Discussione: speriamo in bene...
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Vecchio 26-10-2006, 17:44
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Predefinito speriamo in bene...

ragazzi... oggi ho scritto questa cosa... ditemi che cosa ne pensate... siate crudeli... è necessario.... ok, spero che vi piaccia... e scusate, 'chè è molto lunga... ciao ciao


“Caro Elvis,
per colpa tua ho perso tutti i miei amici, il mio ragazzo mi ha lasciata e non posso vivere una vita normale. Si, perché io sono quella strana ragazza che ama quello strano cantante di nome Elvis. Scusami, io ci ho provato, ma non posso rinunciare alla mia vita per te.” Questo ciò che ho scritto pochi giorni fa. Sono solita registrare i miei pensieri, non perché qualcuno li legga, ma solo per fare un po’ di ordine nella mia mente, spesso molto confusa. Il giorno in cui pensai queste cose era stato davvero terribile: avevo perso tutti i miei amici e il mio ragazzo mi aveva lasciata in tronco, sempre per colpa sua. Ma non avrei mai immaginato che cosa poi mi è effettivamente successo. Il pomeriggio successivo, ero nel mio giardino a leggere e a sognare ad occhi aperti; è un piccolo cortiletto, davvero meraviglioso in questo periodo, con i fiori appena sbocciati, ancora freschi di rugiada e che emanano un profumo intenso e dolce e gli alberi alti e verdeggianti, che sfoggiano le loro rinnovate foglie primaverili, mostrandosi in tutto il loro splendore.
Ero seduta sul dondolo, circondata dalla natura, a sentire il leggero soffio del vento sul mio viso, e non facevo altro che sognare… non potevo desiderare di più di così, il profumo nelle narici e il vento fra i capelli e i problemi che sembravano così lontani da me in quel momento.
Sentii improvvisamente il dondolo muoversi sotto di me; pensai fosse un mio qualche parente, in quanto noi viviamo in una grande casa tutti insieme, così mi girai appena. Avevo già costruito l’immagine di mio cugino nella mia mente, quindi quasi non mi accorsi che non era lui. Realizzato il concetto, ritornai con gli occhi su quella persona seduta al mio fianco. Meraviglia. Pantaloni e giacca neri, eleganti e che profumavano come il giardino in torno a noi, camicia rossa e scarpe a punta scure. Aveva i gomiti sui ginocchi, le mani unite, quasi in un segno di preghiera e lo sguardo completamente perso nel nulla.
Il cuore marciava nel mio petto; la voce non voleva uscire dalla mia gola; rimasi incantata a fissare quell’uomo finché lui non si girò a guardarmi. Allora, con uno sforzo sovraumano, riuscii a buttar fuori la voce, che tuttavia uscì in un sussurro. “Chi sei?”
Sapevo chi era e molto bene. La mia era una domanda quasi retorica, mi venne istintiva. Avrebbe potuto dire un qualsiasi nome in quel momento, ma io avrei capito lo stesso. Era lui. Era di fianco a me. “Sono Elvis” Era vero? Era un sogno? Non lo so proprio.
Adesso mi sembrava che il cuore potesse esplodere. Continuava a guardarmi negli occhi, con uno sguardo più dolce dello zucchero. Non mi sentivo in soggezione, solo un po’ a disagio. I capelli erano un sogno, il viso era un sogno, lui era un sogno. Era tutto un sogno?
Si alzò di scatto mentre io perseguivo a fissarlo, con un misto di incredulità e di gioia, sebbene solo la prima si notasse. “Andiamo” ed io lo seguii. Dove voleva andare? Camminò con le mani in tasca fino a che non arrivammo, di fianco a me, che proseguivo a testa bassa, rossa in viso e col cuore che ancora non poteva calmarsi. Facemmo una strada che non avevo mai visto prima, deserta, circondata di case addossate le une alle altre. Non c’era anima viva in giro. Si fermò e con lui anche io. Mi aveva portata sul lago: adoro quel posto, è il più magico di tutta la città e io mi ci reco quando devo riflettere.
Il sole si specchiava nell’acqua sudicia, facendola apparire fresca e pulita come solo una sorgente di montagna può essere. Stranamente non c’era nessuno: di solito quello è un posto molto frequentato, da turisti e da atleti che corrono lungo la sponda.
Lui si sedette su una panchina di pietra, così io mi misi alla sua sinistra. Fissava l’acqua appena increspata dalla leggera brezza, che gli muoveva dolcemente i capelli. Poi prese a guardare me. Diversamente da quel che pensavo, riuscii a mantenere il suo sguardo, perché era dolcissimo e non si poteva non guardarlo. “Ti piace questo posto, tesoro?” “Si, molto” “è un peccato che l’acqua sia così sporca. Gli uomini dovrebbero capire che non possono fare della natura quello che più gli piace.” “Si, è vero”
Non potevo spiccicare parola. Non ci riuscivo, avevo la bocca impastata e temevo di dire qualche stupidaggine. “Tesoro, perché non parli?” “Non… non ci riesco.” “Hai paura?” “Si” “Di cosa?” “Non lo so” “Stai tranquilla.”
Non so che cosa avesse messo in quelle parole. Magia, forse? Sta di fatto che dopo che ebbe detto quella frase, il mio cuore si calmò finalmente ed io sentii che potevo parlare.
“Scusami. Ieri ti ho scritto delle brutte cose, ma non ne potevo più di essere presa in giro per te.”
“Gli altri ci mettono spesso a dura prova” “Quello che vorrei è solo un amico vero e sincero con cui poter parlare” “Si, anche io”
Poi mi mise la mano sinistra sulla spalla. La sentii scivolare lentamente fino alla vita, ma non lo guardai, rimasi ferma a fissare il lago. Allora mi strinse un po’: mi girai e lui mi sorrise semplicemente. Mi riempì il cuore di tale gioia… Niente avrebbe potuto rovinare la mia felicità in quel momento.
Cercai di avvicinarmi ancora, scivolando sulla panchina e cercando di far sembrare i miei movimenti del tutto casuali. Lui se ne accorse, e mi tirò a sé stringendomi il braccio attorno alla vita. Osai addirittura appoggiare la testa sulla sua spalla. Non facevamo niente. Stavamo lì, a guardarci negli occhi, con i sorrisi e il lago a farci da sfondo.
“Tesoro, lo so che è dura. Perché anche per me è così. Ma tu vai sempre avanti, non fermarti e se senti che il fardello che ti porti è troppo pesante, allora prega. Perché il Signore è buono e ti ascolterà e ti aiuterà” “Si, lo so”
Allora iniziò a farmi domande. Voleva sapere tutto sulla mia vita, come io avevo voluto sapere tutto sulla sua. Gli parlai, in un modo che mai avrei pensato possibile per me. Per una volta non portai nessuna maschera addosso, ero soltanto io. Mi ascoltò, cosa che nessuno aveva mai fatto prima. Cercò di stimolarmi ancora a parlare, ma in realtà non mi servivano incitazioni: ero totalmente a mio agio, potevo parlare con lui come con nessun altro, potevo essere me stessa. Fu una sensazione magnifica.
Parlammo a lungo, o per meglio dire, io parlai e lui mi ascoltò a lungo. “Sai per tanto tempo io ho ascoltato te, non avrei mai pensato che fosse possibile il contrario!” la buttai lì come battuta. Vederlo ridere era magnifico. Si, perché non restammo sempre seri, qualche barzelletta ogni tanto fece un bell’effetto su entrambi.
Si era fatto piuttosto tardi rispetto ai miei standard. Saranno state le nove di sera. Di solito tornavo a casa alle sette. Non che mi importasse: nulla poteva andarmi storto. Avevo ragione, anzi: qualcuno al di là del lago iniziò a far scoppiare petardi, cosicché vicino a noi si radunarono altre persone per vederli. Sembrava un’immagine rubata a qualche film d’amore: io e lui a guardare i fuochi, di sera, su un lago. Eppure ero sicura si essere lì. Mentre li fissavamo, ci stringemmo ancora di più… Bhè, ancora qualche centimetro, e gli sarei finita in braccio. Riallacciò il braccio alla mia vita, mi strinse forte, mi carezzò il viso con la mano destra e mi baciò dolcemente sulle labbra. Era magnifico. Tutto era magnifico, in quell’atmosfera quasi surreale.
Più tardi, quando i fuochi erano cessati e la gente se ne era andata, mi disse che era ora di andare. Allora tornammo nel mio giardino, ripercorrendo la desolata strada dell’andata, solo che ‘sta volta stavamo vicini e lui continuava a cingermi con il braccio, come se avesse avuto paura di perdermi.
“Devo andare ora” “Ti rivedrò?”
Non rispose. Mi abbracciò semplicemente e mi baciò la testa. A differenza di quello che sempre avevo pensato che avrei fatto sognando un momento come quello, lo strinsi anche io a me. Per un attimo diede un colpo più forte, senza farmi male e un attimo dopo sentii una lacrima cadermi sui capelli.
Poi ci separammo e lui si raccomandò che io non parlassi a nessuno di quella giornata. “A chi dovrei raccontarla? A quei finti amici che mi ritrovo?”
Allora riprese a stringermi “Io ci sarò sempre per te, tesoro” e se ne andò, esattamente come era venuto. Rimasi lì, con lo sguardo perso, senza pensare a nulla, con quell’aria inebetita tipica di chiunque abbia fatto qualcosa che mai si sarebbe aspettato.

Ora, mia cara carta, io riporto questa storia qui, perché so che tu la custodirai senza farne parola con nessuno. Comunque, da quel giorno, ogni volta che lo sento cantare, il suo dolce sguardo mi appare davanti agli occhi, cosicché io non sono mai sola.
Grazie Elvis
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