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Vecchio 26-06-2009, 08:04
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Finali tragici, Da Janis Joplin a Kurt Cobain

Eccessi e fobie, lo stesso destino di Elvis

Stroncati dalla ric­chezza immensa, schiaccia­ti dal peso insostenibile delle os­sessioni, dei loro vizi, del loro talen­to

MILANO - Il re del pop e quello del rock’n’roll, morti nello stesso mo­do. La telefonata al pronto intervento dei sudditi terrorizzati, la corsa dei pa­ramedici nella villa del cantante più famoso del mondo, i tentativi di riani­mazione, lunghissimi, inutili. Micha­el Jackson come Elvis Presley, il 25 giugno 2009 come il 16 agosto 1977: il nero che voleva sembrare a tutti i costi bianco e il bianco che trasformò in fenomeno globale la musica dei ne­ri. Stroncati dai loro eccessi, dalla ric­chezza immensa e depredata da am­ministratori senza scrupoli, schiaccia­ti dal peso insostenibile delle loro os­sessioni, dei loro vizi, del loro talen­to.
Irriconoscibile e gonfio di hambur­ger, pancetta fritta e burro d’arachidi - cibo da poveri, l’unico che poteva permettersi di gustare da bambino, l’unico che si poteva mangiare senza le posate che non imparò mai a ma­neggiare - e di psicofarmaci inghiot­titi a manciate il re del rock’n’roll. Scheletrico e sfigurato da decenni di folle chirurgia plastica - ultimo ca­so, le recenti foto-tabloid spaventose delle orecchie quasi amputate per tra­piantarne le cartilagini in quel naso demolito da un trentennio di bisturi da espulsione immediata dall’ordine dei medici - il re del pop.
La villa Graceland di Elvis a Mem­phis, Tennessee, pacchiano nascondi­glio della star obesa e impotente di­ventato museo-mausoleo funebre da onnipotente faraone. E la villa di Nor­th Carolwood Drive, Holmby Hills, Los Angeles, ultimo rifugio da 100mi­la dollari di affitto al mese in cui Jack­son si era rifugiato al termine di un pellegrinaggio globale, Dubai, Las Ve­gas, dopo aver lasciato la grande villa di Neverland, l’isola che non c’è, in­quietante regno tra giostre e video­game del Peter Pan del pop processa­to per pedofilia e inseguito dai capita­ni Uncino dei tabloid e di Internet, spietati come i pugni di suo padre che lo terrorizzavano da bambino. Ed è così che la musica più popola­re del mondo uccide ancora una volta il suo sovrano: un altro genio sul tavo­lo dell’obitorio, come tanti altri re e regine prima di Michael Jackson. Co­me Janis Joplin poetessa infelice del blues - «Prenditi ancora un pezzet­to del mio cuore, baby / Se ti fa stare bene» - stroncata dall’ultima «pera» e dall’ultima bottiglia di bourbon be­vuta in solitudine.
Come Jim Morri­son, il re lucertola bellissimo e colto che passa dal sonno alla morte nel suo esilio di Parigi, il solitario del rock condannato ad avere la tomba al Père Lachaise trasformata in sbracato bivacco di «scoppiati». Come Jimi Hendrix genio mancino della chitar­ra, il Mozart della Stratocaster, morto a Londra - camera 507 del Sa­markand Hotel, nella Notting Hill non ancora cooptata dagli yuppies - soffocato dal suo stesso vomito. E co­me Kurt Cobain, eroinomane del grunge incapace di disintossicarsi e tormentato dalla «scimmia» sulla schiena, suicida con un colpo di fuci­le alla gola seduto nella foresteria del­la villa da milionario che odiava con tutte le sue forze, il simbolo del suo successo e - pensava - della sua ipocrisia. Quanto talento bruciato e quante la­crime - fatte versare e versate - an­che nell’ultima stazione del calvario del rock: la villa di re Michael a Holm­by Hills, quartiere di lusso attraversa­to come una ferita da Sunset Boule­vard, il viale del tramonto.


Matteo Persivale
26 giugno 2009
Questo articolo del Corriere della Sera è VOMITEVOLE !!!!!!

Spero che, dopo questo articolo, lascino riposare in pace anche Michae! Jackson
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