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Un pensiero per Elvis
Questa è una dedica che ho scritto alcuni giorni fa, spero vi piaccia (A dire il vero ho avuto delle esitazioni nel postarla, ma poi mi sono decisa)
Un caro saluto a tutti voi La tragedia che nessuno ascoltò. Il preannuncio di una morte che tutti ignorarono. C’era la tua vita in quegli occhi di zaffiro, malinconici e solitari. Una vita che troppi denigrano e calpestano, pur non avendone il diritto. Una vita da eroe, tanto straordinaria quanto infelice. Osasti nutrire dei sogni, da piccino, che realizzasti a caro prezzo. Eri un bimbo povero e timido, allora. E proprio tu, piccolo solitario, mi apparisti in sogno una notte ormai lontana. A passi svelti e col capo chino, calpestavi l’asfalto d’ una strada sconfinata, che correva nella campagna di una cittadina chiamata Tupelo. Estraesti una monetina d’argento dalle logore tasche dei calzoni e, stringendola tra le mani sudate come un tesoro inestimabile, iniziasti a scrutarla con occhi ardenti e loquaci (“Presto comprerò un regalo alla mia mamma” pensavi tra te e te). D’un tratto alzasti il timido sguardo e mi vedesti. Fu allora che, nell’azzurro dei tuoi occhi da bambino, io vidi la storia di un uomo amato da sempre. Vidi un ragazzo correre tra campi d’ambra e rugiada, scaldato da un sole morente. Un sorriso soave aveva, dei capelli corvini e un cuore colmo di gioia. Correva verso l’ignoto, perso nell’odore del grano e nella brezza d’estate. Una tempesta poi s’innalzò, d’improvviso, imperversando nel buio e oscurando il suo cammino. Smarrì così la strada, infreddolito e turbato da tuoni e lampi crudeli, che rombavano feroci. Gridava, invocando i suoi cari, ma non v’era risposta alle urla esasperate. Stanco e tremante, cadde a terra, con un tonfo che risuona nella mia anima. Giorni e notti disteso tra quelle spighe, invisibile, chiuso in se stesso, fin quando non si destò dal sonno inerte. Balzò in piedi, sperduto. Guardò in alto e più non vide il cielo della propria città, ma quello di una terra ignota e desolata. Una luce accecante lo colpì, una folla innumerevole lo avvistò, osannandolo con euforica isteria. “Eccolo laggiù”, urlarono a squarciagola. Lui se ne stette lì, a guardarli, inerme e solo, nel suo elegante completo nero. Da quel momento, per il resto della propria vita, non avrebbe fatto altro che aggrapparsi, con tenacia e dolore, ai retaggi del passato e ai sogni di ieri. Le urla della gente lo avrebbero accompagnato sino alla fine, ma lui questo non poteva saperlo, o anche solo pensarlo, non ancora. Voci, suoni, colori in quella moltitudine di anime che lo adorava come un dio. Le voci finalmente si assopirono, pian piano, e i colori si spensero, per poi dileguarsi e scomparire nel silenzio e nel buio. Quello fu l’inizio di una corsa che nessuno avrebbe potuto o voluto arrestare. L’ascesa alla cima più alta della montagna; ascesa che gioie, rinunce e ferite avrebbe inferto a quell’uomo, creatura d’ un mondo lontano. Una donna egli incontrò sul suo cammino. Quella donna, anch’ella, mirai nei tuoi occhi, ragazzino impacciato. La amò con tutto se stesso e poi la perdette, stupidamente, tristemente. Ella popolò le mille notti insonni, tormentate da incubi e spettri del passato e scandite dal fragore della folla, attenta e vigile. Egli visse una vita di paure. Paure di disilludere l’altrui amore, schiacciato dal peso di una fama inaspettata e insostenibile. Saliva sul palco, emergendo dal buio del retroscena nel suo splendore e nella sua divina perfezione. Madido di sudore e stanco, tanto stanco, rivolgeva lo sguardo al cielo, cercando un dio che non c’era. Io avrei voluto essere lì, lambire la sua gelida fronte, prenderlo per mano e condurlo in un luogo ove sarebbe stato felice, sì. Lo avrei voluto. Requie ha la mia ferita, però, quando lo credo gioioso e sereno nella Terra che non conosce addii. Chiudo gli occhi e vedo un palcoscenico vuoto, percepisco dei passi esitanti e… Eccolo lì, angelo favoloso, seduto al pianoforte. Non c’è nessuno nel teatro: soltanto lui. Suona la musica del suo Dio, che ha ritrovato, finalmente. Giunge poi una donna, con le mani screpolate dal freddo e il lavoro. E’ la sua mamma. Tra le braccia ella culla una bimba dagli occhioni azzurri. Ecco poi incedere una ragazza con i capelli d’inchiostro, che indossa un vestito bianco come la spuma del mare. Gli vanno tutte incontro, sfiorando la sua spalla e stringendolo a sé. Poi la bimba siede sulle sue ginocchia e scoppia in una dolce risata, tanto felice di aver ritrovato il suo caro papà. |
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Re: Un pensiero per Elvis
Brava Gladys, molto bella e sentita.
E' evidente il tuo amore per Elvis! |
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Re: Un pensiero per Elvis
capperi,da i brividi,brava!!!!
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Re: Un pensiero per Elvis
bella per davvero..
complimenti |
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Re: Un pensiero per Elvis
è stupenda!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Re: Un pensiero per Elvis
complimenti gladys!!!!
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