosto intimidito da tutti i talenti che c’erano. Non ne avevo mai visti così tanti in una stanza.
Eravamo nello studio B di Nashville. Elvis camminava nello studio ed indossava un completo stupendo che aveva comprato in Beale Street. Cappello nero, mantello nero, accessori neri e ricordo che iniziò a guardarsi intorno e a salutare tutti. Letteralmente by-passò le grandi teste di New York e andò a salutare i musicisti. Penso che si sentisse più a suo agio con noi. Si diresse verso dove mi trovavo io. Mi si avvicinò e dandomi la mano disse “Ciao, io sono Elvis Presley” e io ridacchiai ……come se non sapessi chi era. Il modo in cui era vestito lo rendeva grande. Su di me sarebbe stato ridicolo, ma lui stava bene con qualsiasi cosa. In ogni caso disse: “Voglio che tu sappia che ho tutti i tuoi dischi e sono sempre stato un tuo grande fan. Ti ho visto in tv e sei uno dei miei cantanti preferiti. Questa cosa mi conquistò…. Lì, davanti a me Elvis Presley stava dicendo queste cose di me. Balbettai guardandomi in giro per verificare se stava parlando a qualcun altro.
Dissi: Grazie signore, non avrei mai immaginato che sapesse chi sono io.
Lui disse: Invece ho seguito la tua carriera, ho tutti i tuoi dischi. C’è una canzone che hai inciso, che voglio mettere nel mio nuovo album. Ti va di sederti e farla con me? Così mi sedetti al pianoforte e ci girammo intorno per un po’, fino a che venne bene. Facevamo “Where No One Stands Alone”.
Ogni cosa doveva essere fatta al meglio. Avrebbe cantato anche tutta la notte fino a che non fosse venuta come la voleva lui.
Aveva questa irresistibile qualità di far sentire chiunque speciale, non un cantante sul libro paga.
D. Era un uomo gentile?
SN. Molto carino e gentile, era un gentleman del sud.
D. Il suo modo di incidere era diverso dal tuo?
SN. Non per me, perché lui voleva farlo nel modo giusto. La ripeteva fino a che non era perfetta. Di diverso c’era il fatto che non doveva preoccuparsi del tempo in studio e di quanto costasse. Normalmente non arrivava prima di mezzanotte e si poteva andare avanti fino alle 10 o 11, ma nel frattempo si faceva un giro, scherzava, parlava con tutti, tanto per rilassarsi, fino a che non era pronto per riprendere. Questa era una cosa unica, perché di solito quando si fanno le registrazioni si trotta: l’orologio parla e il tempo costa. Ma lui non si preoccupava (ride)
Durante lo show del 1970 a Las Vegas, Presley lo presentava come “Il più grande tenore di Musica Gospel”.
Negli ultimi anni, Shaun divenne parte integrante della musica di Elvis, sia on stage che in studio. Si può sentire Shaun che canta insieme a lui “Spanish Eyes” e “Help Me” ed è Shaun che fa quell’alto falsetto alla fine di Unchained Melody. Ma, probabilmente, è più conosciuto in “O’ Sole Mio” come inizio di “It’s Now Or Never” ai concerti del 1976 e 1977 e l’insolita Softly As I Leave You dove Shaun canta ed Elvis recita le parole.
Nel 1966, Shaun incontrò Elvis per la prima volta in occasione dell’album gospel “How Great Thou Art”. Questo diede inizio ad una lunga amicizia tra i due ed alla firma di un contratto scritto personalmente da Elvis stesso. Questo contratto stabiliva che Shaun e il gruppo VOICE lo avrebbe seguito, avrebbe aperto i suoi spettacoli, sarebbero stati i vocalist nelle sue registrazioni e avrebbero scritto canzoni per la sua casa discografica. Non appena firmato il contratto, Elvis chiamò suo padre e disse “Papà, finalmente ho il mio gruppo personale”.
Shaun, una leggenda indiscussa della musica gospel, è l’unico ad essere inserito nel Gospel Music Hall of Fame, quale membro di tre diversi gruppi: The Speer Family, The Imperials e The Statemen. Il primo riconoscimento internazionale come solista arrivò con la canzone “Lights of LA”, entrando nella classifica del country.
D. Come hai iniziato?
Iniziai a cantare in chiesa quando avevo 4-5 anni. A scuola ero piuttosto famoso, perché riuscivo a battere tutti i ragazzi e riuscivo a cantare più alto delle ragazze (ride). Ero anche il più piccolo della classe, ma riuscii a farmi accettare perché cantavo e questa fu una cosa che mi spinse a continuare a cantare.
In casa avevo una vita infelice e mi consolavo cantando. A 14 anni, lasciai casa e andai a vivere con i miei nonni. Erano molto religiosi, ma nonostante questo sono cresciuto ascoltando Roy Orbison, Elvis e Sam Cooke, finendo col cantare gospel.
Era un’opportunità per cantare ed era quello che volevo.
D. Negli anni 50, ascoltavi molto Elvis?
SN. Ricordo che, come tutti i teenager, stavo seduto in macchina con la capotta aperta, e Houd Dog a tutto volume. Mi piaceva, era divertente. La cosa simpatica è, che mi piaceva la sua musica, ma non sono stato un grande fan, fino a che non l’ho conosciuto. Non avevo molte occasioni per ascoltarlo, perché ero troppo impegnato a girare con il gospel. In un anno, con gli Imperials, avevamo 200 date.
D. Sono sempre stato un tuo grande fan, non solo per Elvis, ma in quanto fan della tua musica. La mia preferita sarebbe Soflty As I Leave You”. Hai davvero un talento divino.
SN. Grazie mille, grazie per quello che dici. Sì è una canzone molto speciale.
D. Era la preferita di Elvis?
SN. Quello era uno dei duetti che facevamo. La storia è…. vuoi sapere come nasce?
D. Magari
SN. Eravano nel suo camerino all’Hilton. Bob Gary aveva raccontato la storia dell’uomo morente ad Elvis, ed Elvis stava raccontando questa storia.
Io conoscevo la canzone, l’avevo cantata in passato. Mi sedetti al pianoforte per suonarla, piano piano. Mentre suonavo e cantavo, Elvis iniziò a leggere i versi, dietro a me, come facevamo sul palco e suo padre disse: Elvis, è bella perché non la fate on stage? Elvis disse: è una bella idea. Qualcuno doveva trovare Glen D. Si creò una squadra di ricerca per andare a cercare Glen. Lo trovarono e lo portarono nel back stage. L’abbiamo preparata in tutta fretta nel backstage e l’abbiamo cantata quella sera stessa, ottenendo un’ enorme accoglienza. La primissima volta che l’abbiamo fatta assieme, ero nell’angolo fuori dalla luce. La notte successiva Elvis volle essere sicuro, che ci fosse luce anche su di me….. tanto per dire com’era.
D. E’ vero. Ho parlato anche con Kathy Westmoreland e ha detto che faceva questo: quando ti esibivi, il palco era tuo non suo. Non tanti performer lo fanno.
SN. E’ verissimo e posso fartene un esempio. Io facevo parte di un gruppo. Facevamo uno show per un cantante molto famoso. Aprivamo lo show per lui con “You Can’t Be A Beacon, If Your Light Don’t Shine” e alla fine avevamo sempre una standing ovation. Sai, noi eravamo là per cantare con questa persona. Così invece di farci aprire, veniva e diceva che uno di noi aveva mal di gola e quindi non potevamo uscire. Così, praticamentente, venivamo rimpiazziati da una specie di elefante (ride). Ma questa era una persona molto insicura, mentre Elvis no…… anzi era orgoglioso della sua gente. Tutti coloro che facevano parte dello show erano al top. Tutti erano stati scelti da lui, quindi era orgoglioso di noi.
Lui non avrebbe mai fatto una cosa simile, non gli sarebbe mai venuto in mente che noi fossimo in competizione con lui.
D. Mi racconti come sono nati i Voice?
SN. Eravamo seduti tutt’insieme e si parlava di una rivista religiosa. Io avevo un libro, che qualcuno mio aveva rubato (ride). Era un periodico religioso, con un disegno. Non ricordo cos’era, ma io dissi Voice, prendendolo dalla copertina del giornale. Avrebbe potuto chiamarci in qualsiasi altro modo e a me sarebbe, comunque, andato bene. Invece Elvis decise di chiamarlo così.
Sai, la cosa che distingueva il gruppo era che, quando “siamo stati assunti” ci chiamò immediatamente “il suo gruppo!” e disse “Papà, finalmente ho il mio gruppo personale!”. Ci vedeva come il SUO gruppo. Noi non eravamo a sostituire un altro gruppo, che era stato licenziato.
Aveva l’abitudine di farmi salire nella sua stanza e mi ricordo che, quando viaggiavamo sul “Lisa Marie”, mi chiamava nella sua camera da letto per chiacchierare di cose che succedevano nel suo gruppo (ride)
D. Parlavi di religione con lui?
SN. Sì ! C’erano volte che ci sedevamo nella sua camera, io e lui. Mi insegnava, si fa per dire (ride), io ascoltavo, ma diciamo che mi divertivo, perché non capivo di cosa parlava.
D. Ci racconti come hai iniziato nel Music Business?
SN. Allora, nel 1963 noi organizzammo “The Imperials”. Io ero un back tenor a Montgomery, Alabama, dove sono nato. Avevo cantato alla High School. Mi è sempre piaciuto cantare. Il gospel era molto popolare nel sud. Essendo un tenore ero molto richiesto, perché un buon tenore è difficile da trovare. Era qualcosa che mi arrivava con facilità. Avevo fatto un sacco di lavori, ma cantare era meglio che lavorare in un lavaggio macchine. Avevo bisogno di crearmi qualcosa che mi estraniasse da tutto questo. Mio nonno era solito dire “Figliolo, è meglio se ti cerchi un lavoro regolare. Non puoi vivere cantando”.
Tutto ciò è divertente perché il padre di Elvis gli disse pressoché la stessa cosa (ride).
Sai com’è, lui aveva lavorato duro nella sua vita, e certamente non poteva capire come potevo fare soldi cantando, ma alla fine sono stato fortunato.
A 18 anni iniziai a cantare con un gruppo che si chiamava “SONG FELLAS”. Andai a Nashville per registrare un album. Ricordo che, per il suono, avevano tappezzato le pareti cassette di uova. Il colore dell’album era giallo con una mia foto. Molto scialbo. C’era questo programma radiofonico a Nashville. Il ragazzo che mi accompagnò chiese loro se potevo cantare alla radio. Avevo lo smoking. Poi mi venne raccontato che mi avevano permesso di cantare, per il modo in cui ero vestito (ride). Così mi mandò in onda e io finii il programma.
E nel 1964 ci furono gli Imperials ed è stato quando ho incontrato Elvis. Ero lì per fare “How Great Thou Art”.
D. Com’era Elvis quando lo incontrasti per la prima volta? E come avvenne?
SN. E’ qualcosa di ben impresso nella mia memoria. Ricordo che ero in piedi in un angolo, cercando quasi, di sembrare parte della tappezzeria. Ero piuttosto intimidito da tutti i talenti che c’erano. Non ne avevo mai visti così tanti in una stanza.
Eravamo nello studio B di Nashville. Elvis camminava nello studio ed indossava un completo stupendo che aveva comprato in Beale Street. Cappello nero, mantello nero, accessori neri e ricordo che iniziò a guardarsi intorno e a salutare tutti. Letteralmente by-passò le grandi teste di New York e andò a salutare i musicisti. Penso che si sentisse più a suo agio con noi. Si diresse verso dove mi trovavo io. Mi si avvicinò e dandomi la mano disse “Ciao, io sono Elvis Presley” e io ridacchiai ……come se non sapessi chi era. Il modo in cui era vestito lo rendeva grande. Su di me sarebbe stato ridicolo, ma lui stava bene con qualsiasi cosa. In ogni caso disse: “Voglio che tu sappia che ho tutti i tuoi dischi e sono sempre stato un tuo grande fan. Ti ho visto in tv e sei uno dei miei cantanti preferiti. Questa cosa mi conquistò…. Lì, davanti a me Elvis Presley stava dicendo queste cose di me. Balbettai guardandomi in giro per verificare se stava parlando a qualcun altro.
Dissi: Grazie signore, non avrei mai immaginato che sapesse chi sono io.
Lui disse: Invece ho seguito la tua carriera, ho tutti i tuoi dischi. C’è una canzone che hai inciso, che voglio mettere nel mio nuovo album. Ti va di sederti e farla con me? Così mi sedetti al pianoforte e ci girammo intorno per un po’, fino a che venne bene. Facevamo “Where No One Stands Alone”.
Ogni cosa doveva essere fatta al meglio. Avrebbe cantato anche tutta la notte fino a che non fosse venuta come la voleva lui.
Aveva questa irresistibile qualità di far sentire chiunque speciale, non un cantante sul libro paga.
D. Era un uomo gentile?
SN. Molto carino e gentile, era un gentleman del sud.
D. Il suo modo di incidere era diverso dal tuo?
SN. Non per me, perché lui voleva farlo nel modo giusto. La ripeteva fino a che non era perfetta. Di diverso c’era il fatto che non doveva preoccuparsi del tempo in studio e di quanto costasse. Normalmente non arrivava prima di mezzanotte e si poteva andare avanti fino alle 10 o 11, ma nel frattempo si faceva un giro, scherzava, parlava con tutti, tanto per rilassarsi, fino a che non era pronto per riprendere. Questa era una cosa unica, perché di solito quando si fanno le registrazioni si trotta: l’orologio parla e il tempo costa. Ma lui non si preoccupava (ride)