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Vecchio 30-11-2006, 13:39
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ELVIS PRESLEY
HITSTORY
(3 cd, 91 brani, 4 h ca.) Sony/BMG

di Pino Paoliello
Se alla domanda su chi abbia inventato il rock and roll vi saltasse in mente di rispondere Elvis Presley, state attenti. Se il vostro interlocutore è un tipo precisino e spocchioso quanto basta potrebbe mettersi a ridere in modo inquietante e poi partire per la tangente in una dotta elucubrazione su come l’uomo bianco si sia impossessato di ciò che l’uomo nero aveva nel sangue (razzismo anche questo, eh). Non avrebbe tutti i torti, è chiaro, ma sinceramente coloro che dicono che Elvis abbia contato molto meno di ciò che comunemente si crede dovrebbero pensare ad un semplice fatto: nell’America degli anni ’50 solo un bianco avrebbe potuto essere ciò che Elvis è stato. Filologicamente è corretto dire che il rock and roll non sia nato con Elvis; è invece giusto affermare che con Elvis sia nato un concetto, quello di rockstar.
Prima di lui nessuno aveva spinto milioni di ragazzi verso un fanatismo che sovente rasentava se non superava l’ossessione maniacale.
E’ con Elvis che nasce e viene codificato il comportamento da superstar che pian piano si allontana dalla vita reale per viverne una tutta sua fatta spesso di illusioni e manie di grandezza. Questo è riscontrabile soprattutto nell’ultima parte della vita di Elvis, quello tutto lustrini e concerti a Las Vegas, quello cioè che meno conta per gli sviluppi della musica rock perchè le cose importanti le aveva già dette.
Ancora una volta è centrale nella storia della musica pop una città, Memphis. Qui infatti avevano sede gli studios della Sun records, piccola etichetta facente capo ad un produttore che per la musica rock è paragonabile ad un demiurgo che dal nulla crea un intero mondo, Sam Phillips.
Fu lui a lanciare le carriere di gente come Rufus Thomas, B.B.King, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis ed ovviamente Elvis. Fu lui quello che incanalò il talento dei suoi artisti verso musiche che a loro e solo a loro si confacevano. Aveva la capacità, Phillips, di giudicare al volo gli artisti e metterli subito sotto contratto facendo loro incidere un 45 giri il giorno stesso del provino.
Presumibilmente è ciò che accadde il 6 luglio 1954 quando un diciannovenne Elvis incise “That’s all right”. Una data che marca un confine netto tra un prima ed un dopo.
Esistono numerose biografie di Elvis sul mercato (una messe infinita in lingua inglese, va da sè) ed altrettante raccolte di suoi brani, ma in questa occasione voglio parlarvi di un triplo cd che raccoglie quelli che sono stati i brani più venduti del nostro.
La raccolta si intitola “Hitstory”, è edita dalla Sony/Bmg e comprende 91 brani.
Difficile segnalare qui quali sono i brani che meritano e quali no. Se non altro da un punto di vista culturale sono brani tutti indispensabili. Gli unici prescindibili (ed è un complimento) sono le due bonus track remixate da JXL e Paul Oakenfold.
Ascoltando la raccolta ci imbattiamo in classici quali “Heartbreak hotel” dove un piano ed una chitarra fanno incursione in un brano altrimenti a capella; oppure in “Don’t be cruel” dove il contrabbasso ci fa capire, assieme al coro di evidente matrice doo-wop che siamo invischiati negli anni ’50 dai quali mai vorremmo congedarci per quanto la musica suona fresca ancora oggi, mezzo secolo dopo.
Per non parlare di “Jailhouse rock” e “Blue suede shoes”,quintessenza rock and roll. Roba da far ascoltare ai marziani per far loro comprendere il perchè di tanta musica di oggi.
E’ con estrema leggerezza d’animo che andiamo incontro a “Promised land” di Chuck Berry, resa da Elvis con un incalzante cantato che dalla Virginia ci fa attraversare gli States alla volta della California. Interpretazione magistrale. Così come magistrali sono “Mistery train” ed “I forgot to remember to forget”, le due facce di un 45 giri uscito nel 1955 in cui da un lato si incontra l’Elvis di cui basterebbe solo la sua voce e la sua chitarra ritmica per renderci felici, mentre dall’altro si intravede l’Elvis da ballad strappalacrime che però non scade nel melenso più deleterio.
Mielosità che invece ritroviamo minacciosa in brani quali “It’s now or never” (la versione inglese di ‘O Sole mio) o “I’ve lost you” dove le orchestrazioni eccessive accoppiate a brani di per sè inducenti diabete ci consigliano di starne lontani. Quanta differenza rispetto ad una canzone come “I’m left, you’re right, she’s gone” dove l’eccessiva sdolcinatezza è un fossato evitato con perizia. O anche rispetto a “Burning love”, brano degli anni ’70 che potrebbe invece tranquillamente risalire all’epoca Sun.
Parlare di ogni singolo brano non ha però molto senso visto che il cofanetto è facilmente rintracciable in qualunque negozio di dischi al prezzo indicativo di 30 euro (ma se cercate bene qualche euro lo risparmiate di sicuro).
Magari però avete la fortuna di avere genitori che all’epoca dell’Elvismania erano degli appassionati acquirenti di dischi. Spulciate allora nella loro collezione di vinili; chissà che qualche bella pepita d’oro non venga fuori tra un 45 giri dei Cugini di campagna ed uno dei Dik Dik.
Ladies and Gentelmen...Elvis has left the building.
Pino Paoliello [theelite_at_interfree.it] - Febbraio 2006
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