Discussione: Frammenti di Memphis
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Vecchio 28-04-2011, 09:46
Ariadne Ariadne Non in Linea
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Predefinito Re: Frammenti di Memphis

Sempre a downtown, spostandosi di poco verso nord è possibile visitare il mausoleo dedicato all’attore e cantante Danny Thomas, contemporaneo di Elvis, il quale dedicò gran parte della sua vita alla ricerca di fondi per la costruzione del S. Jude Children’s Research Hospital, un ospedale interamente dedicato alla cura della leucemia linfoblastica acuta, la forma più comune di cancro infantile. E’ proprio inseguendo il suo sogno che nel 1957 l’allora star dello show televisivo “Make Room for Daddy” contattò la “Elvis Presley Interprises” per una raccolta di beneficenza. Elvis accettò di esibirsi e in quella particolare occasione vennero raccolti migliaia di dollari grazie ai quali, nel 1962, finalmente l’ospedale poté aprire le sue porte. Da allora in poi, il cantante continuò a sostenere economicamente il S. Jude’s, ma forse la sua donazione più famosa è quella del 1964, quando, nel corso di una cerimonia pubblica, egli donò ufficialmente il Potomac, lo yacth presidenziale che era stato del Presidente Franklin Delano Roosevelt e che lui aveva da poco acquistato, a Danny Thomas, perché ne ricavasse fondi per la sua causa. Secondo la testimonianza di Peter Guralnick, sembra che sulla faccenda del Potomac aleggino alcune ombre. L’idea di acquistare la “casa bianca galleggiante”, come lo yacth veniva chiamato, è venuta per prima al Colonnello, tanto per cominciare. E’ stato lui a proporre ad Elvis l’affare, pensando che la donazione del Potomac ai sostenitori della March of Dimes avrebbe assicurato al cantante lo stesso ritorno d’immagine dell’evento di beneficenza dell’Arizona. La sfortuna, però, volle che quelli della March of Dimes rifiutarono l’offerta (si trattava di un dono troppo costoso da mantenere) e così Parker fu costretto a cercare qualcun altro a cui sbolognare quella patata bollente. Con l’esito che conosciamo. Il ruolo di Elvis, in tutto questo, in realtà, fu marginale: si limitò a vedere come il Colonnello se la sarebbe cavata. Infuriandosi con lui, quando le cose si stavano mettendo male. Com’era potuto saltare in mente al vecchio di comprare quel relitto di nave che nessuno voleva (furono in molti a rifiutarla), rendendolo ridicolo agli occhi di tutti? Che stesse perdendo colpi, arrivò a domandarsi.
A prescindere da come sono andate le cose in questa specifica occasione, a onor del vero non possiamo non ricordare che le opere di carità compiute da Elvis Presley durante tutta la sua vita non si contano. Egli distribuiva continuamente assegni sostanziosi a istituzioni sia pubbliche che private, come scuole e ospedali, e ad ogni tipo di associazione benefica. E non si trattava, è d’obbligo precisarlo, soltanto di astute mosse pubblicitarie per migliorare la propria immagine. Lo dimostra il fatto che le donazioni non venivano mai detratte dalle tasse. Il cantante riteneva che dedurre i regali equivalesse a negarne il valore: se ne traeva un vantaggio, non erano più caritatevoli.
Tutti sanno che il ricavato del concerto via satellite del 1973 è stato offerto al “Kui Lee Cancer Found”, mentre il concerto del 1961, sempre alle Hawaii, fu organizzato in favore del monumento alla memoria delle vittime del naufragio dell’ Arizona. Quel monumento ancora oggi è lì grazie ad Elvis e, anche se le autorità americane hanno pensato bene di togliere il suo nome dalla targa commemorativa a causa dei problemi del cantante con la droga, nei nativi è molto forte il senso di riconoscenza nei suoi confronti. Quasi del tutto sconosciuta, invece, è l’attenzione sempre rivolta da Elvis, nel privato, soprattutto ai bambini malati. Marion Cocke, la sua infermiera, ricorda che una volta c’era un bambino ricoverato in ospedale nello stesso periodo in cui c’era Elvis. I genitori non potevano rimanere con lui durante la notte, perché non erano autorizzati a farlo. «Il bambino era molto malato. Lui pagò una stanza privata perché la madre potesse restare. Gli ha lasciato dei soldi per mangiare e per far fronte ai suoi bisogni». Molte altre madri hanno testimoniato il loro debito nei confronti di Elvis. Il cantante, infatti, visitò i loro bambini colpiti da malattie gravi, fece a quest’ultimi dei regali e scrisse anche lettere di incoraggiamento. Molti di essi non ce l’hanno fatta, ma Elvis è riuscito comunque a restituire loro il sorriso in mezzo a tante sofferenze.
A tutt’oggi il suo nome è legato a molte iniziative di solidarietà realizzate a Memphis grazie a una parte dei profitti della “Elvis Presley Enterprises” e alle generose donazioni dei numerosi fan club sparsi in tutto il mondo. Basti pensare alla “Presley Place”, che garantisce una casa alle famiglie bisognose e le aiuta nella loro lotta contro la povertà, o anche alla “Elvis Presley Music Room” che offre ai ragazzi di talento la possibilità di studiare musica e costruirsi un futuro. Nel 1983, inoltre, è stato inaugurato l’”Elvis Presley Memorial Trauma Center”, il terzo ospedale del paese e l’unico nel suo genere in tutto il Centro- Sud, che si occupa di persone che hanno subito incidenti automobilistici, domestici, lavorativi e traumi molto gravi. «Mi è sembrato giusto intitolarlo ad Elvis», ha dichiarato Bill Morris, capo della polizia e poi sindaco di Memphis, amico del cantante, «perché questo è il posto dove si soffre di più».
Se Elvis fosse vivo, di sicuro apprezzerebbe.


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