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Da LA STAMPA
3/9/2008 - LA STORIA ![]() ![]() Obama-McCain, chi è più rock? ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() VENEZIA In un film delizioso passato qualche giorno fa a Venezia (titolo «Goodbye Solo», regista il giovane americano di origini iraniane Ramin Baharani) c’è una scena che potrebbe essere l’emblema della divisione di campo, anche musicale, fra repubblicani e democratici, tra un’America che rivendica la tradizione e un’America che rivendica il cambiamento. Nella scena in questione un giovanotto nero che fa il taxista accende la radio su una stazione che trasmette rock, e chiede al passeggero, un red neck bianco sui settanta: «Qual è il tuo musicista preferito?», e il vecchio proletario: «Be’, nessuno che tu conosca. Tu il vecchio Hank Williams sono sicuro che non l’hai mai neanche sentito nominare!». Hank Williams, famosissimo negli Anni Cinquanta, è il prototipo della musica country come s’è cristallizzata a Nashville, Tennessee, nel periodo successivo alla Guerra mondiale. È lì che un genere musicale ibrido, intinto nel blues quanto il rock, quanto il rock radicato fra la povera gente, diventa una sorta di bandiera sonora issata nel giardino dei «valori americani», la musica che si suppone ascoltino i ragazzi patriottici dei manifesti di Norman Rockwell, la classe lavoratrice e cristiana della Bible Belt, la piccola borghesia che va in chiesa alla domenica, prepara il barbecue in cortile o parte per una gita con picnic. Come appunto canta Hank nella sua famosissima canzone «Jambalaya» (la jambalaya è una specie di paella della Louisiana). Sentite: «Goodbye Joe, me gotta go, me-oh my-oh / Me gotta go, pole the pirogue down the Bayou / My Yvonne, the sweetest one, me-oh my-oh / Sun of a gun we’ll have big fun on the Bayou / Jambalaya, crawfish pie, filet gumbo... («Ciao Joe, adesso devo andarmene, con la mia piroga giù per il Bayou, dalla mia dolce Yvonne. Vecchio furbacchione, ci divertiremo un sacco giù nel Bayou, jambalaya, pasticcio di pesce, bistecca piccante…»). Roba semplice, come vedete, musica molto cantabile, contenuti che parlano al cuore. E Johnny Cash, un altro campione della musica country, quando fa country sul serio, ah, che storie magnifiche tira fuori, di gente comune, comune e esemplare come Big John, protagonista di una ballata che fa venire i brividi. Big John è un minatore, grande, grosso e nessuno sa chi sia (forse un assassino?), ma al momento del bisogno, eccolo lì, l’eroe proletario: «Then came the day at the bottom of the mine, / when a timber cracked and men started crying. / Minors were praying, and hearts beat fast / and everybody thought they had breathed their last / cept’ John…» («Un giorno in fondo a un pozzo, una trave cedette e gli uomini cominciarono a piangere, i ragazzi pregavano, i cuori battevano forte, e tutti pensavano che fosse ormai finita, tranne John…»). John solleverà la trave e li salverà tutti, ma alla fine, come Porthos nel «Visconte di Bragelonne», soccomberà sotto l’immane peso. Prevalentemente bianco il country, ma anche il blues è fino agli Anni Cinquanta musica per bene, per neri religiosi e timorati. Eppure sarà dal blues, dal rhythm and blues, che verrà fuori il rock, la musica del diavolo destinata a diventare la musica del progresso, del nuovo, dei giovani curiosi e spesso disperati. Bianchissimi i due protagonisti iniziali, Elvis Presley e Bill Haley (quello di «Rock around the Clock» e «Shake, Ratte and Roll», ricordate?), ma capaci di usare la pulsazione della musica «negra» per eccitare i teenager bianchi, scatenarne la sessualità tanto a lungo repressa. Siamo a un livello ancora inarticolato, ma la rivoluzione sessuale è quella che mette in moto tutte le altre. Forse, a dare l’idea dell’abissale differenza tra i testi che abbiamo citato finora e i grandi testi del rock americano bastano poche righe di «Backstreets», la magnifica canzone di Bruce Springsteen (uscì nel 1975, nell’album che lo rese celebre, «Born to Run»): «Remember all the movies, Terry, we’d go see / Trying to learn how to walk like the heroes we thought we had to be / Well after all this time to find we’re just like all the rest / Stranded in the park and forced to confess…» («Ti ricordi, Terry, tutti i film che abbiamo visto, cercando di imparare a comportarci come gli eroi che credevamo di essere, e dopo tutto questo tempo scoprire che siamo come tutti gli altri, finiti a terra e costretti a confessarlo…»). Il rock migliore riflette sulla vita, si interroga, guarda negli occhi la sconfitta, ha pietà dei perdenti, il country di Nashville lavora sui cliché. Il rock sperimenta sulla musica, il country si tiene care le forme già sperimentate da tempo. Detto così sembra quasi vero, e visto che il rock è la musica dei democratici e il country quella dei repubblicani, un po’ di vero c’è senz’altro. Ma nulla è meno etichettabile della musica, nulla più sfuggente ai cliché. Un grande regista progressista come Robert Altman ha dedicato il suo ultimo film, «Praire Home Companion», alla scomparsa di una celebre trasmissione country alla radio. |
#2
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[quote=hurt;85615]Giuliano Palma: 'Tra le cover che vorrei registrare, diversi brani di Elvis'
......Palma si è anche definito un grande fan di Elvis Presley, spiegando che i brani dell'artista scomparso "Suspicious minds", "Don't be cruel" e "Always on my mind" potrebbero presto diventare delle cover sue e della sua band. Essendo un fans di Elvis ...sicuramente darà il meglio di sè...... ![]() ![]() ![]() |
#3
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Si ok d'accordo molto bene, bravo.
Ma è mai possibile che Elvis con tutto quello che ha dato alla musica,ci si riduca a ricordarlo (cover) con due o tre canzoni? |
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Musica; All'asta la prima chitarra bruciata da Jimi Hendrix
![]() Roma, 4 set. (Apcom) - La prima chitarra bruciata sul palco da Jimi Hendrix sta per essere battuta all'asta a Londra, come pezzo di punta tra altri feticci del rock. Lo strumento, scrive la Bbc, potrebbe raggiungere la somma di 500mila sterline (oltre 600mila euro). La chitarra Fender Stratocaster è stata suonata e bruciata durante un'esibizione improvvisata al Finsbury Park, a Londra, nel marzo del 1967. E' stata la prima volta che Hendrix ha dato alle fiamme una delle sue chitarre. Tra gli altri 'rock memorabilia' che andranno all'asta ci sono il primo contratto dei Beatles, firmato nel 1962, e quella che si ritiene sia l'unica impronta digitale reperibile di Elvis Presley, immortalata su un porto d'armi. |
#5
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Dieci anni fa l'addio a Battisti. Ma Lucio è vivo
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MANIE
Il (finto) Elvis fa il giro del mondo Un fan si è fatto fotografare in numerose località turistiche: da Parigi all'isola di Pasqua, da Rio a Bali MILANO - Elvis è vivo? Ha ballato davanti alla Tour Eiffel, ha cantato a Times Square con il celebre "naked cowboy" di New York, si è messo in posa ai piedi delle statue moai sull'isola di Pasqua, si è fatto fotografare sotto il Cristo Redentore sulla vetta del Corcovado a Rio de Janeiro. Nel suo tour mondiale ha toccato l'Australia, il Perù, Cile, Bolivia, Paraguay, Argentina, Messico. E ancora: l'Irlanda, l'Austria, l'Olanda, l'Italia e la Spagna. Niente male per uno che è morto nel 1977. Naturalmente non si tratta del vero Elvis Presley, ma di un suo fan, a dir poco sfegatato. TOUR - Il 38enne Matt Hale dello Hertfordshire nel Regno Unito ha praticamente circumnavigato il globo col celebre costume d'ordinanza di Elvis, quello bianco che ha reso famoso il King of Rock and Roll. Come scrive sul suo sito, il vestito è costato solo 30 dollari. Nelle località più famose si è fatto scattare delle foto in cui ricrea le pose del suo idolo. L'uomo, un produttore radiofonico con la mania di Elvis, è diventato una vera e propria celebrità in Gran Bretagna, dopo che i tabloid hanno raccontato la sua singolare storia. «Vuol essere un tributo al Re», ha detto Hale. Non sempre, però, il suo outfit gli ha aperto ogni porta: è stato allontanato dal Louvre a Parigi, dalle rovine di Machu Picchu in Perù, dal cimitero di Evita Peron a Buenos Aires, mentre al festival dei sosia di Elvis in Australia si è piazzato ultimo. Il suo viaggio, tuttavia, proseguirà: prossimamente in Svezia, in Russia, in Cina, a Hong Kong e a Bali. «Spero solo che il mio costume di Elvis sopravviva a tutto questo. Pian piano si sta logorando», ha scherzato il finto Elvis. Elmar Burchia-DAL CORRIERE DELLA SERA non riesco a capire l'importanza di questa notizia!!!!!mi fà pena l'impersonator!!!!!! |
#7
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Non c'è nessuna foto di questo pagliaccio????
Queste sono le persone che contribuiscono a rovinare l'immagine di Elvis!!! ![]() |
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E' meglio non vederlo, tanto è ridicolo con la parrucca!! i pazzi sono ancora in libertà!!!
però se riesco lo posterò stasera. |
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My Way? Da riscrivere come nuovo inno del Grifone
08 settembre 2008| Giuliano Gnecco Un nuovo inno per il Genoa? Ci hanno provato in molti; il tentativo più autorevole nell’anno del Centenario, con Genova Blues, scritta a quattro mani niente meno che da Fabrizio De Andrè e Francesco Baccini, due icone della musica genoana. Nonostante i consensi ottenuti, la canzone non è riuscita a scalzare Un Cantico per il Mio Grifone, l’inno ufficiale che è nel profondo del cuore dei tifosi. Mica facile cambiare: è l’inno da 35 anni, ed è stato scritto da Peo Campodonico insieme a Gian Piero Reverberi, compositore - fra gli altri - di Gino Paoli, Luigi Tenco, Mina, Lucio Battisti, Faber, Eros Ramazzotti, nonché creatore dei Rondò Veneziano. ![]() Eppure, la (ri)scoperta della genoanità di Frank Sinatra dà nuovo fiato a coloro che propugnano un cambiamento: è possibile adattare per esempio My Way in chiave rossoblù? Peo Campodonico, che pure teoricamente dovrebbe difendere la sua Un Cantico per il Mio Grifone, è entusiasta all’idea: «Penso di sì, potrebbe essere un’idea - assicura - Anche Ma se ghe pensö sarebbe adatto per diventare l’inno del Genoa. Perché è il simbolo di genovesità e per toglierlo ad altri. Però si potrebbe fare anche sulle note di My Way; bisognerebbe coinvolgere anche Giorgio Calabrese, che è attentissimo a queste cose». Un altro pezzo da novanta della musica genovese e genoana: Calabrese ha scritto testi per Adriano Celentano, Giorgio Gaber, Umberto Bindi,Enzo Jannacci, Mina, Gino Paoli, I Nomadi, Iva Zanicchi, Ornella Vanoni, Ivano Fossati, Charles Aznavour, Fausto Leali e numerosi altri big italiani e stranieri. Insiste Campodonico: «Non sarebbe difficile trovare delle parole, sarei onoratissimo di collaborare a un progetto di questo genere. E poi con il Genoa è facile trovare ispirazione. Su due piedi mi viene in mente Il Genoa è la mia via, mi ha tracciato tutta la vita fin dall’infanzia». E se domani, e sottolineo se (frase non casuale: è una delle più celebri scritte da Calabrese), il Genoa decidesse in cambiare il proprio storico inno? «Sarei più che felice - assicura Calabrese - Tutto sta a trovare i tempi per incontrarci» C’è un problema tecnico: My Way è stata scritta dal francese Claude François con il titolo originale Comme d’abitude; sebbene sia stata resa immortale da Sinatra, è stata adattata all’inglese da Paul Anka. Il figlio di François, per i diritti d’autore, incassa una somma che si aggira sui 700.000 euro all’anno, e ovviamente ci sarebbero importanti royalties da pagare per poter utilizzare quelle note. «Questo aspetto non lo conosco perché non ho mai fatto una cosa del genere - ammette Calabrese - Ma si fa presto a informarsi». Fra gli altri hanno cantato My Way anche Elvis Presley, Nina Simone, Nina Hagen, Luciano Pavarotti, Ray Charles, Sid Vicious, i Gipsy Kings, Mina, Nina Hagen, Mireille Mathieu: mica poco. C’è un altro neo: «Non è una canzone facile da cantare in Gradinata», ammette Campodonico. Il quale però rilancia: «Si potrebbe fare un cd di canti genoani realizzati da grandi artisti, come i Delirium e Ivano Fossati, o Piero Cassano dei Matia Bazar». L’alternativa? Strangers in the night: anch’essa si presta a un riadattamento. |
#10
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![]() ![]() Ecco l'individuo che ha viaggiato per il mondo impersonando Elvis. ![]() ![]() |
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