Re: Notizie da Internet
MILANO
LA SOLIDARIETÀ DI UN IMPIEGATO ALLA POLIZIA MUNICIPALE GLI AMICI DI TINDARO
In mensa mangia solo il primo, il secondo lo porta ai poveri della zona. E adesso i suoi colleghi lo imitano.
Piove e fa molto freddo oggi a Milano. Joseph è accucciato sul sagrato della chiesa di Sant’Alessandro, nel cuore della città. È arrivato dalle isole Mauritius undici anni fa e per vivere si arrangia con piccoli lavori: aiuta qualche anziano a fare la spesa, o taglia l’erba di qualche prato. Quando nessuno lo chiama, passa le sue giornate qui a chiedere l’elemosina. Dice di essere a digiuno da ieri. Tindaro lo saluta e poi gli dà due vaschette: dentro ci sono un po’ di pasta e del tiramisù. Sono una parte degli avanzi della mensa dove Tindaro Scurria, impiegato alla Polizia municipale del Comune, va durante la pausa pranzo.
Ha iniziato cinque anni fa, per caso: «Un giorno, all’entrata della mensa, ho trovato un ragazzo che chiedeva l’elemosina. Io sono contrario a dare soldi, perché spesso finiscono nelle mani degli sfruttatori di chi vive in strada. Ma il sorriso di quel ragazzo mi aveva toccato il cuore. Così decisi di donargli una parte del mio pranzo».
Da allora, tutti i giorni Tindaro paga il pasto completo, ma mangia solo il primo: «Il resto lo porto ai poveri che trovo qui attorno. Non riesco a chiamarli barboni». La voce in breve si è diffusa e qualche collega ha iniziato a mettere da parte una bottiglia d’acqua o un panino, finché Tindaro una volta ha chiesto a Luciano, il titolare della mensa My chef, se poteva dargli gli avanzi del pranzo. Da allora ogni giorno 15-20 persone hanno un pasto caldo.
Non solo: grazie alla solidarietà dei colleghi, Tindaro spesso porta con sé anche scarpe e vestiti. Joseph vorrebbe tanto un sacco a pelo per difendersi dal freddo. «Ho solo dei giacconi da donna, ma te lo troverò», gli promette Tindaro. Si avvicina un altro senzatetto, è italiano. Tindaro gli mostra le sue vaschette.
«Grazie, ho già mangiato. Portale a chi ha bisogno». «Fanno tutti così», commenta Tindaro, «tra loro si aiutano sempre».
Arriviamo in via Torino dove, seduto su una sedia accanto a un’edicola, c’è un omone dalla lunga barba bianca che sta fumando il sigaro. I giornali si sono spesso occupati di lui. Si chiama Roye Lee, ha 72 anni, è americano, ma è in Italia da una vita. Ha scritto centinaia di canzoni, ha conosciuto Frank Sinatra ed Elvis Presley e ha recitato accanto ad Anthony Quinn e Silvana Mangano in Barabba. Vive in strada da quando la moglie lo ha abbandonato, portandosi via le loro due figlie. Accanto a lui ci sono alcuni volontari della Croce Rossa. Non è stata una bella giornata per Roye. Per anni ha vissuto in fondo a un vicolo qui vicino, riparato solo da un telone.
Questa mattina però i vigili e i netturbini gli hanno detto che lì non poteva più stare. Durante lo "sgombero", Roye è caduto e ora mostra il suo ginocchio ferito. Ma sorride sempre e canta con la sua voce calda. «È una nuova canzone, sarebbe bello portarla a Sanremo». Tindaro gli porge una vaschetta con della carne e un po’ di patate. «Dove passerai la notte?». «Non in un dormitorio. Io sono un uomo libero».
Dall’altra parte del marciapiede, davanti alla chiesa di San Sebastiano, c’è Johana. È arrivata dalla Romania un anno fa. Ripete solo: «Grazie, grazie», quando Tindaro le dà la vaschetta con la pasta. Poi con la mano indica i suoi piedi. Le scarpe sono tutte bucate. «Se ne trovo un paio te le porto», le assicura Tindaro. Il tempo della pausa pranzo sta finendo. Tindaro accelera il passo ed entra nel sottopassaggio di piazza Duomo: «Forse ci sono Jurgen e Bianca. Di solito mi aspettano qui». Ma oggi non c’è nessuno. «Capisco se qualche povero viene sfruttato quando cambia spesso il luogo dove si ferma a chiedere l’elemosina. Gli aguzzini non vogliono che i passanti si stufino di vedere sempre le stesse persone. Oppure lo comprendo dal fatto che, pur avendo il contenitore pieno di monete, sono affamati. Ieri uno di loro mi ha confessato di essere a digiuno da più di un giorno».
C’è ancora tempo per dare un piatto di pasta a Nicolae, sotto i portici di piazza Missori. Non ha una gamba e si regge su due stampelle. È in Italia da 4 anni, dorme al Cimitero Monumentale e appena può torna in Romania per portare dei soldi alla moglie e ai tre figli.
«Oggi piove e molti non sono venuti», dice Tindaro: «Umberto forse è all’ospedale, quando l’ho visto l’ultima volta non stava bene». Così il giro si conclude dove era iniziato, nella chiesa di Sant’Alessandro.
Quel che passa il convento
Quando capita, come oggi, che avanzi qualche vaschetta, Tindaro la consegna al parroco, don Antonio Gentile. «Mi dispiace, non è rimasto molto». «Hai portato quel che passa il convento», risponde pronto con una battuta don Antonio: «Ogni giorno qui bussano alla porta moltissime persone affamate. Purtroppo non riusciamo ad accontentare tutti, per questo siamo grati a Tindaro per il suo aiuto».
È tempo di tornare al lavoro. Tindaro si congeda, con un desiderio: «Vorrei tanto trovare un locale dove i miei amici possano riunirsi per mangiare insieme. Mi ricordo quando trentotto anni fa sono arrivato qui dalla Sicilia. Vivevo in un tugurio: quando spazzavo per terra, dal pavimento veniva su una nuvola di polvere. Per questo quando aiuto loro, in realtà aiuto me stesso. Se sono stanco, o arrabbiato, mi basta un loro sorriso per ritrovare la serenità».
Da Famiglia Cristiana.
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