Re: Intervista A Donnie Sumner
Riprendo questa intervista postata 2 anni fa, per integrarla con una nuova, che ho trovato sul web
Per quanto alcune domande e risposte siano simili a quella precedente, in questa ho intravisto un Donnie Sumner talmente onesto in alcune sue considerazioni riguardanti Elvis, che ho pensato valesse la pena di tradurla e postarla per tutti coloro che hanno voglia di conoscere qualcosa in più su Elvis Presley come persona e come artista.
Spero vi faccia piacere e vi auguro una buona lettura.
Ciao  
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Nipote di JD Sumner e membro del quartetto degli Stamps, Donnie diede un notevole contributo alla musica di Elvis in molte incisioni e durante i concerti. Dopo una lunga carriera alle spalle ora Donnie è un pastore e ci parla del suo periodo con Elvis Presley e della sua vita personale.
D. Donnie, diamo inizio a questa intervista, parlandoci di te e del tuo background musicale
DS. Mio padre era un predicatore pentecostale e per la maggior parte della mia vita la musica ne ha fatto parte. Ho frequentato il college, mi sono diplomato in musica e ho fondato il mio primo gruppo nel 1960. Ho sempre cantato musica gospel e oggi festeggio i miei 40 anni e mezzo di musica.
D. Quando hai incontrato Elvis per la prima volta?
DS. Fu nel 1959. A quel tempo, mio zio JD viveva a Memphis e faceva parte dei Blackwood Brother. Venne a sapere che Elvis stava per registrare e io avevo scritto alcune canzoni. Così si mise in contatto con Charlie Hodge per fare sì che io potessi andare da Elvis e cantare alcune delle mie canzoni per lui. A quel punto io e JD ci recammo a Graceland. Charlie ci venne incontro ai cancelli, entrammo e fu così che incontrai Elvis per la prima volta. Ne rimasi molto impressionato, perché avrei dovuto fare più di quello che mi aspettavo e dovetti cantare parecchio. Elvis mi disse di non aver paura e di cantare. Avevo 17 anni. E’ inevitabile essere nervosi quando sei un ragazzino del Tennesse, nel sud degli Stati Uniti e, di punto in bianco ti ritrovi a cantare le tue canzoni per Elvis Presley!! (ride)
D. Quale fu la tua prima impressione su di lui?
DS. Prima di tutto che uomo era!!! Quanto era macho e quanto era bello!! La cosa che mi colpì maggiormente era che si trattava di una persona molto semplice, molto gentile ed era molto educato. Non era uno che snobbava. Semplicemente era uno di noi e questa fu la cosa che mi impressionò più ancora della sua bellezza.
D. Nel 1972 andasti anche tu a Las Vegas per fare la tua prima apparizione con Elvis. Poco dopo ti ritrovasti in tour con lui per tutti gli Stati Uniti. Com’era la vita sulla strada con una star del suo calibro?
DS. Vivevamo al minuto. Ci svegliavamo alle 12 o 13 del pomeriggio e bighellonavamo in giro fino a che, a sera, Elvis non era pronto. A quel punto andavano in salotto e guardavamo la televisione, ridevamo, parlavamo e cantavamo fino alle 3 o 4 del mattino, ora in cui andavamo a letto. Quando era in tour succedeva la stessa cosa tutte le notti e tutti i giorni.
D. La prima session di studio con lui avvenne nel Marzo dello stesso anno. Cosa significava lavorare con lui in studio?
DS. La prima registrazione che facemmo insieme fu durante l’ON TOUR e quello era il nostro primo tour. Avevo partecipato a molte session, ma mai a una come quella. Di solito, quando si doveva registrare, ti mettevano in una stanza isolata e tutti stavano molto attenti ad evitare rumori di qualsiasi tipo. Invece, nel caso della prima session con Elvis, la cosa che mi sorprese fu che durante le registrazioni lui teneva in mano il microfono e camminava in giro per lo studio. Mentre la band stava al centro dello studio, lui camminava per lo studio e si comportava come se fosse sul palco, mentre i backup singers stavano da un lato. Non so come separassero le tracce, ma in qualche modo veniva fatto. La canzone che registrammo quella prima sera di session fu “Separate Ways”. Anzi, se non sbaglio la prima canzone ad essere registrata fu “Always On My Mind”, mentre “Separate Ways” fu la seconda o la terza. JD ed Elvis rimasero seduti al centro dello studio e, per almeno 2 ore e mezza, ascoltarono quella la canzone a ripetizione. Quella fu l’ultima canzone che registrammo quella sera.
D. Nel documentario Elvis On Tour, che vinse il Golden Globe, tu sei stato filmato in un momento molto toccante, mentre cantavi The Lighthouse, un brano gospel. Raccontaci un po’ di questo momento intimo e di grande ispirazione.
DS. Quando andammo alla session di registrazione, la situazione presentava un’evidente stanchezza e nervosismo. Quando Charlie si rendeva conto che Elvis si stava preoccupando per qualcosa, non importa cosa stessimo facendo in quel momento, nel bel mezzo della session, andava a sedersi al pianoforte e suonava qualcosa, brani come “Wasted years” “Sweet By and By” e cose simili. Non appena Elvis le sentiva, era come un cane quando gli passa vicino un autobus………. rizzava le orecchie e inseguiva l’autobus (ride). Quando sentiva suonare quei lenti canti gospel, si avvicinava al pianoforte, senza preoccuparsi di altro.
Questo è quanto successe quella notte. Charlie andò al piano ed iniziò a cantare “Wasted years, Wasted Years, Oh how Foolish………” Elvis lo raggiunse e iniziò a cantare e poco dopo volle che ci unissimo anche noi, per cantare alcune canzoni degli Stamps. Ma Charlie non le conosceva e non sapeva come suonarle, così al piano mi sedetti io e cantammo 2 o 3 vecchie canzoni degli Stamps…. “When Its My Time, I Can Feel The Touch Od His Hand”. Poi Elvis chiese di ascoltare “The Lighthouse” e così la cantai. Rimasi molto sorpreso quando uscì il documentario e vidi che includeva quella canzone cosi particolare. Mi sentii troppo piccolo per essere parte degna di quel documentario.
D. A questo riguardo, Elvis diceva che le session di tarda notte spesso si svolgevano nella sua suite dell’hotel. Cosa ti ricordi di quelle notti?
D. Quando stavo con gli Stamps, da Nashville raggiungevamo in macchina casa sua e stavamo da lui tutta la notte, dove cantavamo brani gospel tutta la notte. Questa cosa andò avanti per 3 anni. Poi io lasciai gli Stamps ed organizzai un gruppo tutto mio che si chiamava Tennessee Rangers, nome che successivamente Elvis chiamò Voice. Ci esibivamo al Grand Ole Opry, eravamo un gruppo country, ma alla fine tornammo a lavorare per Elvis per poter cantare brani gospel per lui, di notte, a casa sua.
Questa cosa durò 3 anni, senza alcuna eccezione e con questo intendo che avveniva quasi ogni sera. Considera che, nell’ultimo anno che stavo con lui, andai a casa mia solo per 12 giorni. Il resto del tempo stavamo con Elvis e ogni notte ci chiamava per cantare gospel con lui. Non amava molto i brani veloci. Il più delle volte voleva cantare brani lenti, dolci, del genere gospel del sud. Spesso la gente si chiede qual’era la sua canzone preferita e io posso assicurarti che adorava “In the Sweet By and By”, con Shaun Nielsen che faceva i passi alti da tenore. Una sera abbiamo cantanto ogni verso 18 volte, verso per verso, una volta dopo l’altra. Altre canzoni che adorava erano Why Me Lord, Help Me, An Evening Prayer. Adorava anche Wasted Years. Gli piacevano molto le vecchie canzoni degli Stamps e dei Blackwood Brothers.
D. Elvis era un uomo molto religioso, spesso alla ricerca del significato della vita e studiava le altre religioni. Tu ed Elvis avete mai condiviso conversazioni sulla fede e la vita?
DS. I quel periodo non era un Cristiano praticante e io non feci nulla per tentare di convincerlo in qual che sia religione. Di tanto in tanto mi chiamava in camera sua. Credo che il motivo fosse perché essendo mio padre un predicatore, riteneva che io sapessi tutto (ride) e, pertanto, mi faceva delle domande. Infatti, il libro che sto scrivendo si chiama “In The Shadow With Kings” , dove racconto la mia storia e dove spiego tutto sulla mia adozione, su mio zio JD, su Elvis il mio capo e su Cristo in quanto mio maestro. Quelli sono stati i re della mia vita.
Nel capitolo “Cos’è un Cristiano?” parlo di quando Elvis mi chiamò in camera sua e mi disse “Donnie, voglio farti una domanda” Io chiesi “Di cosa si tratta, capo?” Credo che avesse ascoltato Rex Humbard, visto che lo ascoltava spesso… così mi disse “Ho sentito qualcuno che chiedeva ….sei cristiano? Io non so cosa significhi veramente. Cosa vuol dire?” Iniziai a spiegargli che secondo i principi della Bibbia, un cristiano crede che Gesù sia morto per i nostri peccati e se accetti questo, Lui diventa il Signore della tua vita e riceverai il perdono che già ti ha riservato. Così tu diventi parte del suo corpo e, visto che sei parte del suo corpo, allora sei un Cristiano, grazie al suo nome. Questo non ti rende perfetto, ma significa che rinasci. Inoltre i seguaci dei principi della Bibbia credono che avranno una rinascita e questo, un giorno, farà avere loro la chiave santa per aprire la porta del Paradiso. Noi crediamo che solo con la rinascita puoi avere la vita eterna.
Questo fu il tono della nostra conversazione. Dopo questa, non credo che abbiamo avuto altre occasioni di affrontare argomenti sulla teologia cristiana, ma so che probabilmente Elvis era la persona con più presa di coscienza verso Dio, che io abbia mai conosciuto. Era enormemente interessato alle religioni orientali e studiava in continuazione. Aveva un libro che si chiamava “Il Profeta”, di cui regalò una copia a tutti noi. La leggeva in continuazione, e poi ancora e ancora. Entrava in meditazione trascendentale e, per noi, era una specie di guru. Di tanto in tanto facevamo meditazione. Prendevamo un cuscino, indossavamo una vestaglia e meditavamo. Non c’è niente di tutto questo che ti porti in Paradiso, ma si limita ad essere una presa di coscienza di Dio.
Elvis era un ricercatore, anzi, molto probabilmente lui è stato il ricercatore più diligente che io abbia mai conosciuto.
D. Negli anni ’70, Elvis andava spesso alle conventions di gospel, alle volte per vedere le esibizioni degli Stamps. Ti ricordi qualcosa di quei momenti?
DS. Ricordo tutto perché ero là. La prima volta andò all’Ellis Auditorium, mentre a Nashville venne solo 2 o 3 volte. In entrambi i casi, JD aveva organizzato uno stand da 16x 24, con un lato completamente aperto, un impianto di monitors e l’aria condizionata. Mia nonna, JD, mia zia e tutta la mia famiglia stavamo in questo stand e poteva essere considerata la nostra area riservata. Quando Elvis arrivava, stava anche lui con JD. Si sapeva subito quando c’eravamo io e JD, ma quando c’era anche Elvis nessuno stava con noi, perché c’era sempre una folla che circondava lo stand per aspettare Elvis (ride). La prima volta che venne, fu a Memphis. Era l’ottobre del 1965 e io stavo cantando “I Can not fail the Lord”. Iniziai a cantare la canzone ed arrivò Elvis, dirigendosi nell’ala dove si trovava JD. Non l’avevo visto arrivare. Devi sapere che, verso la fine della canzone, io prendevo sempre un nota alta e la mantenevo per un tempo lungo. Invece quella sera, a quel punto della canzone guardai JD e oltre le sue spalle vidi Elvis in piedi. Fu così che persi la nota. (ride).
D. Nel 1973 andasti nuovamente in studio e più precisamente negli studi della Stax di Memphis. Cosa ti ricordi?
DS. Mi stupii che Elvis andasse agli Stax Studios. Non erano niente di speciale. Era solo uno studio carino, ma niente di che. Quello che però ricordo è che per la maggior parte di quelle sessions fece una canzone che si chiamava “Three Corn Patches” e non riuscivamo ad andare avanti, perché ogniqualvolta Elvis iniziava a cantare il verso “Three Corn Patches”, nella sua testa passava l’immagine di quelle vecchie persone in piedi (ride) e scoppiava a ridere. Ti spiego: qui negli USA esiste una cosa che noi chiamiamo “corn”, inteso come calli e per sopportarli, sopra si applica una specie di cerotto. Questi cerotti vengono chiamati “corn Patches”. Quando iniziava a dire “Three Corn Patches”, Elvis non riusciva trattenersi e scoppiava a ridere, senza riuscire a smettere e , di conseguenza non eravamo in grado di proseguire e fare una buona take. Non era certo la canzone giusta per iniziare, ma ci lavorammo sopra per almeno 3 ore e mezza, senza riuscire comunque a terminarla per il troppo ridere.
D. Più avanti, quello stesso anno, Elvis registrò due tue composizioni: “Mr. Songman” e “I Miss You”. Parlaci di queste canzoni.
A cosa pensavi mentre le scrivevi e come fu che Elvis decise di inciderle?
DS. Scrissi entrambe le canzoni nella stessa notte. Mia moglie mi aveva lasciato qualche settimana prima e io ero andato a casa per parlarle, ma lei non era in città, perché partita per la Florida insieme ai nostri figli, a trovare sua madre. Così quando andai in centro a Nashville, non c’era nessuno tranne me. Mi avviai nella Broadway ed entrai in uno squallido ristorante che si chiamava Line Bughs, Era dove le………..per renderla più folk, potrei definirla “la strada dalla vita notturna”.
Erano le 3 o 4 del mattino e stavo seduto in uno dei separé. Ogni separé aveva un jukebox privato incassato nella parete e io mettevo tutte quelle canzoni che dicevano “Lei se n’è andata e mi ha lasciato. Il mio cuore è spezzato e mi sento un cane” (ride) e mi venne l’idea di “Mr. Songman”. La canzone fu scritta per dedicarla ad un jukebox del Line Bughs. Più tardi tornai al mio motel e scrissi “I Miss You”.
Il motivo per cui Elvis la registrò fu che, mentre eravamo a Palm Springs, il colonnello chiamò Elvis e disse “Devi fare un disco altrimenti violiamo il contratto”. Allora Elvis disse “Non farò nessun disco”. Al che il Colonnello rispose: “Lo farai, eccome” Allora Elvis aggiunse “Bene, dì alla RCA che se vogliono averlo devono venire qui, perché io non verrò a Los Angeles”. La settimana dopo c’erano due camion davanti la casa di Elvis. Avevano portato microfoni e tutto ciò che serviva per una registrazione. Elvis disse: “Cosa registriamo? Non abbiamo nessuna canzone!!” (ride) Charlie disse: “Donnie ha scritto alcune canzoni. Tim Baty ne ha scritta qualcuna.” Allora Elvis disse “Va bene facciamole”. Così la prima cosa che fu fatta furono le mie canzoni. “Mr. Songman” e “I Miss You”. Poi Elvis sembrò impazzito e iniziò a fare brani rockabilly già fatti da altri, semplicemente perchè li conosceva . Non gli interessava chi li avesse incisi, cercava solo di preparare un disco per la RCA!
La sera prima, Sherril Nielsen aveva fatto un trapianto di capelli e si ritrovava con 200 punti che partivano dalla nuca e arrivavano fino in fronte. Il mattino seguente era imbottito di antidolorifici. Inoltre per fare “Are You Sincere”, non c’erano musicisti a disposizione. C’ero solo io che suonavo il piano elettrico e Tim Baty che suonava la chitarra acustica. Quel giorno i tecnici della RCA dovevano riportare tutta l’attrezzatura a Los Angeles, registrare la voce di Elvis e sovra incidervi qualsiasi cosa. Quando stavamo registrando “Are You Sincere” chiedemmo a Kathy di fare lei il tono alto finale di “are you sincere”. A quel punto del brano, a Sherill Nielsen uscì una voce alquanto graffiata e quando Elvis cantò l’ultima nota, Sherill fece la parte finale che era di un quarto più bassa. A quel punto Sherill disse “Ragazzi, sono ben felice che non venga usata questa e che invece mettano la voce di qualcun altro!” Elvis rispose “Questa è la prima volta che sento il tuo tono basso e anche il mondo deve sentirlo! Bene, la RCA farà uscire il disco con alla fine la voce di Sherill più bassa che mai! (ride)
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