L'ANNIVERSARIO / 30 ANNI FA
Memphis, 16 agosto 1977: Così il mondo impazzì per Elvis
Dalla foto rubata del Re nella bara alle polemiche sulle cause della morte: la fine di Presley fu un evento che sconvolse milioni di fans. E il pellegrinaggio a Graceland non si è mai fermato
di Ernesto de Pascale
Roma, 11 agosto 2007 -
I giornalisti che furono spediti a «coprire» la morte di Elvis Presley quel 16 agosto 1977 non hanno ancora dimenticato. Erano centinaia e alcuni avevano seguito rivoluzioni, colpi di Stato, funerali di statisti e re, la guerra del Vietnam. Ancora oggi, dicono che i giorni della morte di Elvis e del funerale furono molto, molto peggio di tutto questo.
Tra trucchi piccoli e grandi, sgambetti e concorrenza spietata, il colpaccio del
National Enquirer trova ancora oggi ampio spazio nelle antologie dedicate al giornalismo «giallo» che negli Usa sta per sensazionalistico.
Se il giornalismo americano è molto competitivo, quello del
National Enquirer (che allora era ancora un quindicinale) è il più competitivo di tutti. Un'intera squadra di reporter fu caricata di peso su un aereo appositamente noleggiato in Florida dove aveva sede il periodico. Il mandato del direttore era semplice: «Non importa cosa mi portate, ma deve essere sensazionale. E non deve averlo nessun altro».
Ricorda uno dei reporter: «Sapevamo che avremmo dovuto scovare qualcosa di impossibile, perché c'erano tutti i giornali e tutte le tv del mondo e noi non saremmo usciti da quell’inferno non prima di una decina di giorni. Lo sapevamo così bene che già sull'aereo privato avevamo deciso di puntare tutto sulla foto del cantante nella bara».
Non si sa nemmeno oggi chi sia stato a scattare quell’immagine. Fonti dell'Enquirer giurano che fu opera di un cugino di Elvis. Ma l'impresa fu talmente eclatante e indispettì talmente il clan di Elvis che ancora oggi c'è chi pagherebbe qualsiasi cosa per mettere le mani sull'autore del colpaccio.
Comunque sia, armato di una Minox, una minuscola macchina fotografica da spia del costo di 300 dollari, «qualcuno» riuscì a rubare l'unica foto di Elvis nella bara.
La foto, tremenda per lo stato in cui era ormai il Re, sfatto dall'alcool e dalle pasticche, invano paludato in un completo color crema con camicia azzurra e cravatta a strisce, fu pagata all’epoca 75mila dollari. Il presidente nonché editore del settimanale Iain Calder si rifiuta di rivelare l'autore o confermare la cifra: «Sono segreti, no? L'importante è che quel numero stabilì il nostro record assoluto di vendite: sei milioni di copie».
Il giallo della foto si arricchì di un nuovo capitolo poco tempo dopo: sparì infatti dalla cassaforte dell'
Enquirer. La polizia aprì un fascicolo e dipendenti del periodico vennero arrestati sul posto di lavoro.
Pare che avessero progettato di stampare migliaia di t-shirts con la tragica immagine. Un sintomo delle follie di quei giorni d'agosto.
Bob Kendall, direttore della Memphis Funeral Home, racconta di quel funerale definendolo «il più grandioso mai avuto da un privato cittadino negli Stati Uniti».
Le disposizioni del clan di Elvis erano precise, evidentemente dettate dal Re in persona: la bara doveva essere esattamente come quella della madre, che l’aveva voluta di rame. Non ce n'erano a Memphis e Kendall dovette farla arrivare in volo da Oklahoma City.
Il vero problema fu il corteo: volevano diciassette Cadillac bianche. Ma ce n'erano solo tre in tutta Memphis e dovette rastrellarle anche a centinaia di chilometri di distanza. Furono ore frenetiche, in cui Kendall non ebbe nemmeno il tempo di rispondere ai giornalisti che lo assediavano alla ricerca di ogni particolare. Tutto questo mentre ventimila persone, decine delle quali svenivano per il caldo, facevano pazientemente la coda, in lacrime per poter entrare a Graceland per versare l'ultimo tributo al Re.
Ci fu anche un altro episodio tragico e folle: alle prime ore del mattino di lunedì proprio davanti a Graceland, la grande residenza di Elvis dalle bianche colonne, un uomo investì in pieno la folla di fans che vegliavano. Due morti, un ferito grave. L'automobilista fu accusato di omicidio colposo e ubriachezza al volante.
Al cimitero, dove già erano in vendita ai cancelli gli «stickers» per l'automobile con la scritta «Elvis vive. Lunga vita al Re» (prezzo di un dollaro e primo esempio della commercializzazione del mito), ne successero di tutti i colori. Oltre 4500 corone e cuscini, molti a forma di chitarra, tutti inviati da fans adoranti furono spogliati completamente da ammiratori alla ricerca di un ricordo. Finiti i fiori, cominciarono a portarsi via zolle erbose e presto il camposanto si trasformò in un campo di battaglia.
Un altro effetto immediato fu la folle richiesta di dischi: alla Rca si lavorò per settimane 24 ore su 24 per far fronte alla domanda. L'amore e il desiderio dei fans di tenersi un ricordo (oggi in effetti ricercati e pagati prezzi folli) mise nei guai per mesi gli organizzatori della tournée che Elvis avrebbe dovuto cominciare proprio il giorno del suo funerale. Avevano 600mila dollari di biglietti da rimborsare, ma non ci fu un fan che restituì il prezioso tagliando.
Poi ci furono le controversie sulla morte stessa. Il decesso di Elvis fu ufficialmente attribuito ad «aritmia cardiaca» causata da «motivi indeterminati». Il medico George Nichopoulos dapprima negò che il Re avesse fatto uso eccessivo di vari medicinali. Ma due anni più tardi, Nichopoulos si vide sospesa la licenza per prescrizione eccessiva di farmaci.
Tre mesi dopo la morte, il medico legale ammise che nel corpo di Elvis era stata constatata la presenza di dieci diversi farmaci. Ma i familiari e il clan si opposero alla pubblicazione dei risultati dell'autopsia. Il road manager Joe Esposito, a capo dell'organizzazione per i concerti e le tournée di Elvis, ammette solo oggi che il clan e la famiglia riuscirono piuttosto bene a proteggere la memoria del Re: voci e illazioni tanti, fatti pochi.
Esposito ammette: «Erano farmaci in commercio. Niente di illegale. Tutti intorno a Elvis prendevano pasticche, pasticche per stare su e darci dentro, pasticche per andare a dormire. Era il ritmo della vita che conducevamo a costringerci a fare uso di certe sostanze. Certo, come tutti sanno, Elvis faceva tutto in eccesso. Ecco che cosa è successo. Certe volte penso che sia veramente un peccato, fosse successo oggi con la gente che dà alle pasticche molta meno importanza, visto il dilagare di ben altre cose, Elvis avrebbe avuto meno pressioni, forse avrebbe trovato aiuto».
Tupelo, Mississipi. È l'alba. Ma i parcheggi oltre il fiume sono pieni di automobili provenienti da tutti gli Stati dell'Unione. Centinaia di persone sono già pronte per il mesto pellegrinaggio in quella sorta di baracca dov’è nato il mito. Quel rudere, altrimenti, non meriterebbe uno sguardo. Fu costruita dal padre Vernon con le sue mani, con 180 dollari presi in prestito e con l'aiuto di qualche parente, a poche centinaia di metri dalla casa del nonno di Elvis. Ma la visita al luogo natale di un mito americano è importante per gli americani e la conferma di una delle filosofie dominanti in questo paese.
In questo luogo si può toccare con mano la squallida povertà in cui è nato e cresciuto un uomo divenuto nel giro di pochi anni famoso quanto un presidente. Grazie alle sue straordinarie doti, un po' di fortuna e tanta volontà di sfondare. L'arredamento della baracca sembra quello di certi film che raccontano la vita dei pionieri: in realtà molti pezzi, come la madia per la torta di mele, l'armadio e la stufa sono stati donati in seguito o restaurati. Non importa: per i pellegrini il luogo è mistico, come se si trattasse di una stalla di Betlemme. La media è di 35-40mila ‘pellegrini’ all'anno, ma questo è un anno speciale.
Infine, proprio dietro la casa natale, c’è la Elvis Presley Memorial Chaple, completata alla fine degli anni Settanta con i contributi di fans di tutto il mondo. Ospita dodici file di banchi, un pulpito donato dal decano delle congregazioni pentecostale padre Tilley e sul pulpito la Bibbia personale di Elvis, donata da suo padre.
Al centro un'enorme vetrina colorata che prende tutta una parete: mostra una figura vestita di bianco, le braccia protese verso una croce più in alto circondata da stelle e pianeti e sormontata da una corona. Una corona da Re.