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Vecchio 16-08-2008, 06:26
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Predefinito Re: 16/08/1977 - Le Reazioni

MARIAN J. COKE (La sua infermiera) – Dal Libro “I Called Him Babe” di Marian J. Cocke – (pubb. 1979)

La mattina del 16 agosto 1977, verso le 8 del mattino nel mio ufficio il telefono squillò.
Era Delta che mi informava che Elvis mi voleva vedere prima di partire. Parlammo un paio di minuti e poi riaggianciai. Dopo circa 20 minuti il telefono squillò di nuovo. Era Elvis che voleva sapere se sua zia Delta mi aveva chiamato.
Dissi di sì e mi chiese se prima della sua partenza potevo andare da lui. Dissi che avrei finito il lavoro verso le 15.00 e poi sarei andata da lui.
Mi disse anche che aveva riservato per me 4 biglietti del concerto che avrebbe fatto al suo ritorno in città e aggiunse che avrebbe letto un po’ e poi avrebbe cercato di dormire.
Verso le 15.00 mi trovavo di nuovo nel mio ufficio quando sentii che l’ ”Harvey Team” era stato chiamato per un’emergenza.
L’Harvey Team è quella squadra che viene chiamata sempre quando una persona ha avuto un arresto cardiaco. Pensai “Speriamo facciano in tempo”.
Andai nell’ufficio delle infermiere e scoprii che qualcuno mi aveva cercata.
Risposi e verificai che era il 5118, vale a dire l’ufficio di Maurice Elliott.
Chiamai e Carolyn Pulliam mi disse che l’Harvey Team era per Elvis.
Riagganciai il telefono ed immediatamente andai di corsa all’ E.R.
Quando entrai in sala emergenze, vidi Charlie Hodge e Joe Esposito. Charlie mi abbracciò e mi spiegò che la situazione era grave e io mi sentii andare in pezzi.
Lui e Joe, insieme al supervisore dell’ER, Annett Binggham, mi portarono in una stanza vuota, dove rimasi qualche minuto.
Lei disse che era meglio se andavamo nel suo ufficio e così mi portarono là. Quando fui in grado di ricompormi, dissi che volevo andare da Elvis.
Quando entrai nella stanza, John Quartermous stava facendo la rianimazione cardiaca. La stanza era piena di gente e c’era anche il Dr. Nick.
Lui e John mi guardarono e lessi quello che raccontavano le loro facce. Non ero riuscita a vedere Elvis. Owen Taylor, uno del reparto, sapeva che mi ero sempre presa cura di Elvis, così venne al mio fianco e mise il braccio intorno a me. Mi chiese se ero sicura di voler restare. Dissi di sì, così mi prese il braccio e facendo spazio tra gli altri, ci avvicinammo e riuscii a vedere Elvis. Quando me lo trovai davanti le mie ginocchia diventarono deboli ed Owen mi sorresse più forte. Io dissi “Per favore, fermatevi”. Era evidente che l’anima di quel ragazzo aveva lasciato il suo corpo già da parecchio e non riuscivo a sopportare che continuassero ad accanirsi. John guardò il Dr. Nick e questi gli disse di interrompere la rianimazione. Quando verificò che nell’ECG non c’era alcun tracciato, decise di smettere.
Venne da me, mi abbracciò ed uscimmo.
Il mio ragazzo se n’era andato………
Andai dai ragazzi, Joe, Al, Billy e Charlie e Maurice Elliot. Mr. Elliot mi chiese se stavo bene e io dissi di sì. Rimasi con i ragazzi un minuto, poi tornai nella stanza di Elvis per prendere il suo pigiama e togliergli la catena dal collo. Tutti erano ormai usciti dalla stanza, tranne due infermiere e un assistente che stavano preparando il suo corpo per trasferirlo nell’obitorio. Il suo pigiama e la catena non ‘c’erano più. Li avevano portati in ufficio.
Mi soffermai a guardare il suo viso prezioso. Il ciuffo di capelli neri era sceso sull’ occhio sinistro. Lo baciai sulla guancia e uscii.
Mi fermai in infermeria e raccolsi le sue cose per riportarle a Graceland.
Mr Elliot aveva già ricevuto delle chiamate che chiedevano della sua “infermiera preferita”.
Io non volevo vedere nessuno e non riuscivo nemmeno a pensare che avrei dovuto andare a Graceland.
A casa il telefono squillò tutta la notte con chiamate che provenivano da chiunque, vicini e lontani. Gente che andava e veniva in continuazione, mentre io sentivo la terra mancarmi sotto i piedi.
Non riuscii a dormire per tutta la notte. Mi alzai molto presto e andai a lavorare. Mi chiamò Maurice Elliot per sapere come stavo e per dirmi che avrei potuto prendermi una settimana di riposo. Così, a mezzogiorno me ne andai per dirigermi a Graceland. Mi era stato chiesto se volevo parlare con la CBS. Concessi l’intervista e fui ripresa dal cameraman. Dopo venti minuti partii per Graceland.
Che folla! Non riuscivo a passare, ma finalmente riuscii a farlo passando dal retro della casa e un poliziotto parcheggiò la mia macchina.
In salotto c’erano Al Strada, Dick Grob e Billy Smith. Mi diressi verso la cucina e vidi Delta. Ci abbracciammo e lei disse “Hanno già portato a casa Elvis,, Vieni a vederlo” La sala da pranzo era stata liberata dai mobili e erano state allineate alcune sedie. Era piena di fiori e il corpo del ragazzo che era entrato nel mio cuore due anni e mezzo prima, giaceva nella bara di rame.
Gli dissi “Ciao, Babe”, così come lo salutavo quando arrivavo da lui.
Indossava un vestito bianco, una camicia azzurra e un cravatta di seta bianca. Al dito aveva il suo anello TCB con diamanti a 11 carati. Il modo in cui la sua mano giaceva di lato, rendeva l’anello molto visibile. I suoo capelli neri erano pettinati e il suo ciuffo, che normalmente cadeva sull’occhio sinistro, era stato pettinato all’indietro.
In quel momento appariva come il ragazzo che avevo imparato ad amare sempre di più.
Delta mi lasciò sola. Poi arrivò Charlie. Parlammo qualche minuto e io mi scusai.
Poi andai in salotto e firmai i registro.
C’era una ragazza snella con i lunghi capelli neri che firmava il registro e quando si girò vidi che era Priscilla.
Lei immediatamente mi mise le braccia al collo e disse “Oh. Mrs. Coke, grazie infinite. Elvis le voleva molto bene e lui è stata molto buona con lui”.
Scoppiammo a piangere tutte due e io dissi “Grazie per dirmi queste parole. Anche lui amava lei”.
Quando il giorno dopo, prima del funerale, andai a dare il mio ultimo saluto ad Elvis, sapevo che sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto.
Per l’ultima volta dissi “Ciao Babe”. Parlai con lui per alcuni minuti, gli dissi quanto avesse contato per me, gli accarezzai la guancia, lo bacai sulla fronte e me ne andai.
Era il mio bambino, il mio amico, il mio confidente. Avevamo riso e pianto assieme tante volte. Non dovevo più piangere perché sapevo che ora stava bene.
Niente e nessuno avrebbe più potuto fargli del male.
Era stato tradito da persone che lui chiamava amici, era stato diffamato da coloro che lo invidiavano e tutti avevano tratto vantaggio dalla sua natura generosa.
Ora nessuno e niente altro avrebbe potuto toccarlo!!!!
Al funerale vidi tanti personaggi famosi, tra cui George Hamilton (che non conoscevo) Ann-Margret e suo marito George Smith. E’ stato detto che c’erano anche John Wayne, Sammy Davis Junior e altre stars, ma non è vero.
Peccato che Calorine Kennedy non sia venuta per fare le sue condoglianze, ma solo per guardare il tutto e vendere la storia. Rimase nella casa circa 10 minuti e nelle cose che ha scritto ha inserito delle informazioni che non sono così precise.
Poteva risparmiarsi il viaggio e rimanere a casa.
Spero che dopo aver letto questo libro, abbiate capito chi era l’Elvis che io conoscevo.
Era un uomo buono, gentile, generoso e un uomo adorabile.
Non ha mai dimenticato la sua educazione. Molto spesso parlava degli anni “magri”. Il suo più grande piacere era fare del bene agli altri e credo che nessuno l’abbia mai battuto per la sua generosità e gentilezza.
Non mi riferisco a quando ha dato ai suoi amici – le cose materiali – intendo quanto ha dato al mondo: la beneficenza le persone che ha aiutato negli ospedali, le fatture che ha pagato per persone che nemmeno conosceva, l’uomo che una sera mi disse “Alle volte penso che una delle cose che mi farebbe piacere più di tutto, sarebbe regalare tutto questo e attraversare il cancello con mio padre, in tuta e scalzo, ma libero”
Babe, vivere nel cuore di coloro che ti amano e lasciare tutto alle spalle, non è morire!!
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