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  #1  
Vecchio 27-11-2007, 19:38
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

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pino1971 Visualizza Messaggio
Gondar sei un mito
domenica sera ero vicinissimo al ku shin kai....ho un caro amico (nonchè mio testimone di nozze) in quella ridente cittadina, che tra le altre cose amo tantissimo......................purtroppo sono sposato da poco (oggi un mese)..di cui 15 giorni negli states.......è tutto un susseguirsi di zii, cugini suoceri e vabbè.........altrimenti sarei certamente venuto a trovarvi........
un abbraccio..............

Non mi dire, Pino71. Questa è una notizia shock. Tu guarda! eri a due passi. Altro che sorpresa sarebbe stata se ti fossi affacciato. Peccato. Poi magari mi ragguagli con un msg privato di questo tuo amico. Auguri ancora per il tuo matrimonio e andando negli States, magari sarai andato a visitare il nostro mito a Graceland. Se così fosse, ragguagliaci in merito. Gondar.
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  #2  
Vecchio 28-11-2007, 08:59
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pino1971 pino1971 Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

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Non mi dire, Pino71. Questa è una notizia shock. Tu guarda! eri a due passi. Altro che sorpresa sarebbe stata se ti fossi affacciato. Peccato. Poi magari mi ragguagli con un msg privato di questo tuo amico. Auguri ancora per il tuo matrimonio e andando negli States, magari sarai andato a visitare il nostro mito a Graceland. Se così fosse, ragguagliaci in merito. Gondar.
questo è un piccolo resoconto del mio viaggio a Graceland
http://www.grazielvis.it/forum/showthread.php?t=4438
per il resto ti mando un pm.....
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  #3  
Vecchio 28-11-2007, 17:33
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

Inutile dirti, caro Pino71, che mi sono perso il "live" della tua invidiabile esperienza che, per come ce l'hai descritta, è parso di viverla al tuo fianco. Quindi complimenti anche per la tua coinvolgente "narrativa". Ma quello che mi ha sorpreso in particolare è la tua "certosineria" che, anche grazie al conforto e all'agevolazione da parte della tua sposa, è stata davvero invidiabile. Grazie per quello che hai fatto per tutti noi. Soggiungo per l'altra faccenda che sa di casualità "quanto piccolo è il mondo". Gondar.
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  #4  
Vecchio 01-12-2007, 10:01
Gondar Gondar Non in Linea
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Ge714 Re: Elvis: l’Extra Terrestre

La delusione

Elvis, pur sapendo in cuor suo di non aver dato il meglio di sé, non ebbe il coraggio di chiedere al sig. Phillips di voler ascoltare il pezzo appena inciso, per indurlo magari a ripetere l’incisione. Né da parte di costui c’era stata alcuna manifestazione che gli potesse far capire che era interessato o meno a lui. Lo sconforto si fece sempre più evidente. Elvis non gli toglieva gli occhi di dosso, erano puntati disperatamente su quell’uomo, come un bambino al capezzolo della sua mamma, elemosinandogli uno sguardo , cercando di cogliere un suo pur piccolo gesto, un sorriso, persino un rimprovero , un disappunto. Il Signor Phillips, invece, era testardamente indaffarato, impegnato alla consolle, regolando i tasti, muovendo i vari bottoni e le numerose levette, per il risultato finale di produrre quel disco, uno dei tanti e sembrava addirittura che avesse fretta di concludere dal momento che ogni tanto guardava l’orologio da polso. Ma uno sguardo verso quel povero giovane manco a parlarne. Ciò non fece che accrescere in Elvis la convinzione che c’era sempre un qualcosa che limitasse il suo modo di fare. Sapeva, ad esempio, di non essere in grado di socializzare facilmente, che difficilmente prendeva iniziative anche se in cuor suo aveva tanta voglia di farlo e, come se non bastasse, c’era quella maledetta timidezza che lo attanagliava ogni volta che si trovava o si sentiva sotto esame. Non sapeva né come né perché tutto questo gli succedeva. Sapeva però quando succedeva. Anche a scuola era timoroso ogni volta che veniva interrogato. Non riusciva ad essere spigliato come tanti altri della sua classe. Eppure lui le cose le sapeva, perché a scuola era sempre attento alle lezioni ed avendo una memoria di ferro, non gli veniva difficile studiare quel tanto che bastava a casa per poi tornare in classe preparato come si conveniva. Ma il dramma si svolgeva sempre e puntualmente quando veniva interrogato ove, al cospetto della sua insegnante , si bloccava riuscendo a malapena a tirar fuori un filo di voce fino a diventare un timido sussurro. Non ebbe quindi la forza di dire a quel signore in cabina se era il caso di ripetere la registrazione perché la riteneva invalidante, no, non ce la fece proprio a chiederglielo anche se era lì per li per farlo. E si lasciò cullare dalle onde di quel mare che lo portava alla deriva di se stesso, del suo destino. E rivolse persino alle sue spalle uno sguardo supplichevole ed implorante verso la signora Keisker la quale gli sorrise con approvazione ma nulla di più. Non colse la disperazione che era in lui. Ed Elvis si convinse di affrontare quel momento con le uniche armi che aveva a sua disposizione: la tenacia e la sua voce tremolante. Era con questo stato d’animo che attaccò, al segnale del Sig. Phillips che indicava con la mano la luce rossa appena accesa, il secondo pezzo intitolato “That’s when Your Heartaches Begin”. Fu così che partorì quel secondo pezzo, lato “B” di un acetato qualsiasi, in un giorno qualsiasi, nel bel mezzo di una sala di incisione qualsiasi, in una città del mondo qualsiasi, di un uomo che di “qualsiasi” aveva però solo le sembianze. Silenzio ancora una volta in sala ed ascoltiamo, (per gentile concessione e collaborazione del nostro amico Clint Reno) come se fosse la prima volta, questa seconda ballata del nostro idolo.




If you find your sweetheart in the arms of a friend
That's when your heartaches begin
When dreams of a lifetime must come to an end
That's when your heartaches begin

* Love is a thing you never can share
When you bring a friend into your love affair
That's the end of your sweetheart, that's the end of your friend
That's when your heartaches begin

(Spoken)
If you find your sweetheart in the arms of your best friend
Brother, that's, that's when your heartaches begin
And you know, when all of your dreams, when all of your dreams of a lifetime
Must must all come to an end
Yeah, that's, that's when your heartaches begin
For you see love is a thing that you never can share
And you know ... when you bring a friend, uh, into your love affair

That's the end……………………………………..(of your sweetheart, that's the end of your friend
Well, that's when your heartaches begin)

Anche qui qualche biografo quale può essere, ad esempio, Peter Guralnick, verso il quale nutro grande stima e molta deferenza per come abbia obbiettivamente tracciato la vita di Elvis Presley, si è trovato a dover immaginare, forse più di quanto io stesso stia facendo con questo mio scritto, che Elvis abbia concluso questo brano dicendo “Ho Finito”, come parte staccata dal testo del brano medesimo. Io ritengo invece che sia successo qualcosa di altro e non ci sono che due sole probabilità che potrebbero aver determinato questa strana conclusione. La prima è che Phillips gli abbia fatto segno dalla cabina di regìa di “tagliare” forse perchè la parte parlata la ritenesse piuttosto lunga ed il giovane Elvis sia stato costretto a troncare rimarcando quel “that’s the end”, che altro non erano che le parole testuali della canzone. Ma ciò che personalmente io credo che sia successo, è che Elvis non ne potesse davvero più di continuare quella ballata ritenendola decisamente brutta ed impresentabile. Vero è che, terminata la strofa parlata, abbia voluto sottolineare “that’s the end” come un suo disperato tentativo di farla finita. Conoscendo la perfezione con cui Elvis curava i pezzi da incidere, come abbiamo potuto constatare col senno di poi, sono propenso per questa seconda ipotesi. Infatti, ascoltando il brano più volte, è innegabile dedurne che questa ballata sia stata eseguita come per dovere d’ufficio, con insufficienza, svogliatezza e scarsissimo trasporto. Tutto perché Sam Phillips non si era curato di lui quel tanto che gli potesse infondere un po’ di coraggio e di entusiasmo. Ma sappiamo bene che quella era la giornata sbagliata. Come se non bastasse, il destino volle ancora giocare con l’animo esasperato di Elvis. Sam, infatti, facendo capolino dalla vetrata della cabina di regìa, ebbe a comunicargli, seppure con gentilezza ma con un atteggiamento che non ammetteva repliche, che lo trovava “interessante” e che se si fosse presentata l’occasione lo avrebbero chiamato. Marion Keisker , intanto, che era rimasta tutto il tempo a seguire lo svolgimento dell’incisione, gli si avvicinò con quel sorriso ormai familiare dicendogli di seguirlo alla reception. Qui le sedette di fronte e aspettò che Marion terminasse di battere a macchina le copertine dell’acetato, con i titoli dei brani ed il suo nome. Elvis era spompato . Non si sforzò più di tanto nel voler cercare di intavolare un qualsiasi dialogo con la donna. Ma fu costei , presentendo lo stato d’animo del giovane, ad aprirgli la strada dicendo “sai, Elvis, sei davvero bravo, complimenti”. E lui, risorgendo come dalle ceneri, alzò il capo replicando “pensa davvero che….ehm.. io…ehm….sia stato bravo?”. “Certo” continuò lei “hai qualcosa che gli altri non hanno”. “Davvero?” proseguì il giovane “cos’avrei, secondo lei,…..ehm.. di diverso?”. “Non so, non saprei spiegarmi, ma sento che hai qualcosa di speciale”. Dicendo questo, gli consegnò l’acetato. Elvis si alzò dalla sedia, le diede la mano e guardandola con tenerezza negli occhi, la ringraziò e finì per chiederle se conosceva qualche gruppo di musicisti a cui poteva interessare un cantante. “No, al momento, no, non saprei, però fatti vedere ogni tanto; non è improbabile che capiti qualche gruppo che ne faccia richiesta”. Elvis, la ringraziò ancora una volta ed uscì, tutto frastornato ma stranamente con un non so che di insoddisfazione, all’aria aperta col suo disco tra le mani, allontanandosi dal Memphis Recording Service e dirigendosi verso la sua vecchia Lincoln. "Perchè", si chiedeva, "il Signor Phillips non ha voluto scambiare qualche parola? Oh, quanto avrei dato pur di sentirmi dire da lui qualcosa che mi risollevasse il morale". E stava per tornare indietro. Almeno per salutarlo. Si fermò un attimo. Poi ci ripensò e rigò dritto sconsolato verso il vicino parcheggio. Tutto questo accadeva quando erano le 14,00 di quel sabato di fine luglio del 1953……..continua

Gondar

Ultima Modifica di Gondar : 23-01-2008 18:39
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  #5  
Vecchio 17-12-2007, 17:57
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

Gondar devo proprio farti i complimenti!!!!! Hai azzeccato la canzone giusta!!!L'Ave Maria per me rimane una delle canzoni più belle e strazianti(ovviamente nel senso positivo del termine), poi insieme al tuo scritto....facevo fatica a finire di leggere..dal magone...
Complimenti davvero!!!!!!
e grazie per i tuoi racconti!!!!!!!
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  #6  
Vecchio 17-12-2007, 18:42
deliziosa deliziosa Non in Linea
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Ciao caro Gondar! Sì...è proprio così...l'intera famiglia Presley(Smith) è stata sempre segnata dal dolore...da prima della nascita di Elvis fino a dopo la sua morte...
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  #7  
Vecchio 17-12-2007, 19:46
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Ciao caro Gondar! Sì...è proprio così...l'intera famiglia Presley(Smith) è stata sempre segnata dal dolore...da prima della nascita di Elvis fino a dopo la sua morte...
Ciao, Deliziosa. E' da un pezzo che non ti sentivo. Sì, è vero, Elvis ha sempre sofferto. Secondo me prima e anche dopo il successo. Gondar.
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  #8  
Vecchio 17-12-2007, 18:43
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

Grazie Gondar per il video con l'Ave Maria di Celine Dion. L'Ave Maria di Schubert rimarrà sempre bellissima..... e pensare che la Chiesa l'aveva bandita dalle cerimonie perchè Schubert era ateo....mah!!!

Mentre l'ascoltavo ho provato ad immaginare che la cantasse ELvis......... penso che l'avrebbe resa un gioiello ancora più bello!!
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  #9  
Vecchio 17-12-2007, 19:54
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Grazie Gondar per il video con l'Ave Maria di Celine Dion. L'Ave Maria di Schubert rimarrà sempre bellissima..... e pensare che la Chiesa l'aveva bandita dalle cerimonie perchè Schubert era ateo....mah!!!

Mentre l'ascoltavo ho provato ad immaginare che la cantasse ELvis......... penso che l'avrebbe resa un gioiello ancora più bello!!
Hai ragione, Hurt. Elvis l'avrebbe resa un gioiello. E chissà quante volte avrà rinviato questa esecuzione. Sono certo che nella sua mente l'avrà avuta in programmazione. Per quanto riguarda Schubert, non so se "esternava" il suo ateismo. Una cosa è certa: tutti sanno che l'Ave Maria, la lode la più bella, è di Schubert. Una cosa così non può che nascere dal cuore, per una fede e bellezza immense. E allora? Gondar.
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  #10  
Vecchio 19-12-2007, 18:30
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

Questa seconda ed ultima parte di Elvis Presley bambino la voglio dedicare, come promesso, alla cara amica Wonderofyou per il compimento dei suoi anni.

(Si raccomanda di tenere sempre in funzione il clip di Celine Dion mentre si è intenti a leggere questa seconda ed ultima parte del racconto di Elvis bambino.)



Un giorno Elvis si trovava a giocare in giardino, in prossimità del confine con i vicini di casa. Non gli sarà passato inosservato qualche dialogo tra donne che, seppure con fare sommesso, potrebbero verosimilmente aver detto così di lui. Voce 1 “povero bambino, quanto soffrirà in cuor suo; voce 2 “perché, a chi appartiene questo bambino?”; voce 1 “sai, sua madre è una cugina dei Richards e suo padre è stato in galera”; voce 2 “uh, ma davvero? Povero piccolo, ma cos’ha fatto il padre per finire in carcere?”; voce 1 “non so esattamente cosa abbia commesso, ma sicuramente sarà un cattivo elemento, la classica pecora nera della famiglia, un delinquente insomma; poi secondo me sua madre non sarà da meno dato che non fa che picchiarlo, povero bimbo”; voce 2 “ma che ha fatto il padre, ha ammazzato qualcuno?”; voce 1 “non saprei, si dice che abbia, d’accordo con altri malviventi, derubato qualcuno,”; voce 2 “ma di dov’è questa gente, non mi sembra siano di questi parti”; voce 1 “pare che la famiglia di questo bimbo abitasse, lassù, sai, sopra l’autostrada, nella zona est del paese”; voce 2 “ah, questo spiega tutto, sono della zona malfamata di Tupelo. Adesso che ricordo, questa famiglia non è parente del pastore Gains?”; voce 1 “sì, proprio così, la mamma di questo bambino è proprio la nipote del pastore Gains”. Elvis si sarà trovato ad ascoltare ciò che queste donne stavano dicendo tra di loro e provò un senso di vergogna e di paura da farlo fuggire di corsa sul retro della casa. Rannicchiatosi in un angolo, si pose il capo tra le ginocchia e si mise a piangere disperatamente, non sapendo cos’altro fare. “Se tutte quelle brutte cose stanno accadendo”, pensava, “la colpa è solo mia, perché sono un monello e li faccio soffrire. Per questo non mi vogliono più bene”. Beh, forse il piccolo Elvis aveva innocentemente colto il problema dal suo punto di vista. Ma la causa principale del comportamento del padre che lo vide ristretto nelle carceri di Parchman Farm era stato lo stato di estremo bisogno e avrebbe fatto, come purtroppo fece, qualsiasi cosa pur di non far mancare un minimo di sostentamento ai suoi cari. Era inoltre ossessionato dal pensiero che potessero ammalarsi. Sua moglie Gladys e suo figlio Elvis erano tutto ciò che lui aveva al mondo ed era suo preciso dovere badare a loro. Ad ogni costo. Il povero papà Vernon doveva provvedere al mantenimento della famiglia con un lavoro assai precario e poco redditizio da cui doveva tirar fuori mensilmente la quota di quel maledetto mutuo, contratto proprio con il signor Bean che poi lo denunciò alle autorità del paese. Ecco le vere ragioni che portarono Vernon ad accordarsi con suo cognato e con quel tale di nome Gable a commettere quell’unica azione poco pulita della sua vita. Il piccolo Elvis pensava, invece, che fosse solo colpa sua. E fu in quella circostanza che maturò in lui l’idea di scappare di casa e decise di metterla in pratica. Senza farsi vedere dai suoi, la sera preparò due pezzi di pane, li racchiuse in un fagottino e lo nascose sotto il suo lettino. Quando fu sicuro che mamma e papà dormivano , si vestì in tutta fretta senza farsi vedere né sentire, raccolse il fagottino di carta da sotto il letto, aprì pian pianino la porta di casa, la chiuse alle spalle con molta cautela. Era adesso per la strada, inghiottito dal buio, quel buio di cui Elvis aveva tanta paura. Per fortuna c’era uno spicchio di luna che rischiarava un tantino la strada. Doveva assolutamente allontanarsi da quella casa. Non gli volevano più bene e non c’era nessuna ragione al mondo che lui restasse ancora con loro. Papà era cattivo , diceva fra sé, faceva male alle altre persone. E poi non lo portava più al fiume a pescare come faceva di solito, non giocava più con lui e qualche volta gli dava anche le botte. Questa era la prova che non gli volesse più bene. E neanche mamma gli voleva più bene. Lo sgridava spesso, non lo lasciava parlare e quando piangeva, anziché sentire le ragioni del suo pianto, lo batteva pure. Sì, proprio così, anche sua madre non gli voleva più bene. Non c’era davvero nessun motivo per restare a casa. Doveva cercarsi un’altra mamma, pensava con le lacrime agli occhi, e un altro papà che lo amassero per davvero. Non come loro che sono cattivi cattivi cattivi. E giù a piangere in quella notte stellata ma pungente di fine febbraio. Anche gli angeli lassù in cielo piansero quella notte.



Scartò il fagottino, tirò fuori un tozzo di pane e, per farsi coraggio, incominciò ad azzannarlo e a masticarne i relativi pezzi come lui sapeva ben fare. Aveva freddo, tanto tanto freddo. Ed i suoi denti battevano tanto gli uni sugli altri. Ad un tratto sentì alle sue spalle un rombo di un’auto in avvicinamento, scappò verso il ciglio della strada nascondendosi dietro un grosso albero. La macchina gli passò oltre e lui riprese a camminare lungo la strada senza sosta nella notte buia verso l’ignoto, piangendo, sempre piangendo e poi persino urlando alla luna, anch’essa mesta e malinconica, lassù. Poi un dubbio atroce lo assalì. Sì, egli stava andando alla ricerca di una nuova mamma e di un nuovo papà. E se poi questi, oltre a non volergli bene, gli facevano anche del male? In fondo, pensava, non avrebbe rappresentato nulla per loro. Cosa avrebbe potuto fare poi lui, così piccolo ed indifeso, per sottrarvisi? E giù a piangere a dirotto, a squarciagola con tutto il fiato che aveva in corpo. Ora incominciò a guardarsi indietro, nostalgico, si fermò al centro della strada nel tentativo di cogliere un movimento familiare. Ecco, qualcosa si muoveva in fondo alla strada. Vide in lontananza due grandi occhi illuminati che si avvicinavano e lui si mosse impaurito ancora una volta verso il marciapiede, vi salì, si nascose dietro un cespuglio e scrutò quelle due luci ormai vicine. Il rumore del motore, che gli era familiare, era quello prodotto dal camioncino di suo padre che si fermò all’altezza del cespuglio. Lo vide uscire dalla macchina e, guardando verso il cespuglio, si sentì chiamare “Elvis, ehi Elvis, ti ho visto. Avanti, vieni fuori, andiamo a casa”. Di slancio il bimbo si lanciò tra le braccia del padre che lo accolse con dolce ma severa tenerezza. “Andiamo a casa, figliolo. Mamma è in pena per te”. Durante il tragitto, Elvis, imbarazzato, come lo può essere un bimbo di quella età ed in simili circostanze, si mise a rosicchiare l’altro pezzo di pane, giusto per colmare quel vuoto prodotto dal silenzio che si era creato nell’abitacolo del camioncino. Mamma Gladys era sulla veranda della casa, ansiosa e tremolante ad attenderli, e quando vide scendere il suo piccolo, gli andò incontro, lo avvolse in una coperta e, con le lacrime agli occhi e con le braccia aperte, lo strinse a sé forte forte e gli sussurrò dicendo: “grazie al cielo sei qui, Elvis caro. Ti prego, anima mia, se non vuoi farmi morire di crepacuore, non farlo mai più, mai più. Devi promettermelo”. Elvis annuì con decisione. Dopo un po’ il padre ruppe l'incanto con una voce rotta dall’emozione: “Vieni qui, El. Adesso vieni qui da me”. Elvis, divincolatosi dal tenero abbraccio di sua madre e, intuendo le ragioni dell’esortazione di suo padre, gli andò incontro, si fece riporre sulle sue ginocchia e si lasciò sculacciare senza emettere un solo grido. Finita la punizione che altro non era che una carezza, Elvis volle che il suo papà lo prendesse in braccio. Appena sollevato, gli baciò con trasporto più volte la guancia, ormai convinto che mamma e papà non avevano mai smesso, neanche per un solo istante, di volergli bene. Ora potevano tutti e tre finalmente andare a letto. E, recitata per la seconda volta la preghiera della sera assieme alla madre, si addormentò. Felice di essere ancora a casa. Intanto, là fuori, la luna si fece più splendente e le stelle più brillanti. Quel piccolo smarrito soldino di cacio aveva ritrovato la strada di casa. Ora anche loro, lassù, erano più tranquille. (Fine seconda ed ultima parte di Elvis bambino).

Felice Natale, amici miei. Con tutto il cuore.

Gondar.

Ultima Modifica di Gondar : 01-02-2008 17:51
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