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Vecchio 07-09-2006, 14:47
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Elvis Golden Fans
 
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Predefinito Re: Intervista A John Wilkinson

D. Allora come si è arrivati al ’69. Sei stato contattato da James Burton, vero?

JW : Veramente è stato Elvis a contattarmi per primo. Mi aveva visto in una televisione locale di Los Angeles. Mi esibivo sempre in un programma, una specie di American Bandstand, in versione locale, diretta da un ragazzo che si chiamava Robert. W. Morgan, uno splendido DJ che sfortunatamente non c’è più.
Elvis guardava questo show e mi sentì cantare e suonare.
Un giorno ero nella mia casa, in California. Era un sabato pomeriggio e pioveva. La mia macchina era in offcina e bevevo una sangria mentre guardavo il vecchio Ozzie and Harriet, in bianco e nero. Tutti i miei amici sapevano che ero una fan di Elvis e qualche volta mi telefonavano e si spacciavano per lui, per prendermi in giro. Suonò il telefono, risposi e la sua voce disse: “Hey, John sono Elvis Presley” Io dissi: “Ah si” e riappesi. Quindi pensai, “Però, questo tipo mi ha dato una strana buona impressione” Il telefono suonò di nuovo, risposi e dissi “Sì” e lui rispose “Dannazione John, non mettermi giù il telefono di nuovo, sono Elvis, voglio parlare con te!” Gli spiegai che lo facevo con i miei amici, quando succedeva. E lui disse “Ti ricordi che tempo fa ti avevo detto che avrei lasciato il cinema e sarei tornato a cantare su un palco, dal vivo?” Mi raccontò che aveva formato una band, Jeams Burton alla prima chitarra, Jerry Scheff come bassista, Larry Mohoberac al piano, e Ronnie Tutt alla batteria. Mi chiese se li conoscevo e naturalmente risposi di sì. Mi disse che tutti si trovavano nella sua casa di Los Angeles e mi chiese se volevo raggiungerli e suonare con loro. Mi avrebbe mandato una macchina nel giro di 20 minuti. Così quella grande limousine nera si fermò sotto casa mia e i due ragazzi dissero che erano venuti a prendermi. Mi portarono nella casa di Elvis, dov’era con gli altri ragazzi. Abbiamo strimpellato insieme per 30/40 minuti. Noi suonavamo e lui cantava ed è stata un’esperienza meravigliosa. Alla fine di quella giornata, quando ormai eravamo stanchi, mentre me ne stanvo andando Elvis mi disse: “Hey Johnny. Ho un buco nella band, ho bisogno di una chitarra ritmica. Tu sei l’uomo giusto per coprire quel buco. Vuoi suonare?” Risposi che mi sarebbe piaciuto, ma io ero un chitarrista folk, non un rock ‘n roller. Mi disse che mi avrebbe pagato di più se avessi suonato per lui e fossi stato leale. Aggiunse: “Bene, adesso sei un chitarrista del rock ‘n roll?” ed io “Puoi scommetterci” Più tardi, James mi chiamò e gli chiesi se Elvis mi avesse offerto il lavoro e lui me lo confermò. James era felice che mi sarei unito al gruppo. Disse che saremmo stati una grande band. E fu così. Un po’ improvvisata, ma grande.

D. Cosa ci dici della serata di apertura a Las Vegas nel ’69. Ci sono parole adeguate per descrivere quella notte?

JW: La serata di apertura. Era pronto. Era nervoso, ma penso che fosse piùdi tutto in ansia. Si ricordava il 1956 quando il Colonnello lo mise al New Frontier Hotel. Vegas non era pronta per Elvis ed Elvis non era pronto per Vegas. Per cui, si chiedeva se la gente che veniva a vederlo era lì per deriderlo o per guardarlo con un perfomer serio. Noi gli dicemmo: “Non devi aver niente di che preoccuparti, ci siamo noi dietro a te.” Così quando, la prima sera, uscì sul palco, il pubblico impazzì, prima ancora che iniziasse a fare una sola nota. Era come essere appesi ad un filo elettrico. Vedere tutta quella gente, i suoi fans, che lo amavano ancora e amavano sentirlo cantare. E’ stata una serata magica, penso l’esperienza più bella che io abbia mai avuto.

D. A parte James, tu sei stato l’unico musicista a non perdere neanche uno show. Ci sono altri spettacoli che ti sono impressi nella memoria.

JW: Oh sì naturalmente, l’Aloha from Hawaii. Credo che quello sia stata la punta più alta della sua carriera. E’ stato uno show incredibile. Le prove generali, che oggi chiamano The Alternative Aloha, sono state così belle. Infatti, qualcuno le considera migliori dello spettacolo televisivo. Originariamente era stato programmato che fossero solo prove generali, per rassicurarsi che ogni cosa fosse al suo posto, il suono e tutto. Ma decisero di filmarlo lo stesso.

D. Ci sono delle notizie di qualche anno fa, che lo spettacolo di prova generale fu anchetrasmesso live, ma solo alle Hawaii. Sai se è vero?

JW : Non credo che l’abbiano fatto, è stato solo registrato. La sala era bloccata. C’erano 2000 fan che arrivarono da tutto il Giappone solo per vedere le prove generali. Elvis, stava bene, non era mai stato meglio. La sua voce era potente, e si dilettava con la musica. Si divertiva a stare sul palco e intrattenere i suoi fans. L’altro show in cui fu splendido fu quello filmato per il That’s The Way It Is (10 agosto 1970). Era magro, felice, abbronzato, eccitato. E lo si vedeva e sentiva nella sua musica. L’energia diffusa quella sera avrebbe caricato sei città attraverso l’Australia. Questi sono stati quelli veramente spettacolari. Anche quello del Madison Square Garden, perché, per lui, era veramente una buona occasione per conquistare New York. I newyorkesi, per tradizione, non sono persone calde. Qualcuno pensava che non gli sarebbe piaciuto. Ma sicuramente, è piaciuto a tutti.

D. Quali erano le canzoni che preferivi suonare con Elvi, sul palco?

JW: Mi sono sempre piaciute i suoi rock ‘n roll, come Teddy Bear, Mystery Train, Johnny B.Goode, All Shook Up. Ma mi piacevano anche quelle che richiedevano la grande orchestra, come Help Falling In Love, An American Trilogy, My Boy, My Way. E amavo anche quella di Perry Como It’s Impossibile. Veramente una canzone molto bella.

D. Com’è andava quando faceva quegli scherzi, dove improvvisamente eseguiva qualcosa che non avevi mai fatto. Paura?

JW: Il fatto è che n, a sua insaputa, provavamo quasi tutti i singoli pezzi che faceva. Non ne era al corrente e noi non glielo abbiamo mai detto. Ma non c’era canzone che avrebbe potuto fare, che noi non sapessimo. Avevamo studiato persino quelle che non aveva registrato prima. Lui aveva la reputazione e l’abitudine di fare scherzi, e noi adoravamo tirar fuori quello che lui chiamava Stump the Band (Libera la Band), Perciò, alle volte, si fermava a metà canzone e diceva: “Non voglio fare questa. Facciamo Broken Heart” o qualche altra cosa sconosciuta. Lo affascinava sempre. Diceva “Come fate a conoscere questa canzone?” e noi “Lo sai capo che noi siamo sempre pronti. Non puoi fregarci”

D. Com’era lavorare con Elvis in studio?

JW: Era sempre una cosa da notte intera. Se, ad esempio, la session iniziava alle sette del pomeriggio, lui non sarebbe arrivato fino alle 10. E dopo aver ascoltato le demo delle canzoni, e quando capitava, che volesse incidere quello che Felton Travis gli aveva portato, allora iniziavamo a suonarle. Se trovava una canzone che gli piaceva, la faceva e rifaceva fino a che diventava come la voleva lui. Talvolta, non uscivamo dallo studio prima delle 4 e della mattina dopo. Lui aveva sempre mille attenzioni per noi, c’era sempre da mangiare, così non saremmo morti di fame. Lavorava molto ed era un perfezionista. Non c’era mai una sola take di una canzone. Voleva fare parecchie takes e poi sceglieva la migliore.



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