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La musica che non c'è /7 Bobby Solo – Brian Wilson
diGianni Giletti/ 27/03/2008




Anche l’italiano Bobby Solo può stupire allontanandosi dall’elegante rock ‘n’ roll a cui ci ha abituati e creando un disco che si richiama a Johnny Cash. Similmente, incuriosisce la storia di “Smile”, opera di Brian Wilson.

L’amante del rock 'n' roll Bobby Solo con il suo tributo all’americano Johnny Cash e il chiacchierato disco “Smile” di Brian Wilson, cofondatore dei Beach Boys, sono i protagonisti del settimo appuntamento curato da Gianni Giletti, membro della Fraternità del Sermig di Torino che ospita anche il Laboratorio del Suono. Una rubrica nuova, che parla di musica, ma non della solita “sbobba” che troppo spesso subiamo dai mass-media; parliamo di musica vera, che trasmette emozioni, che tocca il cuore e che non è tanto conosciuta. Meglio, tentiamo ogni settimana di trovare un disco - di ieri o di oggi - che ancora ci possa far sognare, spaziando un po' su tutti i generi. Le caratteristiche che deve avere il "lettore tipo" sono la curiosità e la ricerca della qualità della musica.


BOBBY SOLO, Homemade Johnny Cash - Azzurra music 2004

Un disco come questo ci fa capire quanto sono ingannevoli classificazioni e definizioni in campo musicale.

Bobby Solo (vero nome Roberto Satti), classe 1945, da decenni rappresenta, insieme a Little Tony, il mito di Elvis Presley formato Italia, con i vestiti bianchi attillati, i lustrini e le frange, le mossette e il ciuffo, la voce gigiona e lo sguardo languido.

Oggi rischiano di sembrare un po’ patetici e ridicoli, ma quando qualche anno fa, ormai attorno ai 60 anni, sono saliti sul palco dell’Ariston a Sanremo per cantare insieme Non si cresce mai, mi hanno fatto tenerezza e simpatia non solo per la canzone malandrina, ma per la fedeltà con cui recitano il loro ruolo artistico. A loro piace il rock 'n' roll, stravedono per Elvis e continuano a fare la musica che amano.

Sono “animali da palcoscenico” in via d’estinzione, d’accordo, ma mantengono la loro dignità artistica e oggi si sa quanto ce n’è bisogno! Ma tutto questo è per introdurre il disco di oggi, che devo dire mi ha sorpreso veramente.

“Homemade Johnny Cash” infatti è uno splendido tributo a quel gigante della musica americana che è Johnny Cash. Scomparso nel 2003, Cash è uno di quegli artisti che non solo ha fatto la storia della musica country - che era la sua “provenienza artistica” - ma ha attraversato con il suo carisma e la sua voce baritonale mezzo secolo di musica americana.

E qui Bobby Solo si trasforma, non è più il clone di Elvis, con ammiccamenti, mossette e sorrisi, ma diventa un brillante artista americano che rifà alcuni “classici” di uno dei suoi miti con un piglio e una personalità che lasciano sbalorditi. Qui il Nostro infatti non solo canta ma suona tutti gli strumenti (tranne la batteria) e si “permette” anche di scrivere un pezzo insieme a Tracy Quade, “Just one thing”, che ricalca in pieno lo stile di Cash.

Ascoltando il disco senza sapere chi è l’interprete, mai e poi mai penseresti ad un italiano e meno che mai a Bobby Solo! Quello che mi ha fatto intuire che questo era un disco speciale è stata l’assenza di pubblicità e di passaggi radiofonici che ha avuto; si sa, la roba seria – soprattutto musicale - difficilmente si sente in giro, occorre cercarsela con il binocolo.


Cliccando sulla freccina vicino alla scritta "Tracks 15" si ascoltano tutte le anteprime di 30 secondi del disco.


BRIAN WILSON, Smile

Il disco di questo numero non è un disco, è un mito. Più di un mito: una chimera, un sogno, una leggenda, una cosa che non c'è mai stata, data per dispersa, improvvisamente rimaterializzatasi a 40 anni dalla sua scomparsa.

A questo punto voi smettete di leggere. Per forza, direte, il rubricista, che una volta scriveva di musica, improvvisamente ha cambiato genere ed è passato alla fantascienza. Oppure semplicemente ha bevuto qualche bicchiere di troppo ed è un po' euforico.

Beh, niente di tutto questo: quello che ho detto sopra è la pura verità; Smile (sorriso) è veramente il disco con una storia tra le più incredibili nella storia del rock. Ma andiamo con ordine.

Dell'autore, Brian Wilson, un distinto signore americano di 62 anni, possiamo dire che è uno dei fondatori dei Beach Boys, mitico gruppo di pop-rock americano degli anni sessanta e uno dei più grandi compositori pop degli ultimi 50 anni.

La storia di Smile ha davvero dell'incredibile: siamo nel 1967, anno in cui i Beach Boys sono all'apice del successo, milioni di dischi venduti con una musica leggerina e sognante che fa pensare - come dicono loro stessi - al mare, al sole e alle belle ragazze.

Ma Brian non è soddisfatto, la musica che "deve" fare non è quella che "vuole" fare, inoltre comincia ad essere tormentato dalle nevrosi che lo porteranno negli anni seguenti a curarsi dagli psichiatri.

Organizza un colpo di mano: manda il resto della band in vacanza, acchiappa un paroliere (Van Dyke Parks) che definire estroso è un eufemismo, convoca in gran segreto alcuni musicisti a casa sua e compone quello che lui stesso chiama "una sinfonia adolescenziale rivolta a Dio".

Quando i Beach Boys tornano a casa trovano un matto (si dice che suonasse un pianoforte contenuto in un enorme scatolone pieno di sabbia!) ma anche una musica lontana mille miglia dal "sound spiaggifero e marittimo" che in genere producevano.

Discussioni a non finire tra i membri della band, fino a che si decide che il disco deve uscire. Ma in una notte di follia, Brian distrugge tutti i nastri in suo possesso e consegna il suo disco e se stesso alla leggenda. Da allora, infatti, si è creato un alone di leggenda attorno a Smile; ogni disco che usciva dei Beach Boys o di qualcuno dei suoi membri spuntava insistente la domanda: "Ci sarà un brano di Smile ?".

Nessuno, tranne i membri della band, lo aveva ascoltato, per cui si inseguirono i musicisti che avevano partecipato alle registrazioni, si favoleggiò di nastri scampati all'incendio, si citarono persone che erano presenti, si scrissero libri e romanzi sull'argomento... insomma una vera saga.

L'unico che poteva rispondere era sotto cura psichiatrica, eppure il mito sopravvisse nei decenni e ogni tanto qualcuno ritirava fuori l'argomento; sembrava una cosa tipo "Elvis è vivo e abita in campagna sotto falso nome", una bufala insomma. Ma non avevano fatto i conti con Brian, che verso la fine degli anni 80 si riprende e ricomincia a scrivere musica (il suo primo disco solista è del 198.

A tutte le persone che gli chiedevano di Smile, rispondeva con il silenzio. Fino a che, all'alba del 21° secolo, decide che è ora che Smile venga definitivamente alla luce. Richiama il paroliere di 30 anni prima, recupera una band, si barrica in studio e nel 2004 Smile esce dal mito ed entra nella realtà.

Va beh, mi direte, bella storia, ma il disco com'è? Qui sta la parte migliore della storia, perchè la musica di Smile ha un solo aggettivo che le rende giustizia: immaginifica, cioè immaginaria + magnifica!

Si tratta cioè di una musica che solo un genio come Brian "vede" e può trascrivere sul pentagramma. Non si tratta di musica a facile ascolto, è una "suite", però non si possono non ammirare le "visioni" di Brian, che unisce il pop al jazz, l'avanguardia e il rumorismo ai coretti stile Beach Boys. La parte vocale ha un’importanza centrale; oserei dire che è l'elemento che tiene insieme il disco e che ne innerva le varie sezioni.

Ne esce comunque un'opera omogenea, coerente nella sua visionarietà, che Brian ha presentato a Londra nel febbraio 2004 con uno storico concerto alla Royal Albert Hall - il tempio londinese della musica rock - e che ha raccolto un pubblico soprattutto adulto e con i lucciconi agli occhi; è sembrato a tutti che si tornasse indietro di quarant'anni. So long, Brian!

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