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Vecchio 16-08-2008, 06:27
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Elvis Golden Fans
 
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Predefinito Re: 16/08/1977 - Le Reazioni

KATHY WESTMORELAND - Dal libro "Elvis and Kathy" di Kathy Westmoreland (pubb. 1987)

Quando presi l’aereo per andare al suo prossimo concerto, a Los Angeles pioveva.
Quando arrivai, c’erano già circa 10 musicisti e due membri delle Sweet Inspirations e come al solito, ci saremmo dovuti fermare ancora una volta a Las Vegas per prendere altri membri della band, prima di proseguire per Portland, Maine e unirci al resto della troupe.
Eravamo eccitati e l’entusiasmo era dato dall’essere nuovamente in tour.
Dopo tutto, avevo cantato con Elvis per sette anni e avevamo fatto migliaia e migliaia di miglia, ma era sempre bello rivedere il gruppo. Non c’è dubbio che eravamo tutti veterani di Elvis Presley e che avevamo passato molte cose insieme.
Dal momento che tutti sapevano che avevamo avuto una relazione intima e che lui, quando era giù di morale, mi telefonata di giorno e di notte, è comprensibile che qualcuno sull’aereo mi abbia chiesto “Come sta Elvis?”
Tutti sapevano che era ammalato e che ogni concerto lo portava ad essere esausto.
Non volli dire niente a nessuno, ma dentro di me, ero sorpresa che avremmo fatto questo concerto a Portland, Maine. Visto il peggioramento della sua salute e il modo in cui mi aveva parlato l’ultima volta che eravamo stati insieme, un mese prima, pensai che i suoi tours erano alla fine, tanto che la sera prima, dissi a mia sorella “Non meravigliarti se un giorno tornerò a casa”.
Ricordo che in aereo mi addormentai e che mi svegliai per capire dove stavamo atterrando. Non riuscivo a credere che fossimo già arrivati a Portland. E infatti non eravamo a Portland.
Dopo l’atterraggio tutti uscimmo per prendere una boccata d’aria fresca e stiracchiare i muscoli. Pensai che qualcosa non funzionava sull’aereo e se solo mi avessero detto che il pilota aveva ricevuto l’ordine di chiamare Memphis, avrei capito subito qual’era problema.
Era una bella giornata limpida, luminosa e ventilata. Tutto era successo così rapidamente che io ero ancora mezza addormentata e non riuscivo a pensare in modo razionale. Marthy uscì dal terminal e venne verso di noi.
”Venite tutti vicino, ho qualcosa da dirvi” disse
Tutti ci avvicinammo lentamente a Marthy e poi, con una voce sommessa, ma chiara disse: “Elvis è morto questa mattina. Dobbiamo tornare a Las Vegas e Los Angeles subito!”
Immediatamente mi sentii intontita e prosciugata di tutte le energie.
Dopo tutti quegli anni assieme, Elvis se n’era andato dalla mia vita e nonostante sapessi da mesi che la fine era vicina, fu uno shock sentire che era successo veramente.
I miei sentimenti erano misti: il sollievo che Elvis non avrebbe più sofferto unito a il mio senso della perdita che andava oltre le lacrime.
Infatti sono passati anni prima che sia riuscita a piangere veramente per la più grossa perdita della mia vita.
Il mio amico, il mio adorabile giocherellone, l’impareggiabile Elvis era morto!!
Ancora oggi mi è difficile crederci!!

In qualche modo raggiunsi il mio posto e iniziai a ricordare. Ricordai ogni momento. Ricordai in modo da riuscire a seppellire quei giorni meravigliosi per sempre e non riviverli più.
Volevo far allontanare il dolore e la devastazione che provavo, ma naturalmente non avvenne. Durante tutto quel viaggio da incubo per tornare a Los Angeles, la mia mente mi riportò verso tutti gli anni passati assieme.
Il mio dispiacere era talmente profondo che il mio cuore si rifiutava di alleviarne il peso attraverso le lacrime.

Sentii l’aereo che iniziava l’atterraggio e improvvisamente mi svegliai dal mio lungo sogno ad occhi aperti. Eravamo tornati a Las Vegas e sentivo un bisogno disperato di aria.
Dissi al comico Jackie Kahane che volevo uscire dall’aereo per un attimo. “No Kathy non puoi farlo. L’aeroporto è pieno di giornalisti che stanno solo aspettando di beccare qualcuno di noi. Penso sia meglio tu stia qui”
L’ultima cosa che volevo era parlare con la stampa, così rimasi dov’ero e subito dopo partimmo per Los Angeles.
Non so come, ma qualcuno aveva chiamato casa mia e Colette Doty era venuta a prendermi all’aeroporto.
Evitando i reporters in entrambi gli aeroporti mi fece ricordare cosa avevo risposto a qualcuno a Pueblo, quando, dopo aver saputo che Elvis era morto, disse “E’ finita” “No” gli risposi ”Non è ancora finita. Questa non è la fine”. E si può dire non è finita nemmeno oggi.
Durante il tragitto verso casa, pensai all’ultima telefonata che avevo ricevuto da Elvis.
Ricordo che dissi: “Perché un altro tour? Perché non riposi invece? Sei ammalato, Elvis e, per un po’, dovresti fare a meno di lavorare”
“Non posso Kathy. Non posso fermarmi adesso. Il Colonnello deve un sacco di soldi per debiti di gioco e se io non lavoro, alcuni ragazzi si troverebbe in difficoltà economiche. Hanno famiglia. Lo sai che ho 300 persone che dipendono da me”.
Quello che, solo pochi giorni prima, sembrava così importante per Elvis, certamente adesso non era importante. Poi però dovevo ammettere che sapevo quanto Elvis non riuscisse a stare a casa, aspettando che passassero i giorni.
Lui doveva sempre sapere che tenersi pronto per partire in luoghi dove avrebbe potuto toccare i suoi fans, cantare e intrattenere.
Per Elvis stare a casa sarebbe stata un altro genere di morte, un genere che lui non riusciva a sopportare.

Ora l’aereo si stava preparando per atterrare a Memphis. Quante volte avevo fatto questo viaggio, quante volte ero stata in questo stesso aeroporto? Non si potevano contare. Non aveva così tanta importanza, era solo un modo per evitare di pensare ad altre cose. Questo era il giorno che più avevo temuto.
All’aeroporto venne a prendermi il Dr. Nick. Ci abbracciammo ed entrambi avevamo le lacrime agli occhi.
Ci mettemmo due ore per arrivare a Graceland.
C’erano fans dappertutto, tutti in lacrime e tutti volevano avvicinare chiunque di noi cercasse di attraversare il cancello, alcuni pregavano e altri stavano fermi, sconcertati e tristi.
Naturalmente la macchina nera del bussiness era già partita: c’era chi vendeva ciondoli di Elvis, chi magliette, chi adesivi per le macchine.
I furgoni per la distribuzione dei gelati erano in fermente attività per saziare gli stomaci vuoti.
La notte prima del funerale, c’eravamo tutti, famiglia e amici.
Quando arrivai a Graceland, Priscilla fu una delle prime a salutarmi, così come J.D. che, abitando a Nashville, era già arrivato.
Priscilla mi abbracciò e poi prendendomi il braccio disse “Canterai al servizio funebre, vero?”
Era la prima volta che sentivo una cosa simile e dissi “No, non io”
J.D. mi venne vicino “Devi cantare tu, Kathy. Vernon mi ha detto che Elvis aveva chiesto di cantare Heavnely Father. E lo devi fare tu. Vernon vuole che sia tu”
Poi Priscilla guardò verso di me e disse “Ti prego fallo per noi” .
Mi resi conto che stavo accettando, chiedendomi, allo stesso tempo, come avrei fatto ad affrontare un simile travaglio.
Priscilla mi propose di farmi accompagnare da qualcuno per andare a vedere Elvis. Probabilmente pensava che io avrei potuto svenire o cose simili. Ma fece bene a preoccuparsi che non fossi sola, perché Vernon era distrutto e girava per casa piangendo e borbottando “Elvis, ragazzo mio, il mio ragazzo è morto. Se n’è andato!”
Con grande esitazione e il cuore pesante, mi avvicinai alla bara. Mi fermai un attimo per chiedere a Dio di darmi forza e poi guardai Elvis.
Aveva un vestito bianco, una camicia blu indaco e una cravatta bianca.
Al dito aveva l’anello con le lettere “TCB”. L’anello gli fu tolto prima della sepoltura, ma mi piaceva l’idea che tutti glielo potessero vedere al dito.
Charlie Hodge e Larry Geller gli avevano fatto i capelli e l’avevano truccato, per la sua ultima esposizione al pubblico. Mentre lavoravano sul corpo, Charlie aveva detto “E’ magro, adesso” L’eccesso di acqua aveva abbandonato il suo corpo e questo dimostra che Elvis non era grasso.
Trattenni disperatamente le lacrime, rimandandole indietro, mentre il dolore che avevo al petto quasi mi paralizzata.
Charlie arrivò vicino a me e accarezzando i capelli di Elvis disse: “E’ vero che è bello……. non soffre più…… non è più grasso.”
Io continuavo ad accarezzare le mani di Elvis, che avevano perso il gonfiore provocato dall’acqua e sembravano quelle che avevo conosciuto tanti mesi prima, perché, dopo tanto tempo, riuscivo di nuovo a vedere le ossa delle sue dita.
Charlie mi abbracciò e disse: “Nonostante tutte le relazioni che ha avuto, so che ti voleva bene, Kathy”

Mi è tuttora difficile spiegare alla gente che una parte di me è morta con Elvis.
Elvis era molto di più di un grande musicista e intrattenitore, molto più di un altro Valentino e molto di più di un uomo gentile e generoso.
Per me è stato molto di più di un amante. Certamente tra noi ci furono momenti difficili, ma in quei sette anni avevo imparato a capirlo. Ed era diventato qualcosa di più profondo dell’attrazione fisica.
Guardavamo alla vita allo stesso modo. Condividevamo il nostro senso dello humor. Eravamo cresciuti capendoci l’un l’altro ad un livello che va oltre la capacità o il bisogno di mettere insieme delle parole.
Elvis non era un fratello, era il mio compagno dell’anima e nonostante mi mancherà per il resto della mia vita, credo che ora sia vicino a Dio e ha trovato tutte le risposte a quelle sue GRANDI domande.
Ovunque sia Elvis Presley, posso assicurarVi che lì c’è una musica gloriosa.
Ricordo ancora la sua voce come fosse ieri, mentre mi dice :”Kathy, quando e dove ci incontreremo ancora, sarà molto più bello di quello che noi abbiamo immaginato su questa terra.”
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