Sull'uscio della storia

Perdonatemi, amici miei che mi leggete, se vorrò indugiare soffermandomi su questi momenti particolari della vita di Elvis, di quella vita che non può appartenere a lui soltanto ma che oramai appartiene a tutti noi, elvisiani

in testa. Il mio è un cocciuto tentativo di fermare il tempo o quanto meno, ove ciò non fosse possibile, di cercare di sezionarlo, moviolarlo, zoomarlo (si potrà dire?) con certosina tridimensionalità al fine di capire fino in fondo l’evoluzione di quel fenomeno universalmente riconosciuto come tale.
Ebbene, Elvis, appena accesa la luce rossa al di sopra della consolle proprio di fronte a lui, chiuse gli occhi

per concentrarsi al massimo, mentre pronunciava le prime parole della canzone “My Happiness”, modulandone la voce con una serie di note musicali, con l’accompagno di accordi, a volte dolci

talvolta sferzanti

, della sua chitarra. Egli non sapeva, e non avrebbe saputo giammai immaginare, che ciò che stava accadendo in quel momento altro non era che l’inizio di un inconsapevole inimmaginabile, seppur lento infiltrarsi attraverso le pieghe dell’universo musicale che sarebbe sfociato in un nuovo fantastico ed immortale genere musicale

. Egli non poteva rendersi conto che la terra delle Americhe, scoperta dall’uomo Cristoforo Colombo

, stava ora essa stessa scoprendo l’uomo che l’avrebbe resa preziosa ancor più che con l’oro e con l’argento: Elvis Presley. Ma riascoltiamo, questa volta immaginando di essere tutti assieme nello studio della “Sun Records” in compagnia di Sam Phillips

intento all’incisione, di Marion Keisker

appoggiata con braccia conserte ad una parete della sala, e del nostro Elvis al centro della sala medesima mentre si accinge ad emettere l’unico vero primordiale autentico ed universale vagito

del nascente rock & roll. Silenzio quindi in sala, chiudete anche voi i vostri occhi e buon ascolto.
Evening shadows make me blueWhen each weary day is throughHow I long to be with youMy happinessEvery day I reminisce,Dreaming of your tender kissAlways thinking how I missMy happiness* A million years it seems Have gone by since we shared our dreams But I'll hold you again There'll be no blue memories then** Whether skies are grey or blue Any place on earth will do Just as long as I'm with youMy happiness
Avrete sicuramente memorizzato queste strofe mentre Elvis ce le profferisce per il nostro diletto; e avrete certamente notato che egli non cantava. No, non cantava,
“montava” invece letteralmente quelle note, come si può montare un puledro selvatico, riuscendo con magnificenza a portarle al passo, come voleva lui, e non al trotto come avrebbero voluto loro, le note, appunto, e come avrebbe voluto, di riflesso, la sua voce. Sotto quelle dolci note
c’era una tempesta di irrequietezza
non facilmente descrivibile ed egli le ha saputo domare, addomesticare secondo le circostanze del momento. Non è assolutamente vero, come diversi biografi attestano, che da questa incisione non si denoti la nascita di una nuova era. Tutt’altro. Basti ammettere che comunque era un’altra cosa
, che al momento non si conosceva. Indefinibile, incatturabile, non identificabile
, come se fosse un “Unidentified Flying Soul”,
dal sapore extraterrestre. Appunto. Non si sapeva cosa fosse, quindi, e ciò che sembra fantastico, è che non lo sapesse neanche lui, Elvis. E quel che è ancora più incredibile, è che neanche Sam abbia colto la vera natura dell’esecuzione “live” di quel ragazzo. E questo rimane un mistero ancora da chiarire.
Mi sembra perciò strano e addirittura inconcepibile che Sam non avesse
saputo subito cogliere l’essenza di quella esecuzione sussurrata che non poteva essere altro che una punta di un grosso iceberg vocale. Certo, rimase in qualche modo colpito anzi stordito da quella ingenua performance, vero è che non si trovò
assolutamente in sintonia con lo stato d’animo artistico di quel giovane. Forse era distratto o forse era preso da mille problemi (come pare li avesse con il socio Jim Bulleit). Prendiamoci una pausa.....animata.
La risposta stava appunto sotto quella coltre melodica, seppur mesta malinconica e struggente, che gli faceva vibrare
ogni nota, le faceva a tratti - seppur impercettibilmente - singhiozzare. Uno sprovveduto che non fosse Elvis, sarebbe stato non una ma mille volte disarcionato da quelle note. Lui invece le ha tenute a bada, controllandole in ogni istante, gestendole, facendosi scudo, evitando che gli sfuggissero di mano. Modulandole addirittura. Insomma, la chiave di volta del fenomeno presliano stava proprio in quella prima personale incisione. Elvis, inoltre, confidava moltissimo in qualcuno
che potesse essere in grado di leggere l’imo artistico del suo animo. E, per dirla con parole semplici, egli sperava tanto di catturare l’attenzione di quell’uomo, Sam Phillips, che aveva saputo portare al successo uno sconosciuto gruppo musicale quale “The Prisoners”
solo qualche settimana prima. Ma, al di là di ogni cosa, il sogno di Elvis era quello di riscattare agli occhi della gente la dignità della sua famiglia. Voleva nel contempo con tutte le sue forze dimostrare alla sua mamma ed al suo papà che lui c’era. Questa fu la spinta che lo portò più volte ad osare
, nonostante la sua timidezza, buttandosi nella mischia
al solo scopo di portare a casa qualcosa di suo, qualcosa di tangibile, che potesse finalmente alleviare i continui sacrifici e le molteplici rinunce dei suoi cari. Sam, dal canto suo, seppur frastornato
al ricordo dell’ennesima lite con il socio in affari, non negò in seguito di essere rimasto un tantino turbato
da quella esecuzione. E che anzi lo tenne sotto osservazione per tutto il tempo della sua performance, chiedendosi cosa potesse mai essere quella sensazione che quel tizio laggiù in sala riusciva a trasmettergli. Ma non si preoccupò, neppure in seguito, di approfondire la questione. Ad esecuzione avvenuta, Sam gli fece cenno con il pollice
della mano alzata facendo capire che tutto era andato bene. Marion
si avvicinò a lui con un sorriso di circostanza invitandolo a prepararsi per il secondo pezzo. (continua)
Gondar.