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Vecchio 31-01-2007, 13:47
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Predefinito Intervista A Jerry Scheff

Intervista a Jerry Scheff – Giugno 2001

Quando Elvis cantava una canzone, capivi subito che la canzone attraversava la sua mente.

Ho deciso di dividere questo articolo in 2 parti, Nella prima, Jerry racconta del suo background e della sua carriera. E’ difficile fare altro se non raccontare i fatti più importanti e fare riferimenti al libro “Elvis. La sua vita dalla A alla Z.” Così ho pensato che, fosse necessario, qualche riferimento al background

Parte uno: Jerry parla di Jerry

Sono cresciuto nella zona della baia di San Francisco. Alle elementari suonavo la tuba ed ho iniziato a suonare il basso nel 7° anno. Suonavo in un’orchestra sinfonica junior, ma a 12 anni, in quella della scuola e suonavo anche la tuba nella banda municipale di Vallejo. Poi, quando avevo 14 anni, ci siamo trasferiti a Sacramento, CA. Mia madre mi supportava molto e mi portava a vedere i concerti di Jazz dell’Orchestra Filarmonica e Lionel Hamptons. Al tempo, suonavo moltissimo jazz e musica classica e ascoltavo sia il classico che il R&B nero alla stazione Jazz di Oakland, C.A. A 15 anni circa, iniziai a suonare nei club e nelle sessioni “after hours”. Suonavo soprattutto con musicisti Jazz che erano nello scenario della East Coast Jazz. Nel 1957 e 1958 ho fatto qualcosa a San Francisco e suonato in un club che si chiamava “Jimbo’s Bop City”. Venivano a suonare tutti i musicisti jazz. C’è stato Mile Davis, come pure John Coltrae e la sua band. Non ho mai suonato con loro, sarei morto!! Era l’era beat e c’erano un sacco di droghe che giravano. Avrei potuto chiedere a qualche musicista per farmi ….. Ero una ragazzino magro bianco, con capelli stopposi e mi sentivo sempre ben tutelato. Fortunatamente non mi hanno tentato. Una mattina verso le 3 al Jimbo, una donna salì sul palco a cantare. Aveva una maglietta con una gonna e stivali da lavoro. Era il 1958 e non avevo mai visto nessuno vestito così. Si girò e disse “blues in F” e batteva il tempo con quei suoi stivali da lavoro. La polvere si alzò dal tappeto fino agli spots e partimmo. Ero in paradiso! La cantante era Big Momma Thorton.
Finii la scuola e mia madre mi suggerì di andare nell’esercito. Così entrai in marina e finii per entrare nella scuola di musica di Washington D.C. Si trattava di un corso del college della durata di 9 mesi e potevo studiare teoria e armonia, nonché suonare con qualche grande musicista. Poi continuando sono diventato insegnante. Nel 1961 mi sono sposato e ho avuto due figli Darin e Jasn, ora musicisti anche loro. Avevo voglia di spostarmi a Los Angeles e così senza dire niente ci sono andato e lì ho lavorato con Billy Preston, (che al tempo aveva 16 anni) in un club che si chiamava Sands. La mia vera carriera è iniziata a Los Angeles, dove dopo un mese ero già impegnatissimo. Non riesco a ricordare nanche la metà degli album nei quali ho suonato. Ho suonato molto con il batterista Jim Gordon, con il pianista LarruKnecta e il sassofonista Jim Horn. Abbiamo inciso con Johnny Mathis, Johnny Rivers, Neil Diamond, Nancy Sinatra, Pat Boone, Sammy Davis Jr., Bobby Vinton, The Everly Brothers, Nitty Gritty Dirt Band, The Ventures, Dionne Warwick, Barbara Streisand, Linda Ronstadt con i "Stone Pony's", "Sky Saxon and the Seeds,"il chitarrista di Flamenco Carlos Montoya, il citarrista Jazz Howard Roberts, Jim Neighbors, Leonard Nimoy, Judy Collins etc.… Iniziavamo al mattino e andavamo di studio in studio, alle volte 23 ore di session alla settimana. Non voglio entrare nel merito delle droghe, ma quella volta, ero molto influenzato dagli allucinogeni. Avevo una borsa piena di pillole di messalina ed iniziai a masticarne la mattina presto per poter mantenere un certo spirito per tutta la giornata. Ascoltando la prima session pensai che la mia parte sembrava una presa per i fondelli così nella seconda la feci più calma. Andò avanti così per alcune takes finchè il produttore venne da me e disse “Jerry, ti sei reso conto che stai minimizzando il ritmo? Dissi “ Sì, perché non va bene?” In quel periodo ricevetti una chiamata di andare a suonare con i Doors. Abbiamo passato sei settimane in studio per registrare “L.A. Woman” che divenne il miglior album. Usavano solo tastiere di basso e io fui contattato per unirmi a loro. Poi Jim Morrison andò a Parigi e morì.
Nel 1968, feci un album con James Burton. Non ricordavo l’artista, ma penso di essere piaciuto a James perché un giorno mi chiamò e mi disse che stava formando una band con Elvis Presley. Per me, andare a lavorare per Presley, era come andare a scuola. Non avevo mai suonato country e rock and roll. Non avevo idea di come sarebbe stato. La musica era così intensa e oggi, non riesco ad ascoltare nessuno degli album che abbiamo fatto, perché ognuno di loro mi crea sentimenti molto intensi. Ad esempio, ascoltare l’ELVIS LIVE AT MADISON SQUARE GARDEN. La mia unica scusa è, credo che, all’epoca, nessun altro suonasse il basso in quel modo. Nel 1971, per motivi di salute, lasciai L.A. all’apice della mia carriera e mi spostai in una piccola isola della British Columbia. Continuai a lavorare per Presley e volavo a L.A. quando c’erano albums da incidere. Nel 1973 abbiamo fatto l’Aloha From Hawaii e lasciai il lavoro con Presley, ma nel 1975, con un divorzio che si stava profilando e l’industria del disco più severa, tornai a L.A. e lavorai con Presley fino alla sua morte. Eravamo su un aereo privato diretti a Bangor Main, quando il pilota ci informava che dovevamo atterrare, credo fosse a Pueblo Colorado. Qualcuno chiamò Memphis e siamo stati informati che Elvis era morto. Per un po’ siamo rimasti sulla pista. L’unico rumore erano i singhiozzi di alcune persone. Abbiamo ripreso l’aereo e in silenzio siamo tornati a L.A. Quando atterrammo, c’era un temporale tremendo, ma tutti scesero dall’aereo e sparirono sotto la pioggia.
Mi sono risposato nel 1976 con quella che è ancora mia moglie Diane e ci siamo stabiliti a Malibu, CA mentre io ricostruivo la mia carriera in sala d’incisione. In quel periodo lavoravo per un album di Tanya Tucker. Stavamo parlando quando ricevetti la chiamata da un sassofonista Steve Douglas che mi disse che Bob Dylan stava provando e aveva licenziato il suo basso. Andai a suonare con lui e tutto ad un tratto eravamo sulla strada dell’Europa i tour, con un treno privato, mogli incluse…. Fu un anno meraviglioso tranne che per la disponibilità di cocaina della quale, velocemente, diventai dipendente. All’inizio del 1979 mi trovavo a Parigi per fare un album con Mink DeVille che si chiamava LE CHAT BLUE. Una sera, dopo due giorni che stavo sveglio, ero nella mia stanza all’Hotel Murice con una bottiglia di brandy e un grammo di cocaina. Mi chiedevo che differenza avrebbe fatto se io fossi saltato giù dalla finestra. Avevo la finestra aperta e guardavo il brandy vicino al letto. L’ho preso e ne ho bevuto un gran bel sorso e sono svenuto. Il giorno dopo, quando sono rinvenuto, ricordabo perfettamente quello che era successo Mi fece sentire così male che chiamai mia moglie per dirle che i miei giorni con la droga erano finiti e così fu.
Gli inizi degli anni 80 sono stati spesi per ricostruire la mia carriera in sala d’incisione. Alcuni dei miei vecchi compagni James Burton , Glen D. Hardin, Jom Horn e Hal Blaine avevano lavorato con John Denver per alcuni anni. Ermory Gordy era il bassista e aveva lasciato, così andai a lavorare per John. John era una persona molto gentile e generosa e ho lavorato con lui fino al 1993. Nel frattempo, nel 1986 stavo facendo delle sessions a L.A., quando mi chiamò il produttore T-Bone Burnette per andare a suonare su un paio di canzoni di Elvis Costello. L’album fu chiamato KING OF AMERICA e per la maggior parte del quale mi sono entusiasmato parecchio. Nel 1994 ho fatto tours con Sam Philips (la moglie di T-Bone Burnette, con la Virgin Records). Ho fatto 5-6 albums nel corso di 6-7 anni.
Credo che la ragione per cui ancora lavoro è che non ho paura di prendere le occasioni al volo. La maggior parte di produttori per i quali lavoro lo sanno e tante volte, per i periodi in cui cerco di non lavorare, mi danno del tempo per riflettere e dare alle cose una piega diversa. Ci sono talmente tanti meravigliosi bassisti in giro, ma alle volte (non sempre), mi fanno diventare parte di loro, per le mie piccole eccentricità e il mio spirito. Ma come filo conduttore cerco di usare la semplicità. Tuttavia, sento che, come chitarrista di basso, sto ancora crescendo. Non mi interessa molto se alcune cose sono vecchie, ancora riesco ad estraniarmi e ogni volta mi siedo per suonare un po’ di jazz e schiarirmi le idee.
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