Generazione Rehab - Giovani star in disintossicazione
Amy Winehouse
Sembra un’epidemia.
La stessa che colpì mortalmente il rock fra i 60 e i 70, mettendo in fila le croci disperate di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, fino al più maturo (ma non meno doloroso) annientamento di Elvis Presley nel ’77. Solo che ora non ci sono gli Who di My Generation a cantare «Voglio morire prima di diventare vecchio»: e se la droga pesante accontentò molti degli artisti alla ricerca di percezioni sconosciute, lasciandone altrettanti - da Eric Clapton a Keith Richards fino a Lou Reed - a combattere per anni contro la scimmia, nel ricorso vichiano oggi il fenomeno assume sfumature differenti ma non meno inquietanti. Si rischia così, per confusione, perché così fan tutti, per sballamento mentale, e magari anche - nel caso di Amy Winehouse, l’ultima quasivittima della serie - per l’effetto Maradona, farsi forza nell’andare avanti col successo che preme troppo; e con un amato marito in prigione chissà per quanto.
Li beccano dovunque, con i telefonini. Prima Kate Moss a tirar su coca nello studio dell’allora beau Pete Doherty, poi lei - Amy - pochi giorni fa: a mescolare crack, cristalli e cocaina dentro le apparentemente protettive mura di casa. Li mettono in rete, e ciao. Ed è un’apoteosi di pubblicità non si sa quanto gradita nel caso della Winehouse, artista autentica dei nostri tempi, ridotta a uno straccio e passata dalla Rehab della sua canzone più famosa all’ospedale per via delle pessime condizioni generali. E’ la diva dell’anno, sei nominations l’aspetterebbero per domenica sera a Los Angeles, ai Grammy, il premio più prestigioso della musica popolare: ma gli Usa proprio per via della droga hanno negato il visto. La sua solerte etichetta sta ora organizzando un collegamento via satellite durante cui si farà, naturalmente, finta di niente.
Tutto questo non insegnerà nulla a nessuno. La droga non è più uno scellerato status symbol di una èlite che navigava in una consapevole estetica esistenziale, ma una semplice, generalizzata moda distruttiva che non guarda in faccia l’alto e il basso dell’arte: la prima infatti del nuovo corso a cadere platealmente nella nuova rete è stata proprio Britney Spears, nata come star nel Club Topolino con canzoni chewing gum; la sua crisi vaga fra intolleranza alla pressione mediatica e difficoltà a reggere insieme lo starsystem e il ruolo di madre, in una parola ad affrontare la maturità: non a caso, nel recente ricovero dopo una crisi psichiatrica, i giudici hanno dato al padre la giurisdizione sulla ragazza, proprio come quand’era piccola, e sul suo patrimonio ingentissimo. I figli, chissà quando li vedrà: nella corsa all’autodistruzione, anche per lei c’è stata una insana voglia di essere trendy impasticcandosi e sbevazzando, andando in giro senza mutande con quell’altra campionessa del nulla, Paris Hilton. Povere ragazze.
Già, perché mai come adesso è stato chiaro che, almeno in fatto di additivi chimici, l’uguaglianza dei sessi è andata avanti: sono soprattutto le ragazze che combattono contro la nuova scimmia, che brucia le vite in modi differenti. Pasticche e pasticci, amfetamine ed ecstasy, cristalli e crack. Non solo Whitney Houston, che ancora combatte per tornare a galla, ma ragazze in mezzo ai loro vent’anni, l’età più bella e creativa, in preda a imperscrutabili crisi di nervi. Non solo cantanti ma mezza Hollywood rosa è finita nel labirinto: proprio ieri è stata ricoverata in una esclusiva clinica del remoto Utah, dove già è ricoverata Eva Mendes, Kirsten Dunst, la Maria Antonietta del film e dove è stata a lungo la reginetta dei teen movies Lindsay Lohan. L’hanno vista «bere molto» al Sundance Film Festival, ne hanno notato i comportamenti eccentrici. Pare sia rimasta sconvolta dalla morte del cowboy Heath Ledger, finito all’altro mondo pochi giorni fa per analoghi motivi.
Fa impressione che tutto, e tutti, prendano con una certa leggerezza l’onda anomala che li travolge: come se si trattasse di un gioco, o di un videogioco, dove basta schiacciare un pulsante per tornare alla realtà. Di recente, in una lussuosissima rehab, i californiani del rock duro Queens of the Stone Age hanno preso parte a un concerto organizzato dalla clinica «per tirarsi un po’ su» e hanno attaccato con Feel Good Hit of the Summer, il cui testo comincia così: «Nicotine, valium, Vicodin, marjiuana, ecstasy and alcol...cocaine!!!». Gli hanno tolto la corrente e li hanno buttati fuori, la sera stessa.
MARINELLA VENEGONI
Da La Stampa