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Vecchio 15-11-2007, 16:35
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

Giochi proibiti

Oggi, riprendendo la descrizione dei giochi tralasciati qualche posting fa, voglio farvi partecipi di quello del tiro con l’arco, uno dei giochi artigianali ma estremamente pericolosi e capirete poi perché. Ci si procurava un vecchio ombrello, si eliminava la copertura in stoffa e si estraevano tutti i ferri o bacchette di tenuta. Con la prima bacchetta, vi si annodava ad una punta uno spago fino ma robusto, lo si arcuava quanto bastava e si riannodava lo spago nell’occhiellino dell’altra punta fino a formare un arco. Con le altre, si appuntivano con una lima una per una le estremità, dopo aver eliminato l’occhiello, e si divaricavano le altre punte. Così si realizzava l’arco con tante frecce. Muniti poi di un pezzo di gesso, si procedeva a riportare, servendoci, a mo’ di falsariga, di vari coperchi di pentolame, quattro o cinque cerchi concentrici su un portone in legno che dava di solito in una stalla di uno di noi e si riportavano i numeri progressivi corrispondenti ai vari punti. Ed iniziava la gara per il raggiungimento del maggior punteggio. Ponendoci, quindi, alla distanza di circa quattro metri, si iniziava a lanciare ciascuno, a turno, la propria freccia e trascrivendo i vari punteggi ottenuti sulla parte liscia dell’antistante marciapiede o sulla parete attigua. Era compito dei rispettivi titolari delle frecce scoccate estrarre le proprie dal portone. Questo era un gioco che intrigava moltissimo per il fatto che divenire campione a quel gioco significava farsi un nome nel rione. Questo dava titolo per partecipare alle gare inter-rionali. Vediamo cosa ci propone oggi questo tema.



Ebbene un bel giorno, anzi un gran brutto giorno, ci trovammo a sfidarci in quattro amici, protesi tutti all’ottenimento del miglior punteggio. Uno dei quattro, tale Antonio, dopo avere preso attentamente la mira , scoccò la sua freccia quando, improvvisamente, l’altro amico, tale Giacomo, si interpose sulla traiettoria con l'intento di togliere la sua, gli si conficcò nella parte posteriore del cranio quella di Antonio. Fu panico generale . Giacomo si accasciò a terra (erano le 12,30 di quell’estate afosa) gridando come un forsennato, mentre noi, anziché soccorrerlo, ci dileguammo impauriti. Le grida di dolore fecero accorrere tutto il vicinato e fra questi mia madre e, per fortuna, anche il papà del malcapitato che era appena tornato dalla campagna il quale, resosi subito conto della situazione , si procurò una tenaglia e gli estrasse il ferretto dalla testa. Io, come tutti gli altri, vidi tutta la scena in quanto appostato nelle vicinanze. Ero impaurito, tremante e, senza rendermene conto, piangevo piangevo e piangevo . E vi rimasi lì accucciato non so quanto tempo. Temevo che qualcuno avesse chiamato i carabinieri. Certo è che a casa non volli ritornare, né i miei si preoccuparono di cercarmi. Ed il che era peggio. Me ne andai tra i campi e mi sostenni con bacche di carruba, percochi e fichi. Io avevo tanta paura di tornare a casa e non vi tornai fino a notte fonda. Ritenendo che la porta fosse chiusa, feci un flebile tentativo bussandovi e, non ricevendo risposta, preferii scalare l’angolo di casa appoggiandomi ad alcune rientranze, fino a guadagnare il terrazzo superiore. Mi raggomitolai in un angolo, chiusi gli occhi e tentai di prender sonno . Dopo non so quanto tempo, sentii la voce di mia madre che, guardandosi attorno nella notte, mi chiamava quasi con un sussurro e, quando mi affacciai dandole voce, mi esortò di entrare in casa, ma vista la mia titubanza tenne socchiusa la porta e se ne tornò a letto borbottando. Io entrai in casa solo quando alle 5,00 sia mio padre che mio fratello vi uscirono, ed in sella alle rispettive biciclette, si allontanarono dalla mia vista per recarsi al lavoro. Un altro giorno era iniziato e non sapevo ancora quale fosse lo stato del mio amico Giacomo. Per fortuna mia madre, nel rimproverarmi mentre ero intento a fare colazione, si lasciò sfuggire, tra le altre cose, che il medico di famiglia dei vicini di casa aveva ritenuto non serie le condizioni del mio povero amico, dopo avergli applicato un unguento sulla ferita fasciandogli il capo. Ricordo che la fasciatura Giacomo se la portò per oltre un mese e, nonostante sembrasse ridicolo , nessuno di noi ci scherzò sopra nè si azzardò a giocare più con le frecce........continua
Gondar.

Ultima Modifica di Gondar : 23-01-2008 18:26
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