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Intervista A John Wilkinson
Intervista con John Wilkinson 10 Giugno 2006
E’ appena stato realizzato un nuovo libro di John Wilkinson e Nick Moretti : My Life Before, During and After Elvis Presley John Wilkinson è stato la chitarra ritmica di Elvis dal 1969 al 1977 ed insieme alla lead guitar James Burton – è stato l’unico, in tutto il periodo, a non essere mai mancato, partecipando a più di 1100 performances on stage con il Re. Ha avuto una lunga carriera nel business della musica, ed ha iniziato a suonare la chitarra quando aveva 5 anni. Ho parlato con John al telefono, dalla sua casa a SpringfieldMissouri. D. Ciao John, e grazie per dedicarmi il tuo tempo. Potremmo iniziare raccontando dove sei nato e cresciuto. JW: Sono nato a Washington DC il 3 Luglio 1945 e i miei genitori mi hanno adottato quando avevo 2 mesi. Ci siamo traferiti a Springfield Missouri non appena, mio padre ha finito il suo servizio nella marina, così sono rimasto qui dai due mesi fino a quando, a 18 anni, ho lasciato proprio questa casa qui a Springfield, giusto al centro degli Stati Uniti. D . Come sei entrato nel mondo della musica e quando hai iniziato a suonare la chitarra? JW: Ero circondato dalla musica. Springifield era, e lo è tuttora, un grande centro di musica country, e io ne ascoltavo parecchia alla radio locale. Mio padre cantava in chiesa. Era un basso, e anche un buon basso. In casa nostra,si ascoltava sempre musica classica ed opera. Per quanto riguarda la chitarra, i miei genitori non erano musicisti, mio padre sapeva suonare qualche accordo al piano e lo faceva per la chiesa. Il mio insegnante di musica, dalla scuola materna fino ai 12 anni, aveva una vecchia chitarra. Un paio di ragazzi, della classe superiore alla mia, suonavano e cantavano canzoni folk. Pensai che fosse divertente. Avevo visto molti spettacoli country sia in teatro che in tv e da lì ho considerato di suonare la chitarra. Ho chiesto al mio insegnante se potevo usare la sua vecchia chitarra. Avevo un po’ di infarinatura di pianoforte e ho trasportato i principali accordi sulla chitarra. Praticamente è così che ho iniziato, ad orecchio. D. Crescendo con tutta questa musica nella tua famiglia, Elvis ne aveva fatto parte? JW: Ai suoi inizi sì. La mia gente non riteneva che fosse un buon modello per me. Alcune foto lo mostravano, vestito con un giubbotto di pelle e alla guida di una moto, con i capelli lisci, pettinati all’indietro. Pensavano che fosse quel qualcosa che io non avrei mai dovuto essere. Quando iniziò a farsi un nome al Sud, c’era un altro cantante in voga che si chiamava Conway Twitty. Faceva una canzone dal titolo It’s Only Make Believe. Quella canzone veniva trasmessa alla radio e io ho sempre pensato fosse Elvis. Parliamo di quando Conway era un rock ‘n roller e non una star del country. C’era un altro ragazzo che si chiamava Ral Donner. Io ascoltavo le prime 40 radio della città, ma non c’era nessuno che mi piacesse tranne Ral, Conway ed Elvis. D. Allora com’ è stato che hai conosciuto Elvis quando avevi sono 11 anni? JW: Avevo visto in TV qualche clip di quando era al Lousiana Hayride e aveva una chitarra Martin D-18. Possedere una Martin era come avere il top delle chitarre acustiche. Così vidi questo ragazzo sul palco, che colpiva la sua chitarra. Tutti noi ragazzi che suonavamo, avremmo ucciso pur di avere una chitarra come quella. Sicuramente non l’avremmo trattata in quel modo. Trattarla in quel modo avrebbe offeso i miei sentimenti. Decisi che un giorno avrei conosciuto questo Hillbilly Cat e gli avrei detto. “Non puoi suonare una chitarra per distruggerla” Avevo 11 anni o 10, e lui era al secondo posto in classifica, dopo il cantante country Hank Show. Dovevano venire a Springfield (1956) per un concerto in città. Pensai: ecco la mia occasione! In quel fine settimana Elvis si esibiva di sabato e il miei genitori decisero di andare al lago. La radio informò che, quando Elvis sarebbe arrivato, avrebbe fatto una prova del suono nel pomeriggio. Così, appena arrivai con mia mamma e mio papà, presi una bici e andai a sentirlo. Salii le scale sul retro e iniziai a guardarlo. Andai nello spogliatoio guardando a desta e sinistra. Non c’era nessuno. Potevo ascoltare dal palco, c’era Hank Snow che faceva le sue prove. Poi, guardai dentro l’ultima stanza a sinistra, e lo vidi. Seduto su una sedia, dando la schiena e tenendo il piede sul tavolo. Da un lato aveva una borsa di burgers, e 6 confezioni di Coca o Pepsi nell’altra. Bussai alla porta. Si girò e dissi “Tu sei Elvis Presley” e lui “Lo so”. Pensai” Oddio io ho 10 anni e lui 20 ed è un cafone” Non era questo che volevo vedere! Ma mi invitò ad entrare, si alzò, e mi diede la mano. Mi prese una sedia e parlammo, per quasi un’ora. Mi chiese della mia famiglia, dove andavo a scuola, e tante altre cose. E poi arrivò la mia chance e dissi: Elvis, c’è un motivo che mi ha spinto qui ad incontrarti. Devo dirtelo, non puoi suonare la chitarra, per distruggerla”. Mi guardò con una smorfia e disse: “Pensi di poterla suonare meglio di me?”e io “Penso di sì”. C’era una vecchia Gibson J-45 appesa alla parete e gli chiesi di prestarmela. Presi un plettro che avevo portato e suonai qualcosa. Suonai un pezzetto di Foggy Mountain Breakdown , con un suono di banjo. E poi cantai un paio di vecchie canzoni popolari. Ad un certo punto, si sentì come il ruggito di un elefante, arrivare dalla hall, e sembra fossero due delle sue guardie del corpo, ma, quel giorno, io non sapevo chi fossero. Entrarono, mi guardarono e dissero: “Hey ragazzo, chi sei? Tu non c’entri qui” Elvis li guardò e disse “Ragazzi, solo un minuto. E’ un mio amico, si chiama John Wilkinson e mi ha appena dato lezioni di chitarra” Dissero che dovevo comunque andarmene. Quando mi diressi alla porta, Elvis mi richiamò indietro e mi diede un forte abbraccio, dicendo “Jonny, so che un giorno ci incontreremo ancora.” Risposi che lo speravo e gli augurai tanta fortuna per lo spettacolo di quella sera. Mi chiese se avessi i biglietti. Gli dissi di no e che i miei genitori ritenevano che non fosse il tipo di ragazzo da imitare, giudicandolo osceno e volgare. Rispose “Quindi anche tu pensi che sono osceno e volgare?” Risposi “Con me non sei stato niente di tutto questo, anzi sei stato molto carino”. Poi scesi e tornai a casa con la mia bici. D. Adesso, raccontaci della tua carriera. Da quel giorno fino al 1969 quando hai suonato con Elvis, che cosa hai fatto? JW: Ho iniziato, con un coinvolgimento totale, con la musica country, seguendo gruppi tipo The Kingston Trio, Peter, Paul and Mary, The Journeyme. Ho iniziato, suonando questo tipo di musica. Ho formato un gruppo folk, alla scuola superiore che si chiamava The Coachmen. Più avanti sono andato in California, dopo aver girato tutto il paese suonando in tutti i bar che riuscivo a trovare. Sono stato tirato dentro in qualche gruppo rock, che al tempo, bazzicava nei dintorni. Non amavo tutto di quella musica, ma solo qualcosa. Credo fosse verso il 1964. Ascoltavo ancora Elvis, perché compravo tutto quello che veniva messo in circolazione. A Los Angeles, mi stavo creando una buona reputazione come musicista da studio. Alla metà del 1968 – avevo incontrato Elvis di nuovo, ma questa è un’altra storia – Elvis aveva deciso di abbandonare il tipo di cinema, che il Colonnello lo aveva obbligato a fare. Voleva tornare sul palco. |
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Re: Intervista A John Wilkinson
D. Allora come si è arrivati al ’69. Sei stato contattato da James Burton, vero?
JW : Veramente è stato Elvis a contattarmi per primo. Mi aveva visto in una televisione locale di Los Angeles. Mi esibivo sempre in un programma, una specie di American Bandstand, in versione locale, diretta da un ragazzo che si chiamava Robert. W. Morgan, uno splendido DJ che sfortunatamente non c’è più. Elvis guardava questo show e mi sentì cantare e suonare. Un giorno ero nella mia casa, in California. Era un sabato pomeriggio e pioveva. La mia macchina era in offcina e bevevo una sangria mentre guardavo il vecchio Ozzie and Harriet, in bianco e nero. Tutti i miei amici sapevano che ero una fan di Elvis e qualche volta mi telefonavano e si spacciavano per lui, per prendermi in giro. Suonò il telefono, risposi e la sua voce disse: “Hey, John sono Elvis Presley” Io dissi: “Ah si” e riappesi. Quindi pensai, “Però, questo tipo mi ha dato una strana buona impressione” Il telefono suonò di nuovo, risposi e dissi “Sì” e lui rispose “Dannazione John, non mettermi giù il telefono di nuovo, sono Elvis, voglio parlare con te!” Gli spiegai che lo facevo con i miei amici, quando succedeva. E lui disse “Ti ricordi che tempo fa ti avevo detto che avrei lasciato il cinema e sarei tornato a cantare su un palco, dal vivo?” Mi raccontò che aveva formato una band, Jeams Burton alla prima chitarra, Jerry Scheff come bassista, Larry Mohoberac al piano, e Ronnie Tutt alla batteria. Mi chiese se li conoscevo e naturalmente risposi di sì. Mi disse che tutti si trovavano nella sua casa di Los Angeles e mi chiese se volevo raggiungerli e suonare con loro. Mi avrebbe mandato una macchina nel giro di 20 minuti. Così quella grande limousine nera si fermò sotto casa mia e i due ragazzi dissero che erano venuti a prendermi. Mi portarono nella casa di Elvis, dov’era con gli altri ragazzi. Abbiamo strimpellato insieme per 30/40 minuti. Noi suonavamo e lui cantava ed è stata un’esperienza meravigliosa. Alla fine di quella giornata, quando ormai eravamo stanchi, mentre me ne stanvo andando Elvis mi disse: “Hey Johnny. Ho un buco nella band, ho bisogno di una chitarra ritmica. Tu sei l’uomo giusto per coprire quel buco. Vuoi suonare?” Risposi che mi sarebbe piaciuto, ma io ero un chitarrista folk, non un rock ‘n roller. Mi disse che mi avrebbe pagato di più se avessi suonato per lui e fossi stato leale. Aggiunse: “Bene, adesso sei un chitarrista del rock ‘n roll?” ed io “Puoi scommetterci” Più tardi, James mi chiamò e gli chiesi se Elvis mi avesse offerto il lavoro e lui me lo confermò. James era felice che mi sarei unito al gruppo. Disse che saremmo stati una grande band. E fu così. Un po’ improvvisata, ma grande. D. Cosa ci dici della serata di apertura a Las Vegas nel ’69. Ci sono parole adeguate per descrivere quella notte? JW: La serata di apertura. Era pronto. Era nervoso, ma penso che fosse piùdi tutto in ansia. Si ricordava il 1956 quando il Colonnello lo mise al New Frontier Hotel. Vegas non era pronta per Elvis ed Elvis non era pronto per Vegas. Per cui, si chiedeva se la gente che veniva a vederlo era lì per deriderlo o per guardarlo con un perfomer serio. Noi gli dicemmo: “Non devi aver niente di che preoccuparti, ci siamo noi dietro a te.” Così quando, la prima sera, uscì sul palco, il pubblico impazzì, prima ancora che iniziasse a fare una sola nota. Era come essere appesi ad un filo elettrico. Vedere tutta quella gente, i suoi fans, che lo amavano ancora e amavano sentirlo cantare. E’ stata una serata magica, penso l’esperienza più bella che io abbia mai avuto. D. A parte James, tu sei stato l’unico musicista a non perdere neanche uno show. Ci sono altri spettacoli che ti sono impressi nella memoria. JW: Oh sì naturalmente, l’Aloha from Hawaii. Credo che quello sia stata la punta più alta della sua carriera. E’ stato uno show incredibile. Le prove generali, che oggi chiamano The Alternative Aloha, sono state così belle. Infatti, qualcuno le considera migliori dello spettacolo televisivo. Originariamente era stato programmato che fossero solo prove generali, per rassicurarsi che ogni cosa fosse al suo posto, il suono e tutto. Ma decisero di filmarlo lo stesso. D. Ci sono delle notizie di qualche anno fa, che lo spettacolo di prova generale fu anchetrasmesso live, ma solo alle Hawaii. Sai se è vero? JW : Non credo che l’abbiano fatto, è stato solo registrato. La sala era bloccata. C’erano 2000 fan che arrivarono da tutto il Giappone solo per vedere le prove generali. Elvis, stava bene, non era mai stato meglio. La sua voce era potente, e si dilettava con la musica. Si divertiva a stare sul palco e intrattenere i suoi fans. L’altro show in cui fu splendido fu quello filmato per il That’s The Way It Is (10 agosto 1970). Era magro, felice, abbronzato, eccitato. E lo si vedeva e sentiva nella sua musica. L’energia diffusa quella sera avrebbe caricato sei città attraverso l’Australia. Questi sono stati quelli veramente spettacolari. Anche quello del Madison Square Garden, perché, per lui, era veramente una buona occasione per conquistare New York. I newyorkesi, per tradizione, non sono persone calde. Qualcuno pensava che non gli sarebbe piaciuto. Ma sicuramente, è piaciuto a tutti. D. Quali erano le canzoni che preferivi suonare con Elvi, sul palco? JW: Mi sono sempre piaciute i suoi rock ‘n roll, come Teddy Bear, Mystery Train, Johnny B.Goode, All Shook Up. Ma mi piacevano anche quelle che richiedevano la grande orchestra, come Help Falling In Love, An American Trilogy, My Boy, My Way. E amavo anche quella di Perry Como It’s Impossibile. Veramente una canzone molto bella. D. Com’è andava quando faceva quegli scherzi, dove improvvisamente eseguiva qualcosa che non avevi mai fatto. Paura? JW: Il fatto è che n, a sua insaputa, provavamo quasi tutti i singoli pezzi che faceva. Non ne era al corrente e noi non glielo abbiamo mai detto. Ma non c’era canzone che avrebbe potuto fare, che noi non sapessimo. Avevamo studiato persino quelle che non aveva registrato prima. Lui aveva la reputazione e l’abitudine di fare scherzi, e noi adoravamo tirar fuori quello che lui chiamava Stump the Band (Libera la Band), Perciò, alle volte, si fermava a metà canzone e diceva: “Non voglio fare questa. Facciamo Broken Heart” o qualche altra cosa sconosciuta. Lo affascinava sempre. Diceva “Come fate a conoscere questa canzone?” e noi “Lo sai capo che noi siamo sempre pronti. Non puoi fregarci” D. Com’era lavorare con Elvis in studio? JW: Era sempre una cosa da notte intera. Se, ad esempio, la session iniziava alle sette del pomeriggio, lui non sarebbe arrivato fino alle 10. E dopo aver ascoltato le demo delle canzoni, e quando capitava, che volesse incidere quello che Felton Travis gli aveva portato, allora iniziavamo a suonarle. Se trovava una canzone che gli piaceva, la faceva e rifaceva fino a che diventava come la voleva lui. Talvolta, non uscivamo dallo studio prima delle 4 e della mattina dopo. Lui aveva sempre mille attenzioni per noi, c’era sempre da mangiare, così non saremmo morti di fame. Lavorava molto ed era un perfezionista. Non c’era mai una sola take di una canzone. Voleva fare parecchie takes e poi sceglieva la migliore. |
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Re: Intervista A John Wilkinson
D. Com’è stato registrare a Graceland nel ’76?
JW La Jungle Room Session? Meravigliosa? D. Fu l’unica volta che andasti a Graceland? JW: Oh no. C’erano volte che mi chiamava alle 3 di notte per dire: “Johnny, puoi prendere un aereo e venire a Memphis? Non ho nessuno con cui suonare” Tutti gli altri erano già tornati a Los Angeles. Ricordo queste occasioni perché non doveva esserci nessun altro intorno. Niente guardie del corpo, niente mogli, niente amici, niente di niente. Solo io e lui. Io prendevo la mia chitarra acustica e suonavamo e cantavamo, guardavamo vecchi films di John Wayne, correvamo in moto o facevamo altre cose. Quindi sono stato a Graceland tante volte. D. Nel corso degli anni, quando il declino di Elvis divenne evidente, cosa pensavi? JW: Tutti potevamo vedere che Elvis non stava assolutamente bene. Iniziò nel 1974. Non ricordo la data esatta, ma eravamo al College Park, Maryland. Camminava sul palco ed era terribilmente gonfio. I suoi occhi non vedevano bene. Aveva problemi a camminare e si dimenticava molte parole. Ricordo che guardai Kathy Westmoreland e dissi “Cosa succede?” e lei rispose: “Non so” Era evidente che, in quel momento, c’era qualcosa di serio che non andava, ma non sapevamo cosa. Una sera era così e la sera successiva ogni cosa era perfetta, stava perfettamente bene. Oggi, abbiamo capito che aveva moltissima ritenzione di liquidi. Chiedi a qualsiasi ragazza di oltre 12 anni e vedi che sa cos’è la ritenzione di liquidi, ti dice tutto. Eravamo molto preoccupati per lui. Infatti, molti di noi andarono a parlargli e gli dissero “Cosa ti succede?” Rispose “Non mi sento molto bene” Più avanti abbiamo scoperto che aveva un glaucoma, e non vedeva bene. E aveva un colon terribilmente attorcigliato, che alle volte non gli permetteva di andare in bagno per sei giorni consecutivi. Prendeva un sacco di medicine contro i dolori. Se le auto prescriveva oppure diceva al suo medico di dargliele. Quello di cui aveva veramente bisogno era aiuto reale, prendersi un po’ di riposo. Ma diceva: “Gente non posso farlo. I miei fans non me lo permettono” Gli dicevamo “Si, loro lo vogliono, loro lo capirebbero, ma non voleva vederla così. Noi dicevamo che il Colonnello gli faceva fare troppi spettacoli, e continuavamo a discutere, colpevolizzando il Colonnello. Lui diceva: “Non posso farlo, ho stretto la mano a quell’uomo quando avevo 19 anni e la mia stretta di mano vale come l’oro, ragazzi, voi lo sapete. Ma noi continuavamo a dirgli che i concerti lo stavano uccidendo, perché non riposava abbastanza. Così, già nel ’74 abbiamo visto, che non era in buone condizioni. Però, nessuno di noi l’avrebbe mai lasciato. D. Che opinione avevi del Colonnello? JW: Non c’è mai stato nessun amore perduto tra me e il Colonnello. Dò onore quando l’onore deve essere dato. Probabilmente, era l’uomo d’affari più astuto che io abbia mai incontrato, ma era anche il più disonesto e senza etica. Era un miserabile figlio di p…..a. Il braccio destro del Colonnello, Tom Diskin, avrebbe potuto prenderso il controllo della carriera di Elvis e penso che le cose sarebbero andate in modo piuttosto diverso. Ma il Colonnello era soprattutto un miserabile vecchio bastardo. Non mi piaceva, e io non piacevo a lui. D. Dov’eri quando hai saputo che era morto? JW: Eravamo sull’aereo che ci portava a Portland, Maine dove Elvis avrebbe dovuto esibirsi per aprire il nuovo tour. Avevamo lasciato Los Angeles e ci eravamo fermati a Las Vegas per prendere Joe Guercio e la sua orchestra. Ripartimmo. Eravamo proprio sopra Pueblo, Colorado e il pilota mise la intercomunicazione per dirci che dovevamo atterrate per fare carburante. Pensammo che era una cosa strana, visto che quell’ aereo non avrebbe mai fatto da costa a costa, senza provvedere ai rifornimenti. Comunque, atterrammo e ci aspettavano un paio di ufficiali. Salirono e chiesero di Mary Harrel che era il trombonista dell’orchestra. C’era una chiamata telefonica per lui. Pensammo che fosse successo qualcosa ai genitori di Marty o a sua sorella, cose del genere. Così, scendemmo dall’aereo, per sgranchirci le gambe. Eravamo tutti insieme in fondo alle scale, quando Marty tornò indietro. La testa bassa, ovviamente in grande angoscia. Disse “Venite tutti qui ragazzi, ho cattive notizie, è tutto finito. Elvis è morto questa mattina!” La nostra reazione fu “Cosa?, cosa vuoi dire. Elvis è morto?” Sai, Elvis non è morto. Ha potuto annullare alcuni spettacoli qual e là….. ma lui non è morto. Come puoi immaginare, l’umore sull’aereo era molto cupo, ognuno di noi piangeva perché non c’era nient’ altro che potessimo fare. D. La tua vita dopo Elvis, abbiamo saputo che hai avuto qualche problema di salute. Come stai oggi? JW: Sono ancora vivo. Ho avuto una paralisi il 5 aprile 1989. Ha paralizzato la mia parte sinistra. Non potrò, mai più, suonare la chitarra. Ma canto ancora e lo faccio per i molti fan club che ci sono in tutta l’Europa. A parte questo, sto veramente bene. D. E per quanto riguarda la tua via, ti sei fatto una famiglia nel corso degli anni? JW: Mi sono sposato nell’ 83. Mia moglie ed io viviamo della mia vecchia casa di famiglia a Springfield, Missouri. E’ molto bello, là. Sfortunatamente mia moglie non ha potuto avere figli, così non ho bambini, al limite nessuno da mantenere. Ma ho 4 figli a 4 zampe, i miei cani. D. Quando ti guardi indietro ai periodi del That’s The Way It Is, On Tour, Aloha così lontani e ti vedi tanto giovane, ti dà felicità oppure un tocco di tristezza? JW: Prevalentemente felicità. Abbiamo fatto parte della storia della musica. Mi ricorda i bei tempi, la musica, l’eccitazione e l’entusiasmo. Nel contempo, però, ogni volta, mi scendono le lacrime sapendo che avremmo potuto continuare, ma sfortunatamente non è stato così. Mi piace ancora molto, vedere Way It Is e l’On Tour e l’Aloha. D. Ci pensi che sono passati 40 anni dal Way It Is? JM: Non è affascinante? Qualche volta sembra che sia ieri. Infatti, la notte scorsa, ero seduto qui e guardavo That’s The Way It Is e me lo sono goduto cantandoci sopra e divertendomi moltissimo. D. Ultima cosa, hai niente da dire ai fans che ti leggono? JW: Sì che vivo per i fans di Elvis. In una delle mie ultime conversazioni con Elvis, mi disse: “Johnny, se non fosse stato per i fans, sarei stato un altro dannato cantatucolo e tu saresti seduto dietro a me a suonare Love Me Tender. Prenditi cura dei fans e i fans si prenderanno cura di te”. E’ vero, in tutto il mondo, nei luoghi dove sono stato, i fans sono terribili. Io considero i fans parte di una famiglia allargata. D. John, grazie ancora per aver parlato con noi. JW: Il piacere è stato mio, grazie |
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Re: Intervista A John Wilkinson
Complimenti Hurt .
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Re: Intervista A John Wilkinson
Thanks hurt!!!
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Re: Intervista A John Wilkinson
Grazie mille Hurt
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Re: Intervista A John Wilkinson
Thanks!!!
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Re: Intervista A John Wilkinson
grazie hurt
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