Discussione: Elvis Cantava
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Vecchio 29-10-2007, 16:57
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Predefinito Re: Elvis Cantava

Gli artisti hanno due metodi di lavoro (non ha importanza di quale arte si tratti che sia fare musica, scrivere, disegnare, scolpire, cinema). Alcuni lavori che derivano da un’ ispirazione possono colpire in modo irregolare e con grande intensità, con periodi di calma relativamente lunghi, e sono orientati verso un obiettivo piuttosto incerto. Questi sono quelli romantici.
Altri lavori, non necessariamente nel quotidiano, hanno lo scopo evidente di riuscire ad ottenere un prodotto di un certo tipo. Questi sono quelli elaborati.

Naturalmente, pochi artisti sono una cosa o l’altra in modo puro, ma Elvis probabilmente è stato, più di chiunque altro, estremamente vicino ad essere un’ape laboriosa nel campo delle sue scelte. Visto che è stato evidente nella sua fatica, è facile mancare di rispetto a quello che ha fatto, ma ancora oggi, quando stai seduto, chiudi gli occhi e ascolti, sei costretto a renderti conto che tutto il grande lavoro, dall’inizio alla fine della sua carriera, è stato creare un feeling di naturalezza e disinvoltura musicale che, concettualmente era nella sua testa.

Questo fa parte della ragione per cui esiste l’immagine popolare di Elvis di uomo pigro, che ozia delle ore a Graceland, svagandosi solo a comprare Cadillacs per estranei e guadagnare qualche centinaio di milioni a Vegas. In questa raccolta si dimostra come fino all’ultimo anno della sua vita, Elvis abbia lavorato tutto il tempo e che il centro di tutto quel lavoro erano le performances musicali. Nei concerti live, Elvis consumava una grande quantità di energia, tenendosi lontano da quella specie di isterismo, che lui sapeva essere provocata semplicemente dalla sua presenza. In studio consumava altrettanta energia cercando non tanto la tecnica delle perfezione o “la giusta canzone”, quanto il suo momento creativo, la giusta combinazione di tecnica, materiale, attitudine e atmosfera per racchiudere tutto nella più grande musica che lui ha sempre saputo fare. Lo scopo di tutti – da Elvis ai musicisti fino al produttore Felton Jarvis e i tecnici fino a tutti coloro che gli stavano intorno – era facilitare questa atmosfera e aspettare che arrivasse il momento giusto. Elvis, Jarvis e i membri della band – Burton, la chitarra ritmica John Wilkinson, il pianista Hardin, il batterista Ronnie Tutt e il bassista Norbert Putnam – avevano l’obiettivo aggiunto di essere certi che, quando arrivava quel momento, la musica avesse una sua propria struttura.
Sin dal 1970, Elvis e Burton hanno lavorato assieme, dentro e fuori per quasi un anno. Come pure Jarvis, un ingegnere della RCA di Nashville, che, ha registrato con Elvis per molti anni. Fu dopo essere diventato produttore, con piena responsabilità per la session, che lasciò la RCA per lavorare solo ed esclusivamente per Elvis. Gli altri arrivarono nel 1969, quando Elvis tornò a fare i tour, prima a Vegas e poi in quella grande quantità di tours annuali. Il personale di studio, nel corso degli anni, si intercambiò, dove, alle volte, alla batteria c’era Jerry Cardigan e Kenneth Buttrey, al basso poteva esserci Emory Gordy, mentre Charlie McCoy faceva frequenti apparizioni all’armonica. Il gruppo live si evolse in modo diverso (da ricordare Tony Brown al piano, ora produttore di musica country), ma per la maggior parte del tempo Elvis lavorò solidamente con la sua band principale, sia per le registrazioni a Nashville, Hollywood e Memphis, che per i concerti live.
Anche quando Elvis cercò di registrare alla Stax Studios, l’anima leggendaria di Memphis, nel 1973, ottenne dei risultati del tutto indifferenti (a parte l’eccezione del singolo della magnifica canzone di Tny Joe White “I’ve Got A Thing About You Baby, che avrebbe dovuto essere un successo superiore a quello che è stato) fino a che non decise di smettere di lavorare con sessionmen della Stax, quali Duck Dunn, Al Jackson Reggie Young e Tommy Cogbill), per tornare a lavorare con i suoi. Da quel momento uscì una varietà di perfomances stupende, incluse le splendide hit internazionali “My Boy” e “Promised Land” la più bella interpretazione di Elvis Presley del materiale di Chuck Berry.
Elvis aveva bisogno del supporto di questi uomini, perché le sue sessions non viaggiavano nella forma usuale di tipo quasi industriale. Non l’hanno mai fatto. Negli anni 50, fu lui (nessuno dei suoi supervisori) a portare a fare oltre 30 takes di “Hound Dog”, per essere sicuro che fosse perfetta.
Anche negli anni ’60, quando si supponeva dovesse riprendere delle colonne sonore per fare degli album, l’ing. Bones Howe ricordava, “Era Elvis a produrre i suoi dischi. Arrivava alla session, prendeva le canzoni e quando veniva cambiato qualcosa nell’arrangiamento, era perché lui lo faceva. Tutto usciva spontaneamente. Non esistevano prove. Molte decisioni importanti vengono prese prima della session di registrazione, ma con lui venivano fatte durante la session.
In questo senso, non cambiò niente negli anni ’70. “Elvis non amava sovraincidere” ricordava Felton Jarvis “Secondo lui perdeva molto della spontaneità. Amava cantare con la band, girare per la stanza e mettere quei piccoli accenti e quelle cose extra. Si muoveva in giro e il batterista doveva seguirlo. Questo era il modo in cui Elvis amava lavorare su una canzone.” Non avrebbe mai pensato di fare “Promised Land” e ancor meno di essere così disinvolto nell’unire quella gentilezza ed intensità, che caratterizzano questa bella registrazione.
Naturalmente questo tipo di approccio presenta alcuni problemi tecnici. Elvis non stava in piedi davanti al microfono, come avrebbe voluto il tecnico. Se il microfono era sull’asta, lui si allontanava cantando; se teneva il microfono in mano, se lo appoggiava alla coscia, creando una distorsione stridente, se pur affascinante oppure si avvicinata a Burton o Tutt o uno degli altri musicisti, provocando una dispersione di tutta la traccia vocale e, mentre faceva questo, cantava (come alle volte faceva) e questo significava che la sua traccia vocale era di nuovo fuori dal microfono. Tutto questo fece sì che Jarvis e i vari tecnici diventassero molto creativi.
Elvis lavorava in questo modo non perché non avesse cura di quello che faceva, ma perché lo faceva e basta. Superbamente professionale, come lo è stato durante tutto il periodo dei suoi films, che non erano altro che un dono innato, Elvis avrebbe potuto gestirsi anche in una session di registrazione convenzionale, ma aveva bisogno che la session fosse qualcosa di più di professionale. Voleva quella spontaneità che si trasformava in divertimento, perché sentiva che sarebbe stato il modo migliore per generare esecuzioni memorabili che sarebbero durate nel tempo. Come fa notare Bones Howe “Quello è stato uno sguardo al futuro. Oggi tutti registrano in quel modo o almeno lo fanno tutti gli artisti rock. A quel tempo lo faceva solo Elvis. E’ stato il precursore di tutta la produzione discografica di questi giorni”. (E’ un’affermazione divertente se si pensa che per anni, Elvis ha fatto dischi importanti che non riportano crediti al produttore. Probabilmente avrebbe avuto crediti come “un”….. o “il” produttore di tutte le sue sessions).
Così le sessions iniziavano con quelli che sembravano essere degli outsiders: Elvis e J.D. Sumner e gli Stamps e qualsiasi altro vocalist che fosse a portata di mano e insieme cantavano gospel, con Elvis che cantava insieme a loro, alle volte, accompagnandoli al piano o con la chitarra. Lui e Burton e gli altri sarebbero passati da rock diversi per andare sugli accordi di R&B, se non addirittura pezzi di brani popolari e bluegrass, I musicisti, quasi coscienti, cercavano di stimolare Elvis in una performance a pieno titolo. Probabilmente, senza questo suo metodo, non avremmo avuto nemmeno la metà delle canzoni di Chuck Berry, Johnny Ace o di altri artisti degli anni 50, che Elvis ha registrato negli anni ’70.
Ogni volta che Elvis faceva una session, si creava questa sorta di carica prima di portare i musicisti a quella che sarebbe diventata una grande take, che fosse una take carica di un clima rock, come “Burning Love” o qualcosa di elaborato come “An America Trilogy”.
Elvis aveva fiducia soprattutto nel suo istinto e il suo istinto gli diceva di fare musica con sentimento, in cui devi prima stabilire il feeling e lasciare che, per altri aspetti, la musica si prenda cura di se stessa.
Questo non significa che Elvis, Jarvis e gli altri musicisti e uomini d’affari coinvolti non avessero degli obiettivi ben specifici. Semplicemente loro si concentravano sui singoli che potenzialmente potevano diventare dei successi. Spesso, Elvis aveva nuovo materiale che sarebbero stato adatto per essere inserito negli show (oppure era stato preparato per eseguirle sul palco) e voleva registrarle. Ma una session di registrazione, per Elvis era quello che il critico musicale neozelandese Christopher Small, definisce “musicking”, cioè era un’opera e non una cosa fine a se stessa e quanto usciva dalla bocca di Elvis, durante una session. (trasmesso direttamente dal suo cuore e dalla sua testa) non poteva essere più prevedibile (oppure controllato totalmente) di quanto poteva uscire dalla mano di Picasso, nel suo studio. Nemmeno da Elvis.
Pertanto, Elvis necessitava di una cornice di riferimenti entro i quali svolgere il suo lavoro. Non sorprende che questo si esprima in termini umani come la musica o, al limite, il fare musica (che è praticamente ciò che intende Small con il termine “musicking”) che tra le arti, è quella più collaborativa. I membri della band e i tecnici familiari ad Elvis, gli offrivano una situazione di comfort nella quale poteva esplorare ciò che voleva dire. Ecco perchè è inutile desiderare una collaborazione di Presley con altri musicisti rock più famosi di quel periodo. E’ assolutamente vero che solo lo stringere la mano di Elvis sul set di “Follow That Dream” a Gainesville, Florida, ha totalmente cambiato la vita di Tom Petty, e che solo guardare Elvis all’Ed Sullivan Show” ha fatto sì che sia uscita l’anima di gente come Bruce Springsteen e Paul Simon, quell’anima che nemmeno loro non sapevano di avere.
Molti di coloro che hanno lavorato con Elvis, hanno registrato con altre stars. Burton lo ha fatto dall’inizio della sua carriera, quando, negli anni ’50, suonava con Ricky Nelson e fece la session a Los Angeles. Charlie McCoy ha fatto un meraviglioso lavoro d’armonica con Bob Dylan in “Blonde On Blonde” e dagli altri collaboratori di Elvis, quelli con base a Nashville, sono state fatte letteralmente centinaia, se non migliaia delle session. Alla fine degli anni ’80, la produzione di Tony Brown aiutò ad entrare in una nuova era della musica country.
Finora, nessuno di questi uomini ha mai suonato una musica così eccitante come quella che facevano con Elvis e questo vale, salvo rare eccezioni, anche per i vari cantanti che hanno inciso con Elvis.
L’ingrediente chiave nella loro collaborazione era Elvis e cosa faceva lui per stimolare così bene tutti questi talenti?

Elvis cantava

(segue)

Ultima Modifica di hurt : 31-10-2007 09:33
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