Complimenti Gondar...grande idea la tua !! Raccontare i tempi andati fa sempre bene sia a chi lo fa sia a chi ascolta! Le cose erano così diverse eppure...non è che sia passato poi tanto tempo eh?? E' solo che tutto cambia stramaledettamente veloce e..il tempo è galantuomo..come dice mio marito...si scorda...e invece BISOGNA RICORDARE!!
Vai avanti Gondar...m'interessa il discorso della scuola elementare dato che io insegno proprio lì!!
Ciao e buon lavoro!
Grazie Gondar per i tuoi racconti,non me ne perdo uno! Avendo la tua stessa età, se non qualche annetto in più, voglio raccontarvi un aneddoto felice della mia passata giovinezza. Nel ...lontano 1957, partecipavo a gare di rock 'n roll a squadre. Ogni squadra era composta da cinque coppie. Alla finale le altre tre squadre per la gara avevavo scelto "Il Bughi del Taglialegna", la mia squadra invece scelse "Jailhouse Rock" INDOVINATE CHI VINSE???????? quel grande pezzo di rock di ELVIS!!!!! noi naturalmente siamo stati bravi, ci eravamo allenati per un mese sempre ballando JAILHOUSE ROCK.........ahah che bei tempi
Grazie Gondar per i tuoi racconti,non me ne perdo uno! Avendo la tua stessa età, se non qualche annetto in più, voglio raccontarvi un aneddoto felice della mia passata giovinezza. Nel ...lontano 1957, partecipavo a gare di rock 'n roll a squadre. Ogni squadra era composta da cinque coppie. Alla finale le altre tre squadre per la gara avevavo scelto "Il Bughi del Taglialegna", la mia squadra invece scelse "Jailhouse Rock" INDOVINATE CHI VINSE???????? quel grande pezzo di rock di ELVIS!!!!! noi naturalmente siamo stati bravi, ci eravamo allenati per un mese sempre ballando JAILHOUSE ROCK.........ahah che bei tempi
Bello il tuo aneddoto. Dimmi, Rosanna, saresti in grado di ballarlo ancora il Jailhouse Rock? Puoi anche tirarti indietro, certo, ma a me piacerebbe inserirti nella eventuale manifestazione dell'Elvis Day che potrebbe tenersi in primavera. Che ne dici? Gondar.
Complimenti Gondar...grande idea la tua !! Raccontare i tempi andati fa sempre bene sia a chi lo fa sia a chi ascolta! Le cose erano così diverse eppure...non è che sia passato poi tanto tempo eh?? E' solo che tutto cambia stramaledettamente veloce e..il tempo è galantuomo..come dice mio marito...si scorda...e invece BISOGNA RICORDARE!!
Vai avanti Gondar...m'interessa il discorso della scuola elementare dato che io insegno proprio lì!!
Ciao e buon lavoro!
No, Marcygenny, non è trascorso tanto tempo. Il progresso negli ultimi cinquant'anni è stato, forse per la prima volta nella storia dell'umanità, così incalzante e repentino da dare l'impressione che quello che io sto ad esempio raccontando, sia avvenuto nell'ottocento o giù di lì. Io stesso mi chiedo a volte quale potrebbe essere la differenza tra me e il signor Matusalemme . Non credo proprio che lui avesse, nonostante abbia vissuto, si dice, ottocento anni, da raccontare più di quello che io potrei raccontare . Gondar.
Persino la lingua italiana, dicevo, era una novità dato che si parlava in casa ed in strada ed in ogni dove il dialetto locale. Non c’è da meravigliarsi se negli anni cinquanta l’analfabetismo superasse il 70% della popolazione. Al mio paese, Apulco, la statistica era ancora più impietosa dato che l’ottanta per cento non sapeva leggere né scrivere, anche se nella maggior parte dei casi si sapeva apporre giusto la propria firma seppur impiegando un tempo, oggi diremmo, da moviola. A questo proposito, mi viene in mente un aneddoto legato strettamente a quel periodo. Un mio zio emigrato in America , mi chiamò anni dopo al telefono (sul finire degli anni sessanta) chiedendomi, tra le altre cose, se potevo andare a trovare il suo carissimo amico Paolo , contadino e zappatore, al fine di indurlo a rispondergli alle numerose lettere che gli aveva inviato e di cui non aveva mai avuto risposta. A questo proposito, diamo un'occhiata a questo videoclip molto pertinente...................................
Il giorno seguente lo andai a trovare al suo podere confinante con quello di mio zio, col quale aveva quotidianamente diviso l’immancabile pezzo di pane raffermo fatto in casa col pomodoro prima che emigrasse, e lo trovai che era tutto preso dallo zappare il suo terreno creando una serie di solchi che dovevano servire per la semina delle cime di rapa. Alla mia domanda di come mai non avesse risposto a nessuna delle lettere inviategli dal suo caro amico Angelo, Paolo si erse in tutta la sua altezza (era alto non più di 1,50 metri), ………….volete sapere cosa replicò? Vi prego di essere pazienti……lo rivelerò alla prossima………………………………..(continua).......................... .......................................
Peggio di 24 (quel serial con Kiefer Sutherland che tiene tanto incollato da non vedere l'ora che trasmettano la prossima puntata) il suspense che riesci a creare.....
Peggio di 24 (quel serial con Kiefer Sutherland che tiene tanto incollato da non vedere l'ora che trasmettano la prossima puntata) il suspense che riesci a creare.....
Infatti, Wonder, lo faccio proprio per suscitare morbose curiosità. Mi intriga oltretutto creare suspences e innescare batticuore. Gondar.
grazie Gondar per i magnifici pezzi di Louis Armstrong! Grazie anche da parte di mio marito (che è un batterista) per l'assolo del batterista di Pete Fountain! Per quanto riguarda ballare JAILHOUSE ROCK mi hai fatto morire dal ridere Per essere sincera lo so ancora ballare il rock 'n roll!!!!!!!! ma dovrei portarmi la bombola d'ossigeno Continua a scrivere che noi leggiamo.......appena mi ricordo qualche aneddoto simpatico lo scriverò!!!
grazie Gondar per i magnifici pezzi di Louis Armstrong! Grazie anche da parte di mio marito (che è un batterista) per l'assolo del batterista di Pete Fountain! Per quanto riguarda ballare JAILHOUSE ROCK mi hai fatto morire dal ridere Per essere sincera lo so ancora ballare il rock 'n roll!!!!!!!! ma dovrei portarmi la bombola d'ossigeno Continua a scrivere che noi leggiamo.......appena mi ricordo qualche aneddoto simpatico lo scriverò!!!
Per me "giovinezza" significa ELVIS+BALLARE
Davvero originale ballare il rock con la bombola di ossigeno....tanto tra un po', con tutto questo smog, l'effetto serra, il buco nell'ozono ecc., lo porteremo tutti e farà moda. Per quanto riguarda tuo marito, midici che è batterista. Potrebbe farci qualche assolo all'Elvis Day? Gondar.
Elvis aprì lo sportello della vecchia Lincoln, si accasciò rassegnato sul sedile, girò svogliatamente la chiave nel cruscotto e, dopo aver rivolto con amarezza un’ultima occhiata verso la sede della Sun Recording Studio, diresse la vettura verso casa abbozzando sottovoce la canzone “My Happiness” che di felicità in cuor suo non aveva davvero più niente. Egli rimuginava ostinatamente, sensibile quale egli era, sullo svogliato atteggiamento del Sig. Phillips nei suoi confronti. Giunto a casa, e resosi conto che sua madre non era ancora rientrata, pose l’acetato sul grammofono, si sedette sul vicino divanetto e si mise ad ascoltare i due lati del disco. Poi, improvvisamente, ricordandosi che doveva ottemperare a cosa importante, si alzò, spense il grammofono e si diresse verso la stanza da letto dei genitori sulla cui parete era appesa l’immagine del Cuore di Gesù. S’inginocchiò davanti ad essa e, intrecciando le dita tra le mani, sussurrò dicendo: “Ti prego, Signore, io che sono una Tua creatura, ascolta questa mia preghiera che giunge dal profondo del mio cuore. Fa’ che questo mio grande desiderio di cantare possa avverarsi; che le persone a cui mi sono rivolto possano interessarsi al modo con cui mi esprimo con la mia voce. Fa’ che essi scoprano in me qualcosa che li possa convincere che valga la pena aiutarmi a crescere in quella direzione. Tu sai quanto la mia famiglia sia povera e sai anche quanto sacrificio, specie mia mamma, abbia fatto e tutt’ora fa per me. Troppe volte m’è toccato vederla rinunciare a qualche boccone per darlo a me. Dimmi, o mio buon Gesù, come posso ripagare tutto questo loro sacrificio se non esaudendo questo mio desiderio? Ti prometto, o Signore, di impegnarmi con tutte le mie forze affinché non manchi loro mai nulla e nel contempo mi riprometto di elevare, cantando nella Tua casa, le lodi al Signore con più convinzione e passione di quanto non abbia fatto fino ad ora. Ti prego Signore, questo è tutto ciò che io Ti chiedo e che sia fatta la Tua volontà”. Rialzandosi, sentì la voce di sua madre che esclamava “El, dove sei?”“Eccomi, mamma, sono qui”. “Che t’è successo? Hai gli occhi lucidi” chiese preoccupata sua madre. “No, ma’ non ci pensare, non è niente, davvero; piuttosto ho qui un regalo per te, sai per il tuo scorso compleanno. Scusami se te lo faccio solo ora; ma prima non mi è stato possibile, credimi”. Recuperò l’acetato dall’apparecchio, lo infilò dentro la custodia e, consegnandolo a sua madre, le schioccò un gran bacio sulla guancia. “No, El, non c’è bisogno che tu ti scusi. So bene quanto mi ami e questo mi basta, figliolo. Ah, guarda. C’è pure il tuo nome” rispose la donna alquanto divertita; “che bello vederlo stampato sulla copertina. Ma dove sei andato a fartelo incidere? Chissà quanto ti sarà costato!”.“Non molto mamma. Sai, non molto distante da qui, sulla Union Avenue, si è aperta la casa discografica che leggi in copertina. Vedi? Si chiama Memphis Recording Service e sapessi quanto è interessante ed attrezzata. Ma’, vuoi sentire allora il disco?”. “Certo, El”, replicò la donna “fammelo ascoltare mentre ti preparo qualcosa da mangiare”. Elvis azionò l’apparecchio ed echeggiò nella stanza il lato A dell’acetato. La signora Gladys prese nel frattempo il tegame, vi ripose un tocco di burro ed un pezzo di pancetta, adagiò il tegame sul fornello acceso e, dopo aver preso due uova dalla dispensa, ne versò il relativo contenuto, ponendo orecchio a quel brano così dolce di “My Happiness” che le trasmise tenerezza e tanta contentezza. Rivolgendo, poi, lo sguardo verso suo figlio riprese a dire “Veramente bella, El, questa tua interpretazione. Però, figlio mio, mi renderesti ancora più felice se tu ti accasassi, magari con una brava giovane , e regalarci tanti bei nipotini”. “Si, ma’, va bene, intanto una bella e brava ragazza io già ce l’ho e quella ragazza non puoi essere che tu” e dicendo questo l’abbracciò felice. “Dai non scherzare”, incalzò la donna, “tu sai bene cosa intendo. Non vorrai mica deludermi, vero?”.“No, Gladys (ogni tanto gli piaceva chiamarla per nome, specie in assenza di suo padre), non è mia intenzione darti una delusione; però, ogni cosa a suo tempo, anche perchè mi sono riproposto innanzitutto di fare un po’ di soldi perché voglio comprare una bella casa per te e papà”, replicò con una certa baldanza Elvis, spezzando un pezzo di pane e masticandolo assieme ad un tocco di pancetta. E la signora Gladys di rimando: “Smetti di sognare, El, papà ed io abbiamo già una cosa bella e non abbiamo bisogno di altro”. Ed Elvis, intuendo già la risposta, non si fermò dal chiederle “E quale sarebbe questa cosa bella, ma’?” e Gladys, divertita, rispose: “Lo sai bene, la cosa bella che pà ed io abbiamo sei proprio tu” . “Grazie, ma’”, disse Elvis dandole ancora un bacio sul collo e scappò di corsa in strada. Nel mentre, qualcuno dal futuro volle rievocare l'amore tra madre e figlio.
Si mise le mani in tasca, si strinse nelle spalle e s’incamminò per la Third Road per riflettere come poter far felice i suoi. Pensava che era indispensabile innanzitutto che trovasse un gruppo orchestrale e fare delle serate in qualche locale di Memphis. Già, un gruppo orchestrale. Era stato sempre il suo sogno, ma mai gli si era presentata l’occasione per poterlo realizzare. Sapeva benissimo che dipendeva principalmente da lui, dalla sua maledetta timidezza, dalla sua incapacità di socializzare, dalla sua introversione. Se avesse avuto, tuttavia, un gruppo tutto suo, pensava, forse sarebbe riuscito a calamitare l’attenzione di quel tipo, di quel signor Phillips , da cui si sentiva snobbato. Quello che, giusto per intenderci. incideva dischi, quello che Elvis anelava disperatamente che incidesse per lui. Inoltre, egli non aveva mai avuto l’opportunità di provare a tirare fuori le reali potenzialità della sua voce proprio perché non aveva né un locale seminterrato né un gruppo con cui provare. Certo, cantava in chiesa inni e lodi al Signore che lui tanto adorava. Ma erano tutti pezzi assorti, profondi, lenti, gutturali, sebbene sublimi e maestosi, ma pur sempre eseguiti statualmente. Che a lui piaceva provare e riprovare a casa, eseguendoli a modo suo, accentuando e vivacizzando il ritmo dei suoi amici di colore, gorgheggiando, giocando e singhiozzandovi su ogni nota. Si piaceva tanto quando li eseguiva, si divertiva da morire, ma temeva di sembrare ridicolo se avesse provato ad eseguirli, egli pensava, alla presenza di persone. Oh, quanto avrebbe inoltre voluto cantare con voce alta, sbrigliata, spigliata e sfrenata come faceva quelle rare volte a casa sua, dopo essersi accertato però che non ci fosse nessuno né in casa né nelle vicinanze. Altrimenti temeva che lo avrebbero preso per matto . Lo sentiva dentro di sé, glielo sollecitava la sua ugola, quindi, ogni volta che gli toccava di gridare per strada per richiamare l’attenzione di qualcuno. Pensava proprio a questo quando gli venne in mente una canzone dei Clovers che aveva sentito più volte alla radio, che eseguì a bassa voce, con un nodo alla gola, dovendola accomunare all’esperienza avuta con la Sun Recording Service di qualche ora fa.
Sì, era stato proprio uno stupido per come aveva eseguito quelle due canzoni alla Sun Records. “Ma la prossima volta” si ripromise “dimostrerò al Sig. Phillips di cosa è capace il vero Elvis Presley” e, come per sottolineare ciò che pensava, scaricò tutta la sua rabbia con un poderoso calcio ad una lattina vuota di coca cola facendola roteare per un tratto della Winchester Road. (continua)
Passarono giorni e giorni. Tanti. Poi trascorsero anche mesi senza che nulla accadesse. Però Elvis non demordeva perché con scuse o altro non perdeva occasione di recarsi presso lo studio della Sun Records e intrattenersi con la simpatica signora Marion, sempre pronta a regalargli un sorriso affettuoso, persino ad incoraggiarlo. La sua vera intenzione, per la verità, era quella di poter intraprendere un salutare colloquio con il signor Phillips che non aveva però mai tempo, si limitava a rispondere al saluto del giovanotto con fare sbrigativo e rinchiudersi in cabina per incidere dischi. Era chiaro che tale atteggiamento non faceva che aumentare a dismisura la tensione e l’ansia nell’animo di Elvis. Doveva pur esserci un modo, pensava, per indurlo a fermarsi un attimo con lui. Aveva tante cose da dirgli anche se non avrebbe saputo da dove incominciare. L’unica àncora di salvezza era Marion ma che, poverina, non poteva fare null’altro, se non assicurarlo che lo teneva presente ogni qualvolta le capitava di far scivolare il discorso su di lui, sia con Sam, sia con persone facenti parte di gruppi musicali a cui chiedeva se avessero bisogno di un bravo cantante. “Io per la verità” ebbe a dire in seguito la donna, “non mi intendevo molto di musicisti o di talenti, ma una cosa mi fu subito chiara e cioè che un tipo come Elvis non passava inosservato. Era diverso da tutti gli altri, sia per il modo di conciarsi, sia per come cui egli si poneva. Traspariva candidamente tutta la sua ingenuità, mista a timore e timidezza. Ad un tipo così, il destino non poteva che riservare qualcosa di veramente importante”. Intanto passarono diversi mesi ed Elvis incominciò a temere che non sarebbe successo più niente se non trovava un modo per sollecitare il destino. Sapeva bene che bisognava fare qualcosa, tenendo a mente quel detto secondo cui era necessario aiutarsi affinché il buon Dio potesse a sua volta darti una mano. E fu nel gennaio del 1954 quando, messo qualche dollaro da parte, si recò nuovamente al Memphis Recording Service per registrare un altro paio di canzoni, ancora accompagnandosi con la chitarra, sempre la stessa, che produceva, purtroppo, un suono aspro e stridente. Sentiamo insieme questa canzone dal titolo “I’ll never stand in your way” già incisa in passato da Joni James.
Ed ascoltiamo il suo quarto ed ultimo brano intitolato “It wouldn’t be the same without you”, inciso anni prima dal cantanto di ballate Jimmy Wakely.
Nonostante ci avesse messo tutto l’impegno possibile per interpretare questi due motivi, non riuscì a fare meglio dell’altra volta. Anzi fu peggio . Qui addirittura la sua anima non c’era, si era dileguata; ed Elvis non si spiegava il perché. Ma noi, cari amici miei, sappiamo ormai bene cosa gli succedeva. Lo abbiamo spiegato qualche capitolo fa. Quando Elvis si sentiva sotto esame, veniva a galla il lato fragile del suo carattere: l’insicurezza, la paura di sbagliare, il timore di essere criticato o deriso. Ciò nonostante, la voce c’era. Ma lo spirito si era defilato. E, come se non bastasse, anche questa volta il signor Phillips, seppure molto gentile e garbato, fu avaro in parole o incoraggiamenti. Anche se, nel profondo del suo animo, avvertiva qualcosa di sfuggente, di impalpabile, di indefinibile a cui neanche questa volta aveva dato troppo peso. Comunque, questo suo pensiero si trasformò in un nodo che ripose da qualche parte dentro di sé. Prima o poi quel nodo gli servirà per fargli venire in mente quel ragazzo dalla voce un po’ così e da un modo di fare speciale e pressoché insolito. Col senno di poi, possiamo tranquillamente affermare che in quel docile ragazzo non riusciva a cogliere l’essenza, l’evidenza, la trasparenza. Che possiamo tradurre come quel famoso detto, tutto nostrano, che recita “troppa grazia sant’Antonio”. Sam Phillips cercava qualcosa di speciale che era là davanti a lui, ma che non riusciva a vederlo. Era esattamente quello che da sempre andava cercando e lui era testardamente cieco. Al centro della sala di incisione c’era quell’alieno , sì giustappunto un extraterrestre, che era bianco nelle sembianze, ma che non riusciva ancora ad individuare quel nero che c’era nel profondo dell’animo di quel ragazzo, del quale gli era difficile ricordare persino il nome. Aveva il tesoro a portata di mano e lui, sedicente grande superbo scopritore di talenti, non focalizzava il luccichìo che da quell’essere continuamente emanava. Era così evidente da essere sopraffatto dal suo esatto contrario. “Il re è nudo” ebbe a gridare un bimbo nel lontano passato attirando l’attenzione di gente incredula ed impaurita . E il signor Sam Phillips, che tutto era fuor che un infante, ancora si ostinava a tenere basso il suo capo, imprigionata la mente e chiuso sotto chiave tutto ciò di cui gli era assolutamente congeniale: la “trasmissione dati”. Ed il destino, che vivaddio di pazienza ne ha da vendere, si è piegato all’indolenza di quell’uomo che primo o poi però avrebbe finito per aprire finalmente gli occhi. Occhi intesi come quelli del cuore. Oltre che della mente. (continua).
Gondar carissimo, sto terminando di leggere la 2° parte della biografia di Peter Guralnick, bhe...sai che detto proprio inter nos...nonostante sia bellissima...non mi emoziona tanto quanto i tuoi racconti!!?? Non è per adularti ma dalle tue parole traspare puro e vero l'animo di Elvis, non solo tu conosci alla perfezione i fatti ma li hai elaborati con la mente di Elvis, è come leggere un suo diario!! Grazie e che Dio ti benedica per tanta dedizione e sensibilità d'animo!!
P.S. Secondo me Elvis ti sta dando una mano!!??
Gondar carissimo, sto terminando di leggere la 2° parte della biografia di Peter Guralnick, bhe...sai che detto proprio inter nos...nonostante sia bellissima...non mi emoziona tanto quanto i tuoi racconti!!?? Non è per adularti ma dalle tue parole traspare puro e vero l'animo di Elvis, non solo tu conosci alla perfezione i fatti ma li hai elaborati con la mente di Elvis, è come leggere un suo diario!! Grazie e che Dio ti benedica per tanta dedizione e sensibilità d'animo!!
P.S. Secondo me Elvis ti sta dando una mano!!??
E' meraviglioso sentirsi apprezzare in questo modo e specie sotto Natale. E' un regalo bellissimo che mi fai, Marcy. Stai aprendo il mio cuore e ne interpreti il contenuto, come solo un animo sensibile come il tuo può fare. Che dirti, Marcy, di più? Mii fai sentire importante. Gondar.