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Vecchio 29-10-2007, 09:07
hurt hurt Non in Linea
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Ge748 Elvis Cantava

Il confanetto WALK A MILE IN MY SHOES contiene un opuscolo corredato di moltissime foto e con i commenti del critico musicale Dave Marsh.


Mi è piaciuto talmente tanto, che ho pensato di postarlo anche per voi, sperando di farvi piacere.

E' piuttosto lungo, per cui per il momento posto la prima parte.
Ditemi voi se vi piacerebbe leggere anche il resto.

*****************************
Dave Marsh - Maggio 1995

Elvis cantava.

Elvis cantava per se stesso, cantava per i suoi amici, cantava per noi, cantava per trovare la verità della sua situazione, cantava per piacere, cantava per vivere. Quando cantava, molto più che in altre occasioni, si sentiva più se stesso e in contatto con il resto dell’umanità.
Così Elvis cantava. Questo è il fatto fondamentale e irriducibile.

Negli anni 50 doveva dimostrare che era qualcosa di diverso dagli altri, facendo quella sua musica selvaggia non di così grande qualità.
Negli anni 60, al suo rientro dall’esercito, ha dovuto dimostrare la sua forza per rimanere, finché, alla fine del decennio, quando è riemerso dalla nebbia di Hollywood, ha dovuto dimostrare che era ancora padrone della sua vitalità come artista, su un palco e in sala di registrazione.
Ha fatto fronte a queste sfide in modo talmente deciso, che quando stava iniziando la terza decade della sua carriera, non c’erano più montagne da scalare ed Elvis stava in cima al gruppo, da solo, imprendibile, dove nessuno poteva sfidarlo e nessuno è riuscito a farlo, nemmeno John Lennon e gli altri Beatles.

Dal 1970, Elvis Presley è stato riconosciuto come il re del rock ‘n roll, ma è emerso anche come grande cantante di musica country, pop, gospel, opera leggera.
Quell’anno, dopo aver visto per la prima volta, Elvis sul palco esibirsi di fronte a 6 musicisti, 9 backup singers e venti fiati, il critico Jon Landau scrisse : La magnificenza delle perfomances di Presley sta nella sua regalità. E’ l’unico intrattenitore al mondo che non ha bisogno di stipulare un’assicurazione sulla sua fama, sul suo successo, sulla sua grandezza. E’ l’unico artista che si rivela in se stesso e noi con lui”.
Elvis ha occupato questa posizione non per appuntamento, ma per merito. I suoi dischi dimostrano grandi esibizioni in tutti i campi musicali. I suoi concerti live hanno trasformato i concerti di musica popolare in un’altra dimensione, e come dice Landau, facendolo sembrare, “Uno dei pochi professionisti della commedia musicale americana. I suoi 31 film gli hanno fatto fare un training sufficiente che oggi ci permette di vedere colui che prima è stato un attore di commedie musicali e poi un musicista puro. Quando unisce il suo talento con la proiezione di sé stesso, con una sorta di regalità molto personale, il risultato è uno spettacolo fantastico.”
Tutto questo significa che, finalmente, Elvis ha confermato la verità delle risposte alle domande di Marion Keisker, allaSam Phillip’s Recording Service di Memphis, Tennessee, nel 1954:
“Che tipo di cantante sei?” chiese Keisker
“Canto tutti i generi” Elvis rispose
“A chi assomigli quando suoni” Chiese lei
“”Non assomiglio a nessuno” Le rispose
Tuttavia, nei successivi 20 anni e più, molto è cambiato della sua vita ed arte, ma Elvis ha dimostrato che nessuna di queste cose è cambiata.

La musica di Elvis degli anni ’70 è stata presa e selezionata, emessa e riemessa, discussa, analizzata, distorta, pubblicata e archiviata. Ma solo ora, raggruppata in un’unica raccolta che vi rende possibile capire quanto sia stato produttivo negli ultimi sei anni della sua vita. Soprattutto considerando i suoi gravi problemi di salute che lo hanno perseguitato per la maggior parte di questo periodo.
Elvis ha fatto un elevato numero di incisioni notevoli. Tracce quali “Burning Love” "Merry Christmas Baby” “Polk Salad Annie” “Always On My Mind” “I’ve got a Thing About You Baby” “Bridge Over Troubled Water” “You Gave Me A Mountain” “An American Trilogy” “Stamroller Blues” “Promise Land” e “Hurt” definiscono due cose.
La prima è che Elvis ha continuato ad essere un grande cantante popolare,i n grado di affrontare tutti i tipi di canzoni lasciando, dietro di sé, un’eredità con la quale possano sperare di competere pochi artisti della sua epoca, per non dire nessuno, .
La seconda è che con la sua maturazione, la musica di Elvis è diventata sempre più personale e rivelatrice, cosi che dove lui sembrava totalmente immune da qualsiasi influenza di personalizzazioni e confessioni di altri cantanti rock come John Lennon e Bob Dylam, Evis gestiva a modo suo la moda di usare l’arte, per raccontare le parti più intime di sé stesso. Questo si dimostra particolarmente vero nella serie di canzoni autobiografiche, registrate durante il periodo della separazione e del divorzio (1972-1973), che comprendono non solo pezzi ovvi come “You Gave Me A Mountain” “Separate Ways” e “Always on my Mind”, ma in modo più obliquo in brani quali “Until It’s Time For You To Go” e “The First Time I Ever Saw Your Face”
Molti non capiscono il risultato di questo aspetto di Elvis oppure perché, alla fine della sua carriera, a modo loro, fossero tanto emozionanti quanto furono quelle dell’inizio. Ecco perché, come sempre, lui non ha mai suonato per snobbismo personale.
Elvis ha espresso la sua musica in un giro di tours senza fine, di cui per lunghi periodi a Las Vegas e con periodi di registrazione, dando vita alla più grossa fatica della storia della musica, facendo uscire in un anno 3 o 4 albums. Anche se toglieste tutte le registrazioni dei concerti, comunque Elvis ha fatto più musica di qualsiasi altro artista popolare di quel periodo, eseguendo una varietà di stili che è stata più ampia di chiunque altro, con grande riscontro popolare e spesso con grande successo artistico
Nonostante quello che si trova in questo cofanetto, Elvis ha fatto tanta più musica, inserita nei suoi albums e singoli, di quella che poteva essere raccolta qui. Dal momento che Elvis cantava tutto il tempo – dal momento in cui entrava in studio, fino a quando usciva – il suo produttore Felton Jarvis, registrava tutto. Quello che esce da questi nastri offre molto di più, come le sorprendenti esecuzioni di “A Hundred Years From Now” “Alla’ En El Rancho Grande” e s’, “Froggy Wnet A Coutin” (soprattutto “Froggy” oppure i suggestivi passaggi di “Running Scared” “Lady Madonna” “I Shall Be Realeased” e “Men With Broken Hearts”. Ciò che si può imparare da questi interludi va oltre la musica per arrivare al concetto di fare musica.
Ascoltando questi momenti, si può sentire la spinta, la presa in giro, l’azzardo e il modo appassionato in cui Elvis può accedere a qualcosa come “I Shall Be Released” e, in poche righe, suggerisce un nuovo modo di interpretare.
Elvis riusciva ad impossessarsi di una canzone antica come “Froggy Went A Courtin’”, appropriandosene completamente, perché sentiva se stesso totalmente parte della tradizione da cui proveniva.
Era capace di prendere un brano leggero come “Tiger Man” e sapeva renderla originale, rendendola un blues dei più puri e più duri che abbia mai cantato.

Quello che rivelano questi momenti è un uomo che nella sua musica rivela se stesso, chi erano i suoi migliori amici e cioè coloro che facevano quella musica, il loro modo di porsi verso la vita e il cui scopo dell’esistenza può essere rifocalizzato da James Burton or Glen D.Hardin o qualunque altro dei suoi musicisti, che con una battuta lo riportavano a casa, non a Memphis, non a Tupelo, ma al centro di se stesso, in quell’anima grazie alla quale molti di noi si sono innamorati di lui e, come tutti i grandi amori, abbiamo potuto scoprire profondità più grandi di quanto lui stesso potesse aspettarsi, non solo verso di lui, ma anche verso noi stessi.

E se pensate che quello che ho detto è eccessivo per la sua musica, ascoltatelo!

Elvis cantava.

(segue)

Ultima Modifica di hurt : 02-11-2007 06:29
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  #2  
Vecchio 29-10-2007, 09:53
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guitarman guitarman Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis Cantava

bellissimo,lessi tutto il libricino tempo fa ma nn ci capii molto,grazie mille hurt,continua pure!!!!
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  #3  
Vecchio 29-10-2007, 10:53
perlanera perlanera Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis Cantava

ti prego hurt, continua...
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  #4  
Vecchio 29-10-2007, 12:23
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis Cantava

Va' avanti senza indugio, Hurt. Vale davvero la pena. Gondar.
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  #5  
Vecchio 29-10-2007, 14:11
deliziosa deliziosa Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis Cantava

Quote:
Hurt: il critico Jon Landau scrisse : La magnificenza delle perfomances di Presley sta nella sua regalità. E’ l’unico intrattenitore al mondo che non ha bisogno di stipulare un’assicurazione sulla sua fama, sul suo successo, sulla sua grandezza. E’ l’unico artista che si rivela in se stesso e noi con lui”.

...continua cara Hurt...è bello come ci avvicini ad Elvis...
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  #6  
Vecchio 29-10-2007, 16:57
hurt hurt Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis Cantava

Gli artisti hanno due metodi di lavoro (non ha importanza di quale arte si tratti che sia fare musica, scrivere, disegnare, scolpire, cinema). Alcuni lavori che derivano da un’ ispirazione possono colpire in modo irregolare e con grande intensità, con periodi di calma relativamente lunghi, e sono orientati verso un obiettivo piuttosto incerto. Questi sono quelli romantici.
Altri lavori, non necessariamente nel quotidiano, hanno lo scopo evidente di riuscire ad ottenere un prodotto di un certo tipo. Questi sono quelli elaborati.

Naturalmente, pochi artisti sono una cosa o l’altra in modo puro, ma Elvis probabilmente è stato, più di chiunque altro, estremamente vicino ad essere un’ape laboriosa nel campo delle sue scelte. Visto che è stato evidente nella sua fatica, è facile mancare di rispetto a quello che ha fatto, ma ancora oggi, quando stai seduto, chiudi gli occhi e ascolti, sei costretto a renderti conto che tutto il grande lavoro, dall’inizio alla fine della sua carriera, è stato creare un feeling di naturalezza e disinvoltura musicale che, concettualmente era nella sua testa.

Questo fa parte della ragione per cui esiste l’immagine popolare di Elvis di uomo pigro, che ozia delle ore a Graceland, svagandosi solo a comprare Cadillacs per estranei e guadagnare qualche centinaio di milioni a Vegas. In questa raccolta si dimostra come fino all’ultimo anno della sua vita, Elvis abbia lavorato tutto il tempo e che il centro di tutto quel lavoro erano le performances musicali. Nei concerti live, Elvis consumava una grande quantità di energia, tenendosi lontano da quella specie di isterismo, che lui sapeva essere provocata semplicemente dalla sua presenza. In studio consumava altrettanta energia cercando non tanto la tecnica delle perfezione o “la giusta canzone”, quanto il suo momento creativo, la giusta combinazione di tecnica, materiale, attitudine e atmosfera per racchiudere tutto nella più grande musica che lui ha sempre saputo fare. Lo scopo di tutti – da Elvis ai musicisti fino al produttore Felton Jarvis e i tecnici fino a tutti coloro che gli stavano intorno – era facilitare questa atmosfera e aspettare che arrivasse il momento giusto. Elvis, Jarvis e i membri della band – Burton, la chitarra ritmica John Wilkinson, il pianista Hardin, il batterista Ronnie Tutt e il bassista Norbert Putnam – avevano l’obiettivo aggiunto di essere certi che, quando arrivava quel momento, la musica avesse una sua propria struttura.
Sin dal 1970, Elvis e Burton hanno lavorato assieme, dentro e fuori per quasi un anno. Come pure Jarvis, un ingegnere della RCA di Nashville, che, ha registrato con Elvis per molti anni. Fu dopo essere diventato produttore, con piena responsabilità per la session, che lasciò la RCA per lavorare solo ed esclusivamente per Elvis. Gli altri arrivarono nel 1969, quando Elvis tornò a fare i tour, prima a Vegas e poi in quella grande quantità di tours annuali. Il personale di studio, nel corso degli anni, si intercambiò, dove, alle volte, alla batteria c’era Jerry Cardigan e Kenneth Buttrey, al basso poteva esserci Emory Gordy, mentre Charlie McCoy faceva frequenti apparizioni all’armonica. Il gruppo live si evolse in modo diverso (da ricordare Tony Brown al piano, ora produttore di musica country), ma per la maggior parte del tempo Elvis lavorò solidamente con la sua band principale, sia per le registrazioni a Nashville, Hollywood e Memphis, che per i concerti live.
Anche quando Elvis cercò di registrare alla Stax Studios, l’anima leggendaria di Memphis, nel 1973, ottenne dei risultati del tutto indifferenti (a parte l’eccezione del singolo della magnifica canzone di Tny Joe White “I’ve Got A Thing About You Baby, che avrebbe dovuto essere un successo superiore a quello che è stato) fino a che non decise di smettere di lavorare con sessionmen della Stax, quali Duck Dunn, Al Jackson Reggie Young e Tommy Cogbill), per tornare a lavorare con i suoi. Da quel momento uscì una varietà di perfomances stupende, incluse le splendide hit internazionali “My Boy” e “Promised Land” la più bella interpretazione di Elvis Presley del materiale di Chuck Berry.
Elvis aveva bisogno del supporto di questi uomini, perché le sue sessions non viaggiavano nella forma usuale di tipo quasi industriale. Non l’hanno mai fatto. Negli anni 50, fu lui (nessuno dei suoi supervisori) a portare a fare oltre 30 takes di “Hound Dog”, per essere sicuro che fosse perfetta.
Anche negli anni ’60, quando si supponeva dovesse riprendere delle colonne sonore per fare degli album, l’ing. Bones Howe ricordava, “Era Elvis a produrre i suoi dischi. Arrivava alla session, prendeva le canzoni e quando veniva cambiato qualcosa nell’arrangiamento, era perché lui lo faceva. Tutto usciva spontaneamente. Non esistevano prove. Molte decisioni importanti vengono prese prima della session di registrazione, ma con lui venivano fatte durante la session.
In questo senso, non cambiò niente negli anni ’70. “Elvis non amava sovraincidere” ricordava Felton Jarvis “Secondo lui perdeva molto della spontaneità. Amava cantare con la band, girare per la stanza e mettere quei piccoli accenti e quelle cose extra. Si muoveva in giro e il batterista doveva seguirlo. Questo era il modo in cui Elvis amava lavorare su una canzone.” Non avrebbe mai pensato di fare “Promised Land” e ancor meno di essere così disinvolto nell’unire quella gentilezza ed intensità, che caratterizzano questa bella registrazione.
Naturalmente questo tipo di approccio presenta alcuni problemi tecnici. Elvis non stava in piedi davanti al microfono, come avrebbe voluto il tecnico. Se il microfono era sull’asta, lui si allontanava cantando; se teneva il microfono in mano, se lo appoggiava alla coscia, creando una distorsione stridente, se pur affascinante oppure si avvicinata a Burton o Tutt o uno degli altri musicisti, provocando una dispersione di tutta la traccia vocale e, mentre faceva questo, cantava (come alle volte faceva) e questo significava che la sua traccia vocale era di nuovo fuori dal microfono. Tutto questo fece sì che Jarvis e i vari tecnici diventassero molto creativi.
Elvis lavorava in questo modo non perché non avesse cura di quello che faceva, ma perché lo faceva e basta. Superbamente professionale, come lo è stato durante tutto il periodo dei suoi films, che non erano altro che un dono innato, Elvis avrebbe potuto gestirsi anche in una session di registrazione convenzionale, ma aveva bisogno che la session fosse qualcosa di più di professionale. Voleva quella spontaneità che si trasformava in divertimento, perché sentiva che sarebbe stato il modo migliore per generare esecuzioni memorabili che sarebbero durate nel tempo. Come fa notare Bones Howe “Quello è stato uno sguardo al futuro. Oggi tutti registrano in quel modo o almeno lo fanno tutti gli artisti rock. A quel tempo lo faceva solo Elvis. E’ stato il precursore di tutta la produzione discografica di questi giorni”. (E’ un’affermazione divertente se si pensa che per anni, Elvis ha fatto dischi importanti che non riportano crediti al produttore. Probabilmente avrebbe avuto crediti come “un”….. o “il” produttore di tutte le sue sessions).
Così le sessions iniziavano con quelli che sembravano essere degli outsiders: Elvis e J.D. Sumner e gli Stamps e qualsiasi altro vocalist che fosse a portata di mano e insieme cantavano gospel, con Elvis che cantava insieme a loro, alle volte, accompagnandoli al piano o con la chitarra. Lui e Burton e gli altri sarebbero passati da rock diversi per andare sugli accordi di R&B, se non addirittura pezzi di brani popolari e bluegrass, I musicisti, quasi coscienti, cercavano di stimolare Elvis in una performance a pieno titolo. Probabilmente, senza questo suo metodo, non avremmo avuto nemmeno la metà delle canzoni di Chuck Berry, Johnny Ace o di altri artisti degli anni 50, che Elvis ha registrato negli anni ’70.
Ogni volta che Elvis faceva una session, si creava questa sorta di carica prima di portare i musicisti a quella che sarebbe diventata una grande take, che fosse una take carica di un clima rock, come “Burning Love” o qualcosa di elaborato come “An America Trilogy”.
Elvis aveva fiducia soprattutto nel suo istinto e il suo istinto gli diceva di fare musica con sentimento, in cui devi prima stabilire il feeling e lasciare che, per altri aspetti, la musica si prenda cura di se stessa.
Questo non significa che Elvis, Jarvis e gli altri musicisti e uomini d’affari coinvolti non avessero degli obiettivi ben specifici. Semplicemente loro si concentravano sui singoli che potenzialmente potevano diventare dei successi. Spesso, Elvis aveva nuovo materiale che sarebbero stato adatto per essere inserito negli show (oppure era stato preparato per eseguirle sul palco) e voleva registrarle. Ma una session di registrazione, per Elvis era quello che il critico musicale neozelandese Christopher Small, definisce “musicking”, cioè era un’opera e non una cosa fine a se stessa e quanto usciva dalla bocca di Elvis, durante una session. (trasmesso direttamente dal suo cuore e dalla sua testa) non poteva essere più prevedibile (oppure controllato totalmente) di quanto poteva uscire dalla mano di Picasso, nel suo studio. Nemmeno da Elvis.
Pertanto, Elvis necessitava di una cornice di riferimenti entro i quali svolgere il suo lavoro. Non sorprende che questo si esprima in termini umani come la musica o, al limite, il fare musica (che è praticamente ciò che intende Small con il termine “musicking”) che tra le arti, è quella più collaborativa. I membri della band e i tecnici familiari ad Elvis, gli offrivano una situazione di comfort nella quale poteva esplorare ciò che voleva dire. Ecco perchè è inutile desiderare una collaborazione di Presley con altri musicisti rock più famosi di quel periodo. E’ assolutamente vero che solo lo stringere la mano di Elvis sul set di “Follow That Dream” a Gainesville, Florida, ha totalmente cambiato la vita di Tom Petty, e che solo guardare Elvis all’Ed Sullivan Show” ha fatto sì che sia uscita l’anima di gente come Bruce Springsteen e Paul Simon, quell’anima che nemmeno loro non sapevano di avere.
Molti di coloro che hanno lavorato con Elvis, hanno registrato con altre stars. Burton lo ha fatto dall’inizio della sua carriera, quando, negli anni ’50, suonava con Ricky Nelson e fece la session a Los Angeles. Charlie McCoy ha fatto un meraviglioso lavoro d’armonica con Bob Dylan in “Blonde On Blonde” e dagli altri collaboratori di Elvis, quelli con base a Nashville, sono state fatte letteralmente centinaia, se non migliaia delle session. Alla fine degli anni ’80, la produzione di Tony Brown aiutò ad entrare in una nuova era della musica country.
Finora, nessuno di questi uomini ha mai suonato una musica così eccitante come quella che facevano con Elvis e questo vale, salvo rare eccezioni, anche per i vari cantanti che hanno inciso con Elvis.
L’ingrediente chiave nella loro collaborazione era Elvis e cosa faceva lui per stimolare così bene tutti questi talenti?

Elvis cantava

(segue)

Ultima Modifica di hurt : 31-10-2007 09:33
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  #7  
Vecchio 29-10-2007, 20:21
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Predefinito Re: Elvis Cantava

Bellissimo, Hurt, finalmente qualcuno che ha capito l'essenza dell'essere di ELVIS! Grazie!
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  #8  
Vecchio 29-10-2007, 23:40
perlanera perlanera Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis Cantava

non avremo mai più un artista come ELVIS...

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  #9  
Vecchio 31-10-2007, 09:36
hurt hurt Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis Cantava

Elvis ha cantato con lo stesso gruppo di persone assiduamente, ma non si è mai focalizzato su un gruppo di autori.
A differenza del suo modo di essere negli anni ’50 e inizio anni ’60, quando Otis Blackwell, Jerry Lieber e Mike Stoller, nonché Doc Pomus, Mort Shuman e Don Robertson - insieme agli artisti di R&B – si direbbe lo abbiano aiutato a definire il suo stile, negli anni ’70 Elvis aveva pochi autori che scrivevano per lui. C’era un’enorme varietà di scrittori che gli proponevano canzoni, noti o anche sconosciuti (chiunque avesse scritto una canzone che poi Elvis registrava, aveva il suo momento di notorietà) come Mark James, Tennis Linde, Joe South e Tony Joe White. Pur scegliendone alcuen, c’era alcuna garanzia che questi autori fossero nuovamente presi in considerazione per album successivi e nessuno di loro aveva maggiori pretese rispetto a qualcun altro.

In parte, il materiale di Elvis proveniva dai risultati esaltanti di una sua jam session, dove esprimeva il suo stato d’animo. Questo è lo spirito per tutte le vecchie canzoni di R&B e Rock – di Faye Adams “Shake a Hand” si Chuch Berry “Promised Land” di Timi Yuro “Hurt” di Johnny Ace “Pledging My Love” Jerry Lee Lewis “Whole Lot-ta Shakin’ Goin’ On” “Muddy Waters’” “Got My Mojo Working” fino alla migliore di tutte di Percy Mayfield “Stranger In My Own Town”. Tutte canzoni che Elvis ha registrato, e che sono emerse dallo sterno di Elvis durante la sua intensa (ed estremamente ben scelta) session per la preparazione di una raccolta di singoli. Questo spirito è lo stesso che ha influito sui brani standard di pop, folk e bluegrass (come Cindy Cindy” Little Cabin on th Hill” “I’ll Take You Home Again, Kathleen” “Froggy Went A Coutrin’ “Danny Boy” “A Hundred Years from Now” nonchè quelle country “I’m So Lonesome I Could Cry” “Shi Thinks I still care” “Funny How Time Slips Away” “Faded Love”) e gli spirituals come “Amazing Grace. Tutto materiale che Elvis, con la sua band, ha fatto risaltare ed elevato.

Alle volte si può sentire Elvis che si esalta con questa musica, cosciente che stava apportando dei cambiamenti sui dei vecchi brani, che, prima ancora che si pensasse potesse nascere un miscuglio chiamato rock ‘n roll, erano già perdurati nel tempo.
Questo spirito diventa evidente nell’affascinante gioco in “Froggy Went A Coutrin’” e nello spirito autobiografico delle parole di “Stranger In My Home Town” oppure “Hurt” in un ruggito di dolore che nessuno aveva saputo mettere nell’interpretazione di questa canzone. Ma tutto questo arriva da dentro la musica, non da fuori. Elvis e la sua band hanno sempre rispettato il luogo da dove la musica proveniva, in quanto quel luogo era lo stesso luogo da cui provenivano loro ed è molto vicina ad un’autobiografia che ci ha lasciato, nel senso che è musica che rispecchia aspetti della sua vita.
Tutto questo può essere recepito dai versi di queste canzoni e proprio per questa ragione, si inseriscono come i brani più rivelatori di Elvis. E’ un dato di fatto e spiega il perché Elvis prontamente incise ”America Trilogy” di Mickey Newbury – un medley di “The Battle Hymn of The Republic “ “Dixie” e “All My Trias”, di cui Elvis fece una combinazione rendendola ancora più inno degli originali, cantati separatamente.

A domande su come Elvis concepisse il suo ruolo nella cultura americana, questa è una risposta: Elvis rivela il suo ruolo come l’unione tra gli opposti e un suo processo genuino americano di riconciliazione di ogni punto di vista. Alcuni la trovano fredda e sdolcinata, ma ascoltatela attentamente e sentirete quanto Elvis si avvia verso un posizionamento eroico e sano. Naturalmente nessuno fisserebbe una session (e nemmeno Elvis l’avrebbe fatto) pensando di fare materiale che proviene dai ricordi del cantante e dei suoi collaboratori e tantomeno si può pensare che Bud Ives avrebbe potuto far carriera esclusivamente, con brani vecchi e familiari. Le canzoni di Elvis arrivano in modo naturale.

Elvis non ha mai scritto niente, ma questo non significa che la sua reintepretazione di una canzone non fosse come l’avesse composta un’altra volta. Una volta, Doc Pomus disse che Elvis era uno dei due cantanti per i quali ha scritto, che “ogni volta inseriva qualcosa nella canzone che nessuno avrebbe immaginato di poter mettere”. L’altro era Ray Charles,

Il fatto che Elvis abbia fatto un’enorme quantità di dischi e che i film non servivano a produrre materiale particolare, la quantità di canzoni necessariamente portava ad alti e bassi. Inoltre Elvis era sufficientemente discriminato su quanto avrebbe inciso. L’immagine critica di Presley come colui che avrebbe cantato qualsiasi cosa, lo danneggiava (lui non era George Jones o Jerry Lee Lewis). A quanto detto da Freddy Bienstock, sono state più numerose le proposte che ha rifiutato che quelle che ha accettato.

Quando disse a Marion Keisker “Io canto tutto” intendeva veramente questo. Iniziò subito dimostrando quanto serio fosse e quanto intendesse dimostrarlo, come fece negli album degli anni ’60, tipo ELVIS IS BACK.

Ma fu solamente negli anni ’70, libero da impegni cinematografici e con uno show da montare, che Elvis dimostrò come potesse regnare. Non solo ha sempre cantato qualsiasi cosa, tanto da sembrare uno snobbismo, ma il suo gusto nel R&B, il gospel e il rock ‘n roll apparve impeccabile. Amava anche cantare ballate popolari e non si preoccupava se la ballata in questione fosse stata scritta con uno spirito trascendentale, come poteva essere “Bridge Over Troubled Water” o “You’ve Lost That Loving Feelin’” oppure le magnifiche “May Way” o “The Impossibile Dream”. Quello che è importante capire è, che non si tratta di mancanza di gusto, ma rappresenta una diversa sensibilità rispetto alla maggior parte dei critici musicali. Alla fine, quando Elvis cantava una canzone, sembrava avere in mente solo un criterio: La cantava? Oppure parlava con se stesso, con quell’interiorità che lo porta ad amare la musica?
Se la sentiva così, allora la cantava. Ma se non la sentiva, allora l’ignorava.

Molti si stupiscono del coraggio che ha avuto di cantare “My Way” una canzone che si identifica totalmente in Frank Sinatra, così come “Houd Dog” e Herathbreak Hotel” sono di Elvis. Letteralmente rubò la canzone a Sinatra, e il risultato è che oggi è quasi più identificata essere appartenuta ad Elvis Presley. Elvis, con la sua interpretazione, è entrato nella canzone in modo talmente intenso che è riuscito a battere Sinatra.
Probabilmente nel mezzo secolo dopo la seconda guerra mondiale, non c’è un altro cantante che abbia avuto il coraggio e la capacità di quasi estromettere gli altri famosi cantanti del mondo e che sia riuscito a farlo così bene.
Il concetto che, negli anni ’70, Elvis non sia diventato altro che indolente, muore nel momento stesso in cui si ascolta il suo modo di cantare “My Way”, che oblitera chiunque altro, ma non per il suo arrangiamento musicale, o perché Elvis usa la voce meglio di Sinatra, o perché il testo calza molto più alla vita di Elvis che a quella di Sinatra.

No, Elvis Presley vince questa gara per una ragione più semplice: per il modo in cui Elvis la canta.

Di tutte le cose per le quali i critici hanno condannato Elvis, nell’ultima decade della sua carriera, la più comune deriva dal suo metodo di realizzare spesso gli albums live, in occasione dei diversi eventi.
Guardandosi indietro, sembra molto evidente che stabilito che l’essenza dell’interazione di Elvis con i suoi fans erano diventati i suoi concerti, che fossero di una sera o quelle lunghe stagioni a Las Vegas, dal 1970 al 1976, ci sono stati solo 5 albums live. Uno di questi fu la colonna sonora del film That’s The Way It Is, che conteneva solo 12 canzoni registrate dal vivo, mentre l’altro Aloha From Hawaii Via Satellite, documentava un evento, il primo al mondo per un musicista popolare, che ancora oggi viene visto come un evento storico e sufficientemente importante per diventare un album. Per quanto riguarda gli altri tre, tutti sono d’accordo nel dire che On Stage – Febbraio 1970 - rappresenta Elvis al suo top, mentre Elvis As Recorded At Madison Square Garden rappresenta il suo primo concerto a New Your City, capitale dei media, mentre Elvis Recorded Live On Stage In Memphis è il suo ritorno, dopo moltissimo tempo, sul palco della sua città,.

Il più grande rimprovero che viene fatto sui numerosi album live è la ripetizione delle stesse canzoni, ma come diceva Landau “Un concerto di Elvis è una parata, che implica un rituale dove ci sono determinate attività e se non vengono seguite si toglie lo spirito dell’avvenimento”. Elvis, per quanto poteva, variava questo rituale, ma, durante lo spettacolo, doveva indirizzarsi su diversi fronti e c’era solo un numero limitato di canzoni che potevano adattarsi a quello che era l’obiettivo.
Landau spiega bene dicendo: “Elvis crea un rapporto individuare con il suo pubblico e quando cammina sul palco. È lui e solo lui l’oggetto dell’adulazione maniacale, incontrollabile e irrazionale che è l’anima dello star system americano. Elvis non pretende di essere un adolescente pieno di energia arrivato dal Delta, ma deve ridimensionare l’ adulazione che hanno per lui, così come deve fare per il suo narcisismo e deve fare questo, per nessun’altro motivo se non quello di preservare la sua incolumità. La sua luce si riflette sul suo controllo; non si muove mai troppo velocemente e soprattutto non perde mai il controllo.”

Questo definisce molto bene non solo quello che Elvis faceva, ma perché il suo pubblico lo amava così teneramente e ancora lo ama.

Per il vero fan di Elvis, troppi albums live possono essere paragonabili alla eccessiva luce del sole per un amante della natura. Per quei fans, ogni concerto di Elvis afferma le loro speranze, i loro sogni, le loro passioni e li libera, non come fece il vecchio rock ‘n ‘roll, tuffando tutti i problemi nel ballo, ma li aiuta ad esprimere i sentimenti e le paure più profonde: certo “You Gave Me A Mountain” parla per Elvis, quando aveva perduto Priscilla, ma questa è solo metà della storia. L’altra metà è a nome di quanti cuori spezzati parla.

L’amarezza di “Stranger On My Own Town” esprime alcuni aspetti di quanto lo colpiva e lo feriva l’ allontanamento dalla sua città, persino quando tornava a casa. L’esasperante lettura dei versi di “Men With Broken Hearts” )un frammento della grande fatica spirituale che assorbì questa grande star, esattamente come Hank Williams, prima di lui), non riesce a mascherare il fatto che Elvis capiva questa musica dal suo interno, e la sentiva nel cuore e nelle ossa e usciva con il grande amore e l’intensità che Elvis metteva in ogni cosa.

Tutto questo mi fa ricordare non solo che Elvis era uno straordinario essere umano che ha vissuto una vita mitica, non solo che era una grande star, amata da milioni, non solo che Elvis aveva una grandissima voce. No mi racconta il peso più difficile da portare: Elvis era un artista.

Per capire questo l’unica cosa che dovete fare è ascoltare. Potete ascoltare questo o quello, potete ascoltare la musica che lo ha ispirato e liberato, ma potete ascoltarla e capirla molto meglio, se ascoltate Elvis Presley.

Le possibilità che si presentano sono che quello che ascoltare Elvis Presley ci riporta indietro nei luoghi dei nostri sogni, dei nostri amori e del nostro futuro. Questo sogno, questa libertà di immaginare un mondo migliore, mente la musica scorre, alle volte fa sentire quanto ci appartenga.
Fa capire che è il più grande regalo che ci è stato fatto da un artista del nostro tempo.
E noi l’abbiamo ricevuto per un motivo molto semplice:

Elvis cantava.

Fine
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  #10  
Vecchio 31-10-2007, 10:44
L'avatar di  Clint Reno
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Ottimo lavoro!!!!!!
Grazie!
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