Re: Elvis Presley: l’Extra Terrestre
Il mio primo grande amore.
(Parte 2^)
L’indomani non successe nulla. E neanche il giorno successivo. Neppure nei giorni e nelle settimane a venire. Un paio di cosette mi confortarono. Una era che nessuno seppe mai niente e l’altra era che la Prof fece sempre finta di nulla, né cercò in alcun modo di avvicinarmi. Si comportò come si era sempre comportata. Cioè con deferente indifferenza, come se non avesse mai letta quella poesia anche se in sostanza era una dichiarazione d’amore. E questo mi fece un gran male al cuore. Ma non disperai, sebbene furono tante le notti che non riuscii a chiudere occhio pensando a quella creatura troppo avanti negli anni rispetto a me. E quando dormivo, varie sono state le volte che l’ho sognata in atteggiamenti intimi ma mai osceni. Voglio dire che sognavo che mi accarezzava i capelli, con dolcezza, e che mi baciava sulla bocca, teneramente, come avevo molte volte visto fare in numerosi film.
E fu proprio con l’immagine di lei che scoprii il sesso, che incominciai ad esaminare a fondo i cambiamenti del mio corpo, soffermandomi su alcune parti sino ad allora ritenute proibite. In casa non si era mai parlato di sesso, in quanto era considerato vergogna, oscenità. Era insomma tabù. Ma penso che ancora oggi sia ancora un po’ così, almeno dalle mie parti. Sono, perciò, cose che finisci per scoprirle piano piano, e quando sei in luoghi appartati con amici, quasi per gioco. Fino a quando, incuriosito dal sentito dire, finisci per scoprirlo da te quando sei in totale solitudine, in compagnia dell’oggetto del tuo desiderio. Ed è in quella solitudine che scopri l’America . E ti rendi conto quanto importante e stupenda possa essere da quel momento in poi la tua esistenza. Solo che hai bisogno di tempo, di più tempo per capire a pieno che quella meravigliosa condizione puoi condividerla con un’altra persona, già, con una donna, ma non con una qualsiasi, bensì con una compagna ideale che ti aiuti a toccare il cielo con un dito. Bene, ci conviene adesso uscire da queste divagazioni anche se divagazioni non sono in quanto sono alla base della continuità della specie umana. Diamo quindi una strizzatina alle palpebre della mente e poggiamo i nostri piedi ben saldi per terra. In quella scuola ubicata a sei chilometri da Apulco. Questo mio soffermarmi sulla Prof, i cui sentimenti li ho sempre tenuti per me e mai raccontato ad alcuno, perdurò per tutte le vacanze estive. Le quali furono ben diverse dalle precedenti, nel senso che incominciai a guardarmi attorno con una nuova vitalità e ad interessarmi non tanto ai giochi con gli amici del rione, quanto alle mie coetanee, delle quali incominciai ad apprezzarne forme e rotondità. Congelando, incomprensibilmente, il mio interesse per la Prof. Con la rinascita della mia nuova condizione, cominciai a notare i miei profondi cambiamenti organici, estetici e psicologici direttamente proporzionati ai turbamenti che provavo alla vista di zone sensibili femminili appena esposte che, per tramandato pudore, dovevano invece rimanere assolutamente coperte. Per ovvi motivi voglio sorvolare sui cambiamenti organici anche perché sono stati già trattati, seppure marginalmente. Per quanto attiene l’estetica, debbo confessare che prima di allora dipendevo in linea di massima dalla volontà di mia madre, nel senso che mi obbligava quando e come dovevo lavarmi nonché quando e come dovevo vestirmi. Incominciai ad essere più esigente verso me stesso nel senso che ebbi più cura della mia persona, anche se questo significò dare delle imbarazzanti spiegazioni alla mia genitrice che, per fortuna, accondiscese con comprensione alle mie richieste. Mi lavavo pertanto più spesso rispetto a prima, anche se questo mi comportò più faticosi pendolarismi alla non proprio vicina fontanella. Il corteggiamento è il passo successivo a questo nuovo stato di cose.
E questo avveniva di domenica e nei giorni festivi. Lo si attuava passeggiando avanti e indietro, di solito con un amico più o meno fisso, lungo la strada principale della cittadina che nei predetti giorni veniva interdetta all’uso dei mezzi di trasporto. A questo proposito, debbo dire che per mezzi di trasporto nel 1956-58 si intendono autobus, macchine per trasporto di più persone ma anche traini agricoli trasportati da muli, carretti a mano e quant’altro. Si adocchiavano, quindi, un paio di ragazzine assolutamente piacenti, stabilita a priori la reciproca selezione, e via ad inseguirle modulandoci con il loro stesso passo. Il mio amico ed io ci sorprendevamo ogni volta di più circa le nostre capacità di aggancio discutendo stando dietro di loro, con un timbro di voce tale da essere uditi, di varie banalità tutte mirate alla conquista della rispettiva “Venere”. Soffermiamoci su uno dei tanti approcci e di cui ho ancora viva memoria, anche se riferito a qualche episodio accaduto qualche anno più tardi nelle medesime circostanze. I retro dialoghi furono più o meno questi: “Hai visto Nicola, che le abbiamo ritrovate queste due bambole? Te lo dicevo io di non disperare”. “Si Gondar, in effetti, ero piuttosto pessimista, ma ora, ringraziando il cielo, sono qui davanti a noi”. “Che sogno di ragazze, potevi mai sperare di più?”. “Pensa te, stavo per dirti di tornarcene a casa, tanto la serata poteva considerarsi conclusa. Meno male che mi hai convinto a restare”. “Senti Nicola, loro sanno i nostri nomi, ma tu hai idea come si possano chiamare?”. “Io penso sia sufficiente chiederglielo. Non ci sarebbe alcun male se ci dicessero come si chiamano. Almeno questa notte, al momento di addormentarci, potremo pensare a loro chiamandole per nome”. “E’ un’ottima osservazione, Nicola, sarebbe bello. Pensa, sarebbe ancora più bello poterci addormentare immaginando che anche loro si addormentassero con i nostri nomi. Non sarebbe fantastico?”. “Allora, gentili fanciulle, ci dite, vi prego, i vostri nomi? Io mi chiamo Gondar ed il mio amico si chiama Nicola”. Dopo un breve concitato dialogo sottovoce tra le due, finalmente la prima ci accontentò dicendo “Io sono Maria”. “Io sono Rosalba” le fece eco l’altra. Rotto il ghiaccio, ci affiancammo, felici, ai rispettivi lati e giù a parlare, a dire, a discorrere, ad esporre, a conversare, a cincischiare, a concionare. Tutto questo, nella lingua italiana o pseudo tale appena appresa tra i banchi di scuola. Debbo dire che questa lingua ancora “sconosciuta” faceva presa, addomesticava, affascinava, ammaliava, incantava, confondeva. Insomma era come quell’apriti Sesamo dei famosi quaranta ladroni. Funzionava. Ed il bello è che le parole uscivano dalle nostre labbra come un fiume in piena, in giusta sintonia con il ritmo forsennato del battito cardiaco che lavorava a più non posso. Intanto l’estate stava finendo e l’apertura delle scuole era ormai prossima. E l’incontro con il mitico personaggio Elvis Presley era anch’egli sulla soglia dei miei occhi. (continua)
Gondar.
Ultima Modifica di Gondar : 14-01-2008 08:58
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