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Vecchio 13-09-2006, 18:06
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UNO STUDIO DI MASSIMO POLIDORO SULLA FINE PIÙ O MENO MISTERIOSA DI OTTO ICONE DEI NOSTRI TEMPI
Elvis Presley è vivo e Bruce Lee è morto tre volte

di Andrea Scanzi

Questo libro piacerebbe a Gil Grissom, il capo della Polizia Scientifica di Las Vegas attorno a cui ruota la serie Csi. Si intitola Elvis è vivo! (Piemme, pp. 431, e17,90) ed è un’indagine su otto divi più o meno misteriosamente scomparsi: Marilyn Monroe (morta nel 1962), Luigi Tenco (1967), Jim Morrison (1971), Bruce Lee (1973), Pier Paolo Pasolini (1975), Elvis Presley (1977), John Lennon (1980) e Kurt Cobain (1994). L’autore, Massimo Polidoro, conduce Legend Detectives su Discovery Channel ed è tra i fondatori del Cicap, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale. Otto files scomodi, otto incartamenti spinosi. Una ricognizione rigorosa ma non asettica: «Non volevo limitarmi solo agli aspetti legali o di Polizia scientifica», scrive Polidoro. «Ho deciso che avrei raccontato le vicende di otto icone partendo ogni volta dalle circostanze della morte per ricostruire, a ritroso, tutta un’esistenza, fino a giungere al momento fatale».

Elvis è vivo! applica gli strumenti di ricerca storico-scientifica alle morti di otto miti. Davvero Marilyn Monroe si uccise, o rimase vittima di un complotto dei Kennedy? Fu vero suicidio quello di Tenco? Era solo, Pino «la Rana» Pelosi, quando si fece scempio del corpo di Pier Paolo Pasolini? I misteri sono tuttora alimentati da una serie sconfortante di errori di base: indagini sbadate, autopsie arruffone, desideri di insabbiamenti e contaminazioni delle scene del crimine. Il cadavere di Tenco, prima spostato e poi riportato nella camera 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo; le testimonianze contraddittorie della cameriera di Marilyn; il corpo senza vita di Jim Morrison, trovato nella vasca da bagno della sua casa parigina e sepolto di nascosto a Père Lachaise. L’evaporazione muscolare di Bruce Lee, la consunzione esistenziale di Kurt Cobain.

Nulla, in queste morti, è pienamente chiaro. Soprattutto il dopo. Per capirlo, Polidoro analizza il prima e il durante. Ognuna di queste icone, in realtà giganti d’argilla, aveva corteggiato o comunque sentito la morte, dal «siamo tutti in pericolo» di Pasolini all’«odio me stesso e voglio crepare» di Cobain. Elvis inseguì l’oblio, e con lei Marylin, stordendosi con metodica disperazione. E Bruce Lee, il Piccolo Drago, morì tre volte: per una probabile allergia da cannabis, che provocò un edema cerebrale. Per la sua bara che si ruppe durante il funerale, inequivocabile prova secondo gli orientali che la sua anima non riposava in pace. E tramite il figlio Brandon, vent’anni dopo, accidentalmente, durante la lavorazione del film Il corvo: la fine che Bruce aveva profetizzato in L’ultimo combattimento di Chen.

Il vuoto lasciato dai miti che muoiono è così incolmabile da volerli immaginare nonostante tutto vivi: ecco perché «Morrison non è morto». Ecco perché «Elvis è vivo», celato sotto lo pseudonimo John Carpenter, le iniziali «J.C.» che stanno per Gesù Cristo e un lavoro come agente speciale dell’FBI, reparto antidroga. La «verità delle emozioni», come la chiama Polidoro, non può accettare l’idea che un mito sia morto per una casualità, e nulla diventa più credibile dell’incredibile: «Basta ignorare i fatti scomodi, alterare quel tanto che basta la verità e dare voce solo ai testimoni più improbabili. Le cospirazioni proliferano ogniqualvolta i fatti vengono calpestati». Fatti alla mano, le ipotesi più probabili sono quelle meno misteriose: Marilyn è morta per overdose di Nembutal, l’abuso di tranquillanti fu fatale al cuore appesantito di Elvis, «Re Lucertola» Morrison fu ucciso dall’eroina della compagna. Cobain morì di se stesso, Lennon non fu ammazzato da un improbabile sicario dell’Fbi ma dalla follia isolata di un fan che, prima di sparargli, si consultò con i «folletti dei muri» con cui era solito dialogare. Eppure tutto questo, e Polidoro lo ha ben chiaro, non basta per fugare ogni dubbio (anzitutto sulla morte di Pasolini). O per alleggerire le colpe dei vivi, ad esempio chi in quel Sanremo di quasi quarant’anni fa se ne fregò del «cantautore triste».

Elvis è vivo! si chiude con una «bonus track», relativa alla leggenda secondo cui Paul McCartney è morto il 9 novembre 1966, decapitato in un incidente stradale, e da allora è un sosia a sostituirlo. Pensando alla prescindibile carriera solista del Baronetto, si ha quasi la sensazione che in un certo senso il «vero» McCartney sia davvero morto quarant’anni fa. Ed è anche per sfuggire a quel tipo di morte, all’inesorabile decadimento del genio, al «meglio bruciare che spegnersi lentamente», che alcune di queste icone hanno scelto altre strade. Le più misteriose, le più definitive.
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