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Vecchio 16-12-2007, 10:05
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

La disgrazia di papà Vernon

Lasciamo un attimo congelato questo distrattone di Sam Phillips il quale è talmente impegnato nella spasmodica ricerca di fare un disco che fosse unico nel suo genere senza accorgersi che ce lo aveva tra le sue mani, e pigliamoci un attimo di relax facendo mentalmente ritorno ad un non lontano passato. Eh sì, cari amici miei, noi stiamo girando attorno - ma la colpa, debbo ammetterlo, è solo mia - alla figura pressoché adulta del nostro grande mito. Ma, ci siamo mai chiesti, o per lo meno ci siamo qualche volta soffermati a pensare quale possa essere stata l’esperienza o una parte del vissuto del nostro idolo nell’epoca in cui era ancora un cucciolo di uomo? Vogliamo tentare insieme di mettere a fuoco con una immaginaria lente di ingrandimento alcuni momenti episodici ormai noti, anzi arcinoti, della sua infanzia? Vogliamo quindi fermare il tempo e scandagliare a fondo un tratto della sua vita? Proviamo, quindi ad immaginarcelo mentre era appena trascorso il periodo natalizio del 1938, senza però soffermarci nel giorno della nascita del Signore. Sarebbe troppo straziante persino immaginarcelo e non me la sento di proporvelo. Se non di crearne in qualche modo il clima.





Elvis bambino

Elvis aveva giusto quattro anni quando suo padre Vernon, il 6 gennaio del 1939, venne rilasciato, assieme a suo cognato Travis (fratello di sua moglie Gladys) e ad un altro tizio di nome Lether Gable, dal penitenziario di Parchman Farm, a circa cinque ore di macchina da Tupelo. I tre uomini erano stati accusati il 16 novembre 1937 di “emissione illecita di assegno contraffatto” e per la quale il 25 maggio dell’anno dopo erano stati condannati a tre anni di reclusione, in seguito ridotti a circa otto mesi grazie ad una petizione popolare e ad una lettera del loro accusatore signor Orville Bean con la quale veniva chiesta la sospensione della pena. L’importo di quattro dollari riportato sull’assegno a firma del signor Orville Bean ed intestato a Vernon Presley per avergli questi venduto un maiale, era stato grossolanamente corretto a otto dollari e quindi riscosso. Prima di essere internato, la famiglia Presley abitava ad est di Tupelo, sopra l’autostrada, in un minuscolo caseggiato di due sole piccole stanze che Vernon, con l’aiuto di suo padre e del fratello maggiore Vester, aveva costruito accanto alla grande casa dei suoi genitori un anno dopo il suo matrimonio con Gladys. La donna , come sappiamo, era in attesa di Elvis e del fratello gemello Garon poi nato morto, dopo aver contratto un mutuo di 180 dollari con quello stesso Orville Bean e presso la cui azienda casearia lavorava occasionalmente assieme a suo padre. Il contratto di mutuo prevedeva che la proprietà della casa restasse al signor Bean fino al totale rientro del credito. Come era prevedibile, qualche mese dopo l’internamento di Vernon, non potendo più onorare le rate del mutuo, i Presley persero la casa e madre e figlio dovettero essere ospitati in quella dei nonni paterni di Elvis. Ma tale sistemazione si rivelò alquanto inopportuna dato che non mancarono scontri verbali, a volte anche violenti, con il reciproco addossarsi di colpe che avevano portato al disastroso comportamento ed alla condanna di Vernon. A causa di questi continui litigi, Gladys si trasferì, ancora una volta, col figlio a Marple Street nel “down town” di Tupelo presso i cugini Frank e Leona Richards. Questo l’accaduto nudo e crudo, seppur unico episodio così traumatico, sconcertante e devastante che travolse la serenità, ma soprattutto la dignità della famiglia Presley. E fu in questa nuova sistemazione quando giunse suo padre Vernon il 6 gennaio 1939. Tutto questo, ripeto, quando Elvis aveva appena quattro anni .

A questo punto, amici, debbo farvi una proposta che non verrà gradita da tutti ma vi prego di accettare comunque il suggerimento che vi dò e sarebbe quello di tenere acceso il magnifico clip di Celine Dion, possibilmente a basso volume, che servirà a creare l'atmosfera giusta, destinato solamente agli autentici "figli" di Elvis.



Riusciamo, dunque, a immaginare con quale stato d’animo quel tenero passerotto ebbe a sopportare tale situazione? E quali sarebbero poi state le conseguenze psicologiche? Incominciamo col premettere che durante le fasi del processo, il piccolo Elvis si trovò, con tutta la sua innocenza, a vivere l’atmosfera per niente serena dei suoi cari. L’aria diventò addirittura irrespirabile quando erano a casa dei nonni e degli zii, o quando questi venivano a casa loro. Le discussioni erano pressoché quotidiane ed Elvis, suo malgrado, era sempre presente e, nonostante la sua tenera età, aveva incominciato a imparare a convivere con la tristezza e la malinconia che oramai la facevano da padrone nella casa. L’unico suo modo per sfogarsi, sottolineando la propria sofferenza, era quello di piangere, piangere ed ancora piangere, ogni qualvolta che pensava al suo caro papà, del quale sentiva una mancanza infinita. “Daddy, Daddy, voglio Daddy. Dove sei, Daddy? Perché non sei qui? Perché non torni? Non lasciarmi solo, Daddy” singhiozzava Elvis dalla disperazione. Il più delle volte, la sua mamma Gladys, al limite della sopportazione, arrivò a picchiarlo di santa ragione, lo picchiava così tanto da farsi male lei stessa. Per poi finire a piangere con lui, abbracciati, avvinti, stretti stretti l’una all’altro, bagnandosi di tiepide amare lacrime senza fine. Ciò nonostante, Elvis credette che la mamma non gli volesse più bene. Vernon, intanto, era finalmente tornato a casa, sebbene non nella sua, ma in quella dei cugini di sua moglie. Una calma apparente, mista a profonda rassegnazione da parte dei tre, aleggiava in quel mondo fatto di stracci. In quella calma così irreale si registrarono persino episodi di sonnambulismo collettivo che preoccuparono non poco i Richards. Questa era l’autentica seppur irreale atmosfera che si respirava nel 1939 in detta casa di quella piccola comunità di Tupelo quando arrivò quel fatidico giorno, i cui reali particolari ricordi Elvis se li portò per sempre con sé quando ci lasciò. Un giorno come tanti, intendiamoci, ma che sarebbe passato nella memoria storica dei Presley, e non solo della famiglia Presley, anche per le circostanze con cui ed in cui ebbero a svolgersi. (continua)

Gondar.

Ultima Modifica di Gondar : 23-01-2008 19:01
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