DA LA STAMPA.IT 27/8/2007 - JERRY LEE LEWIS
Il pianoforte del Killer non lancia più fiamme
Mito del rock con Cash e Presley: una vita toccata da tragedie. Suonava come fosse indiavolato, a 72 anni torna sul palco quasi imbalsamato ANDREA SCANZI
Lo chiamano ancora The Killer, anche se ormai non fa paura neppure a se stesso. Vive in un ranch a Memphis, con la figlia e nove cani. Crede ancora di essere il migliore. Più di cinquant'anni fa, fondò il rock'n'roll negli studi della Sun Records, con Johnny Cash, Carl Perkins ed Elvis Presley. Dei quattro era il più peccatore, ed era una gara dura, ma per quegli strani paradossi è sopravvissuto a tutti.
Settantadue anni, Jerry Lee Lewis è tornato in Italia venti anni dopo i concerti di Roma e Milano. Lo ha fatto per il Summer Jamboree, letteralmente "Estate di Baldoria", il festival giunto alla ottava edizione con il Senigallia ricorda l'America dei Quaranta e Cinquanta. L'America del Killer.
Sale sul palco di Piazza Garibaldi a fatica, il passo incerto, camicia verde-Bossi e una vaga somiglianza con Rino Tommasi. Il tempo è passato, i fasti del Live at the Star Club lontani. Alle spalle ha quattro musicisti, pure loro attempati. Jerry Lee Lewis entra alle ventitre ed esce prima di mezzanotte. Neanche un'ora di concerto, dodici brani improvvisati - "Non ho mai rispettato una scaletta in vita mia" - conclusi con le celebri Great Balls of Fire e Whole Lotta Shakin Goin' On, immortalate all'unisono dai cellulari di un pubblico che andava dal quattordicenne rockabilly al settantenne nostalgico. Prima un brano veloce, poi uno lento, quasi a rifiatare. La voce, stanca, sembra quella dell'ultimo Cash, con la differenza che l'Uomo in Nero percorse i suoi ultimi anni con un produttore (Rick Rubin) che ne valorizzò il tramonto. Lewis no, lui sopravvive da solo: sembra un concerto postumo in vita, anche se non è così semplice. A guardarlo imbalsamato davanti a un piano che da giovane sapeva incendiare e violentare, devastandolo con gomiti e piedi, verrebbe quasi da compatirlo, eppure neanche un anno fa si è inventato un bel disco - vendutissimo - in cui tutti i suoi "figli", da Bruce Springsteen a Eric Clapton, lo hanno accompagnato. Il titolo dell'album è ovviamente tronfio e al tempo stesso pertinente, Last man standing, in linea con la sua vita. L'ego non è invecchiato, come pure gli ormoni: "Se Dio ha inventato qualcosa di migliore della donna, l'ha nascosta molto bene".
Due figli perduti, dipendenza da alcol e droga, malattie, carambole stradali con la Rolls Royce e l'uccisione - accidentale - con un colpo di pistola del suo bassista Butch Owens. In confronto a lui, Keith Richards è quasi un devoto della macrobiotica. Mai stato capace di gestirsi, The Killer. Nel 1958, quando era più famoso di qualsiasi altro musicista, Elvis compreso, sposò la cugina tredicenne di secondo grado: lo massacrarono, per certi aspetti non si rialzò più. Al cinema ha avuto il volto di Dennis Quaid, la cugina era Winona Rider e il film ha quasi vent'anni. Per l'opinione pubblica doveva essere una sorta di testamento, un tributo al grande dissipatore. E invece, a Senigallia, per un'ora JLL è tornato. A volte inseguiva col fiato corto la musica, altre sussurrava quasi. Poi, d'improvviso, poco prima che agli spettatori venisse l'umana tentazione di chiamarlo patetico, faceva gemere il piano con quel suono che ha inventato lui e - ancora - sa generare solo lui. Non erano più palle di fuoco, non era nè incendio né scuotimento: giusto una fiammella. Scorbutica, stizzita, crepuscolare. L'eco lontana di un'epoca aurea a cui Jerry Lee Lewis, suo malgrado e nonostante tutto, è sopravvissuto. Per raccontarla, finché ce n'è.