Discussione: Frammenti di Memphis
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Vecchio 23-04-2011, 11:25
Ariadne Ariadne Non in Linea
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Predefinito Re: Frammenti di Memphis

Mentre lui si toglie la giacca, io guardo fuori dalla finestra. «Ricordati, apprezza le persone dotate di senso dell’umorismo». Già, facile a dirsi. Mi trovo in uno stato di semicoscienza. Ci manca poco ed esco dal mio corpo per quanto mi sembra di essere estranea a me stessa. Non sono io che sto vivendo questi momenti, ma un’altra. Cerco di fare respiri lunghi per rilassarmi un po’ fino a che lui non mi chiama per farmi sedere. Per tutto il tempo, ho continuato a sentire il suo sguardo fisso su di me e brividi di freddo si sono alternati ad ondate di calore lungo tutta la mia schiena. Evidentemente, aveva già ordinato un pasto sostanzioso, con molte portate. Lo guardo avventarsi sulle uova con pancetta che sono nel suo piatto e mi viene da sorridere, per la prima volta da quando sono entrata. Improvvisamente, ogni tensione svanisce. «Ho una foto a casa mia, in un libro, di una personaggio famoso che sta nella sua identica posizione. Accidenti, lei gli assomiglia parecchio, sa?». Devo aver colto nel segno, perché la sua ilarità ora è incontenibile. Il resto della conversazione non lo ricordo più. E’ come un sogno che al mattino svanisce: per quanto possiamo fare non riusciremo mai a riportarlo alla memoria. So solo che ad un certo punto lui, cambiando espressione, mi domanda preoccupato:«Non sarai per caso la versione femminile di Joe Black, vero? Sei piombata qui all’improvviso dal nulla ed è tutto così assurdo che… ». «No, stia tranquillo. Lo stavo dicendo all’inizio, prima che lei mi interrompesse: “…non sono neppure l’angelo della morte”. «Allora perché non posso sapere il tuo nome? Tu conosci il mio». «Perché così non potrà dimenticarlo domani». Dopo questo scambio di battute, l’atmosfera dell’incontro si fa diversa. Quello che è successo non posso raccontarlo, non ci riuscirei. Quando arriva per me l’ora di andare via, sento la mia anima dilaniarsi. Ma non ho scelta: devo aprire quella porta e sparire per sempre. Le nostre vite sono come due rette parallele, destinate a non incontrarsi mai. Non eravamo veramente io e lui oggi in questa stanza. In realtà, noi non ci siamo mai parlati, né abbiamo mai …Mentre ci diciamo addio mi sta così vicino che riesco a sentire il suo respiro. Allora capisco cosa voleva intendere il poeta turco N. Hickmet quando ha scritto:«Il più bello dei nostri mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto». Così, sento l’impulso di dire: «E’ quella che non ha ancora cantato», come rispondendo ad una domanda mai formulata. «Cosa?», mi chiede lui, comprensibilmente confuso, ed io «la sua canzone più bella....E’ quella che non ha ancora cantato». Mi giro un’ultima volta a guardarlo prima di allontanarmi. I suoi occhi ora non sono più sospettosi e guardinghi. In realtà, sembrano persi in un tempo lontano. I suoi capelli sono bianchi come la neve, ma lo spirito è indomito. Non è cambiato niente: è ancora l’uomo più bello e più carismatico. Peccato che il mondo non lo saprà mai.
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