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Vecchio 17-08-2007, 08:17
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Da Repubblica.it

SPETTACOLI & CULTURA

Appuntamenti speciali a Memphis per la "Elvis Week" e tutto esaurito per i concerti virtuali dell'artista scomparso trent'anni fa. Ma ancora in molti non credono alla sua morte

Pellegrinaggio a Graceland - si celebra la leggenda di Presley

di RITA CELI



E' STATA una lunga notte a Graceland. In migliaia hanno vegliato davanti ai cancelli aspettando l'apertura di quella che è stata l'ultima residenza di Elvis Presley, per essere tra i primi a piangere sulla tomba dove riposa in pace da trent'anni. Con una candela, un fiore o cantando una canzone, i fan hanno atteso per ore l'apertura della villa a Memphis, che in questa settimana ospita la Elvis Week. Un appuntamento che si ripete ogni estate, ma che quest'anno prevede iniziative speciali in occasione del trentennale. E l'America è invasa da riedizioni di dvd e cd con film e concerti dell'artista.

A Graceland, trasformata in un santuario dedicato alla leggenda del rock, il pellegrinaggio non ha mai fine, anche se è particolarmente intenso in questa ricorrenza, così come accade per il suo compleanno, l'8 gennaio (sul sito ufficiale di Elvis c'è già il programma e sono in vendita i biglietti per le prossime celebrazioni dal 5 all'8 gennaio 200. E così il mito riprende vigore, facendo tornare alla mente le movenze, il ritmo e i successi di Elvis, indimenticato artista che cambiò radicalmente la storia della musica e non solo.


Elvis come Marilyn o Jfk. Come era già accaduto per Marilyn Monroe o John Fitzgerald Kennedy, la scomparsa prematura innescò non solo una serie di teorie cospirative, ma anche un'eredità che dura ancora oggi. Quando fu trovato riverso sul pavimento del bagno a Graceland, quel 16 agosto 1977, Elvis era ormai grasso e sfigurato. Trasportato al Baptist Memorial Hospital, fu dichiarato morto nelle ore successive. La causa ufficiale era un attacco cardiaco, ma il decesso era l'esito di anni di declino: pillole antidepressive, droghe, cibi spazzatura. A 42 anni sembrava solo una pallida copia del giovane re del rock'n'roll che aveva fatto impazzire il mondo negli anni 50 e 60. Il giorno dopo la morte avrebbe dovuto tornare sul palco, per un concerto in Maine, ma nessuno può dire se ce l'avrebbe fatta.

"Elvis non è morto..." Non è morto e vive sotto mentite spoglie in qualche angolo del mondo. Nel corso degli anni Elvis è stato avvistato negli Usa, mentre acquistava una lattina di birra in un supermercato del Texas, a bordo di un'automobile in una strada di Seattle e mentre camminava in una cittadina dell'Illinois, ma anche in Europa, nel ristorante di un città tedesca. Il mito di Elvis è anche questo. A riaprire il caso è la versione latinoamericana della rivista Rolling Stone dove si legge che Elvis non è morto, ma sarebbe il protagonista di uno dei piani per la protezione di testimoni più elaborato di tutti i tempi.

"...e vive in Argentina". Il magazine racconta che dopo la morte ufficiale, un uomo molto somigliante a Presley, chiamato John Burrows, pseudonimo usato spesso dall'artista, fu notato mentre acquistava un biglietto aereo per Buenos Aires. Fu proprio in quella circostanza che Presley incontrò in segreto il presidente degli Usa Richard Nixon, informandolo a riguardo della condotta illegale di altre celebrità dell'epoca e offrendo i propri servigi nella lotta contro la droga. Elvis fu quindi "fatto sparire" per salvargli la vita, e venne trasferito - questa la novità mai evocata prima - in Argentina, "in una zona ad ovest nella provincia di Buenos Aires", dove risiederebbe da allora con una nuova identità.


Graceland, santuario del re del r'n'r. Graceland, la villa coloniale comprata da Presley nel 1957, da quando è stata aperta al pubblico nel 1982 è un'attrazione da 600 mila visitatori l'anno e un biglietto d'ingresso che va dai 25 ai 68 dollari. La Ckx di Manhattan, società che dal 2005 controlla Graceland e tutti i proventi legati a Elvis, ha in serbo progetti che puntano a farne un'icona anche per le prossime generazioni, in modo da evitare che l'invecchiamento dei fan faccia ingiallire anche il loro idolo. Un progetto da 250 milioni di dollari prevede di realizzare in tre anni a Graceland un "visitor center" da 7.400 metri quadrati, un mega hotel e un museo high tech dove le nuove tecnologie permettano di assistere a concerti virtuali di Elvis.

Tutto esaurito per il concerto virtuale. Giovani o vecchi che siano, i fan non rinunciano a una esibizione di Elvis, anche se virtuale, e si registra il tutto esaurito al concerto in programma nell'ambito della settimana di celebrazioni a Memphis: i promotori hanno dovuto organizzarne un secondo, per far fronte alla richiesta di biglietti.

Scozia, polemiche sugli antenati. Mentre a Graceland si celebra il mito, dall'altra parte dell'Oceano in un gruppo di villaggi scozzesi infuria il dibattito sulle sue origini. Che gli avi di Elvis fossero scozzesi, sembra fuor di dubbio: il cognome Presley è tipico dell'Aberdeenshire (nordest della Scozia). Ma nessuno è d'accordo sull'origine esatta della famiglia. E se per la maggior parte dei paesani è sufficiente celebrare il legame Elvis-Scozia (per il trentennale è stato presentato un Elvis Tartan, una stoffa quadrettata tipica, nei suoi colori preferiti, nero, celeste, rosa e oro), per altri, rivendicare la lontana parentela è un punto d'onore.

Secondo la storia "ufficiale" Andrew Presley sposò Elspeth Leg nel 1713 nella chiesa di Lonmay, nell'Aberdeenshire. Il loro decimo figlio, chiamato Andrew come il padre, imparò il mestiere di fabbro, e se ne andò in America. Da lui discese Elvis Aaron Presley, che avrebbe cambiato la musica mondiale. Tutte balle, dice Jack Pressley (con due esse), 91 anni, residente della vicina Fraserburgh: "Loro pensano all'Andrew sbagliato" dice, tirando fuori un lungo albero genealogico. "Fu un nipote di quell'Andrew che andò in America, e non il figlio". Non è d'accordo Allan Morrison, autore del libro The Presley Prophecy, che scoprì le origini scozzesi del musicista anni fa. Su una cosa però sono tutti d'accordo, il turismo locale, in una zona alquanto depressa, dovrebbe sfruttare di più questa "Elvis connection": "Se qui fossimo in America - dice Morrison - ci sarebbero statue dappertutto e orde di turisti. Ma gli scozzesi non sono bravi a fare queste cose".

(16 agosto 2007)
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