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Vecchio 16-08-2008, 06:11
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Elvis Golden Fans
 
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Predefinito Re: 16/08/1977 - Le Reazioni

JERRY SCHILLING - Dal libro “Me And A Guy Named Elvis” – Jerry Schilling (pubb. 2007)


Il 16 agosto 1977, era nella terrazzo della casa sulla collina, che Elvis mi aveva regalato. Avevo lavorato fino all’ultimo minuto per la preparazione del tour dei Beach Boys, mettendo ogni cosa al suo posto, curando ogni particolare e il telefono aveva suonato tutto il giorno. Tutto quello che restava da fare era solo salire sul primo aereo e questo sarebbe stato il mio primo vero tour, in qualità di tour manager della più grande band di rock and roll.
Guardavo l’arida collina sotto casa mia.
Negli ultimi anni, il Sud della California aveva sofferto la siccità e, dalla terrazza, mi stavo meravigliando di quanto i cactus e gli eucalipti riuscissero a sopravvivere al gran caldo secco.
Il telefono suonò di nuovo ed ero tentato di ignorarlo.
Era bello potersi finalmente godere la casa e il paesaggio, almeno per un momento.
Scelsi di andare a rispondere. A malapena riconobbi la voce stremata dall’altra parte del telefono, ma riuscii a capire che era Pat Parry, la donna che, in tutti questi anni, era stata amica di Elvis e di tutti noi ragazzi.
“Elvis è morto” disseRiagganciai il telefono. Inizia a piangere. Tornai in terrazza e stava iniziando a piovere.
Aveva solo 42 anni ed ora se n’era andato!!!
Non avevo dubbi che fosse vero, ma contemporaneamente non sembrava impossibile.
Il Lisa Marie era pronto per portare Elvis al prossimo tour, che doveva iniziare il 17 agosto. Adesso invece, Vernon stava mandando quell’aereo a Los Angeles, in modo tale che Priscilla, suo padre e sua madre, sua sorella Micelle, Joanie Esposito, Shirley Dieu, la fidanzata di Joe ed io potessimo arrivare a Memphis per il funerale di Elvis.
Rick Husty venne a prendermi per portarmi all’aeroporto. Non avevamo voglia di parlare. In macchina, Rick accese la radio, tenendola a basso volume, tanto per rompere il silenzio.
La radio trasmetteva Elvia. Era una ballata. Alla fine della canzone, il DJ disse “E’ una delle più belle canzoni cantate dal defunto Elvis Presley”.
Il defunto Elvis Presley!!. Questa espressione fu un duro colpo.
Era vero. Se n’era andato.
Quando arrivai all’aeroporto, il Lisa Marie era lì, ma non era arrivato ancora nessuno.
Le scalette erano giù e le porte erano aperte, così salii.
Pensai alle prime volte che ero salito su quell’aereo, quando ancora era vuoto.
Viaggio dopo viaggio a Meacham Field, ero a bordo a guardavo Elvis che eccitato, faceva foto agli interni che, gradualmente, erano stati trasformati e realizzati come lui li voleva.
Ora, ogni dettaglio dell’aereo era un’estensione di Elvis, dalle poltrone in pelle all’impianto intercom che aveva richiesto, al bar in che riempiva di soda e Mountain Valley Spring Water.
Con così tante cose di quest’uomo intorno a me, era difficile non pensare che, in un momento qualsiasi, sarebbe arrivato.
Mi diressi sul retro dell’aereo, verso la camera da letto. Appoggiati sul tetto c’erano un paio di pigiami, pronti perché lui potesse indossarli durante il volo. Sul comodino, c’erano alcuni tra i suoi libri preferiti, qualcuno aperto sulla pagina in cui aveva interrotto la lettura.
Stavo talmente male che mi sembrava di non riuscire a sopportare il dolore……… ma non era il momento di diventare sentimentale.

Sapevo che il giorno del funerale e quelli seguenti sarebbero stati insopportabili per Vernon, la nonna, Priscilla e Lisa, ed io volevo essere forte per loro.
C’erano molti dettagli da seguire e tante cose da fare e io volevo rendermi utile per qualsiasi cosa potessi fare.

Però, da solo in quella camera, mentre guardavo i pigiama vuoti del mio amico, provai il desiderio di toccarli.
Mi sedetti sul letto e presi la blusa del pigiama e la tenni stretta. Rimasi così solo un attimo e poi tornai nella sala riunioni, mi sedetti su una delle sedie in pelle e aspettai l’arrivo degli altri.
Quando, salita sull’aereo, vidi il dolore negli occhi di Priscilla, per me la perdita divenne ancora più reale. Ci abbracciammo per un momento, ma era difficile descrivere a parole quello che provavamo. Infatti, durante il volo diretto a Memphis, tra noi non ci fu molto di cui parlare.
In quel momento realizzai che tutti noi eravamo sotto shock, immersi nella tristezza così profondamente che non avevamo la forza di fare nient’ altro.
Ricordo che dopo circa un’ora di volo, sentimmo un inconfondibile odore di bruciato e notai subito che proveniva dall’interno dell’aereo.
Eravamo in un tale stato che pensammo immediatamente che a bordo fosse scoppiato un incendio.
L’equipaggio andò nella sala conferenze e realizzò che una coperta era stata a contatto con un filo elettrico scoperto e aveva iniziato a bruciare. La coperta era disintegrata. L’aereo continuò il suo volo verso Memphis.

Arrivati a Graceland, i Vernon era in una stanza sul retro, seduto e alla vista di Priscilla scoppiò in un pianto incontrollabile.
Mi avvicinai e misi la mia mano sulle spalle sperando di riuscire a dargli un po’ di conforto.
Vernon aveva dato disposizioni che la bara venisse esposta al pubblico, nella sala da pranzo di Graceland, in modo tale che il maggior numero possibile di fans potesse portare i suoi rispetti ad Elvis.
Alla fine, ci fu il momento riservato ai famigliari e alle persone più vicine ad Elvis.
I ricordi ormai sono confusi, ma ho un particolare molto presente nella mia mentea: per tutto il tempo in cui noi amici e i membri della famiglia hanno potuto onorare la salma, si sentiva un unico suono che attraversava la stanza: le continue urla di dolore di Vernon.
Ricordo che, dopo il servizio privato, salii nella stanza di Nonna Presley. Era già molto vecchia ma ora sembrava particolarmente piccola e fragile. Lei ed Elvis avevano condiviso la casa praticamente dal giorno in cui Elvis era nato e lui ci teneva molto a lei.
Sul piccolo comodino vicino al suo letto, teneva ancora due foto: una di Elvis, Gladys e Vernon e una di Priscilla. In quel momento prese la mia mano e con voce tremante mi disse: “Pensi che potresti tornare a vivere in questa casa figliolo?”.

Dopo il funerale rimasi impegnato abbastanza per permettere alle mie emozioni di non avere il sopravvento.
Pensavo di stare bene. Ma non era così. Carl e Annie mi chiesero come stavo ed io inizia a rispondere, improvvisamente sentii un pungo nello stomaco: non avrei più rivisto Elvis!!
In quell’istante tutto venne a galla, ogni cosa che per una settimana, avevo trattenuto: la rabbia, la collera, il dolore, la perdita, l’angoscia. Il mio migliore amico era morto e non dovevamo perderlo in quel modo.
Presi a pugni la parete rivestita in pietra, fino a rompermi la mano.
Carl e Anni cercarono di calmarmi e rimasero con me fino a quando la sofferenza e la rabbia non mi lasciarono sfinito
Elvis c’era stato per me in ogni giorno della mia vita ed ora io dovevo imparare camminare da solo.
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