Grazie Hurt per aver tradotto e postato questa intervista.
Mi sembra che Donnie Sumner abbia fatto un ritratto di Elvis molto equilibrato, nel quale sa guardare a lui sia come artista che come persona senza puntare il dito per giudicare, ma avendo l'onestà di ammettere che ciò che faceva Elvis era nè più e nè meno quello che facevano tutti loro...e c'era anche chi faceva di peggio...
Inutile dire che la frase che più mi è rimasta impressa è questa:
"Sono fiero di te, Donnie. Vorrei poterlo fare anche io. Vorrei andarmene e ricominciare solo pensando a me. Ma questo non è possibile, io devo continuare ad essere Elvis Presley. Ricordati però che se hai bisogno di un amico sai dove trovarmi. Ti voglio bene".
Un'ulteriore conferma di quanto Elvis non ne potesse più della vita che faceva, di quanto fosse prigioniero della sua vita da star e di quanto volesse anche lui avere la possibilità di pensare per sè, magari cercando di ritrovare la salute e tutto quello che sappiamo.
Molto spesso, guardandolo nei suoi ultimi concerti, si è portati a chiedersi "Ma si rendeva conto...?"...Penso che la risposta sia sì!
Ultima considerazione, ma non in ordine di importanza: niente riusciva a trattenerlo dal lasciarsi coinvolgere dalla musica gospel.
Gli bastava sentire una nota e non poteva fare a meno di cantare quelle lente melodie...Mi dà la sensazione che fossero quelle che gli permettevano di ritrovare un po' di pace dentro di sè. Ci si tuffava alla ricerca di un po' di tranquillità dell'anima.
LISA