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Vecchio 17-12-2007, 20:54
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

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Grazie Gondar per il video con l'Ave Maria di Celine Dion. L'Ave Maria di Schubert rimarrà sempre bellissima..... e pensare che la Chiesa l'aveva bandita dalle cerimonie perchè Schubert era ateo....mah!!!

Mentre l'ascoltavo ho provato ad immaginare che la cantasse ELvis......... penso che l'avrebbe resa un gioiello ancora più bello!!
Hai ragione, Hurt. Elvis l'avrebbe resa un gioiello. E chissà quante volte avrà rinviato questa esecuzione. Sono certo che nella sua mente l'avrà avuta in programmazione. Per quanto riguarda Schubert, non so se "esternava" il suo ateismo. Una cosa è certa: tutti sanno che l'Ave Maria, la lode la più bella, è di Schubert. Una cosa così non può che nascere dal cuore, per una fede e bellezza immense. E allora? Gondar.
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  #2  
Vecchio 19-12-2007, 19:30
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

Questa seconda ed ultima parte di Elvis Presley bambino la voglio dedicare, come promesso, alla cara amica Wonderofyou per il compimento dei suoi anni.

(Si raccomanda di tenere sempre in funzione il clip di Celine Dion mentre si è intenti a leggere questa seconda ed ultima parte del racconto di Elvis bambino.)



Un giorno Elvis si trovava a giocare in giardino, in prossimità del confine con i vicini di casa. Non gli sarà passato inosservato qualche dialogo tra donne che, seppure con fare sommesso, potrebbero verosimilmente aver detto così di lui. Voce 1 “povero bambino, quanto soffrirà in cuor suo; voce 2 “perché, a chi appartiene questo bambino?”; voce 1 “sai, sua madre è una cugina dei Richards e suo padre è stato in galera”; voce 2 “uh, ma davvero? Povero piccolo, ma cos’ha fatto il padre per finire in carcere?”; voce 1 “non so esattamente cosa abbia commesso, ma sicuramente sarà un cattivo elemento, la classica pecora nera della famiglia, un delinquente insomma; poi secondo me sua madre non sarà da meno dato che non fa che picchiarlo, povero bimbo”; voce 2 “ma che ha fatto il padre, ha ammazzato qualcuno?”; voce 1 “non saprei, si dice che abbia, d’accordo con altri malviventi, derubato qualcuno,”; voce 2 “ma di dov’è questa gente, non mi sembra siano di questi parti”; voce 1 “pare che la famiglia di questo bimbo abitasse, lassù, sai, sopra l’autostrada, nella zona est del paese”; voce 2 “ah, questo spiega tutto, sono della zona malfamata di Tupelo. Adesso che ricordo, questa famiglia non è parente del pastore Gains?”; voce 1 “sì, proprio così, la mamma di questo bambino è proprio la nipote del pastore Gains”. Elvis si sarà trovato ad ascoltare ciò che queste donne stavano dicendo tra di loro e provò un senso di vergogna e di paura da farlo fuggire di corsa sul retro della casa. Rannicchiatosi in un angolo, si pose il capo tra le ginocchia e si mise a piangere disperatamente, non sapendo cos’altro fare. “Se tutte quelle brutte cose stanno accadendo”, pensava, “la colpa è solo mia, perché sono un monello e li faccio soffrire. Per questo non mi vogliono più bene”. Beh, forse il piccolo Elvis aveva innocentemente colto il problema dal suo punto di vista. Ma la causa principale del comportamento del padre che lo vide ristretto nelle carceri di Parchman Farm era stato lo stato di estremo bisogno e avrebbe fatto, come purtroppo fece, qualsiasi cosa pur di non far mancare un minimo di sostentamento ai suoi cari. Era inoltre ossessionato dal pensiero che potessero ammalarsi. Sua moglie Gladys e suo figlio Elvis erano tutto ciò che lui aveva al mondo ed era suo preciso dovere badare a loro. Ad ogni costo. Il povero papà Vernon doveva provvedere al mantenimento della famiglia con un lavoro assai precario e poco redditizio da cui doveva tirar fuori mensilmente la quota di quel maledetto mutuo, contratto proprio con il signor Bean che poi lo denunciò alle autorità del paese. Ecco le vere ragioni che portarono Vernon ad accordarsi con suo cognato e con quel tale di nome Gable a commettere quell’unica azione poco pulita della sua vita. Il piccolo Elvis pensava, invece, che fosse solo colpa sua. E fu in quella circostanza che maturò in lui l’idea di scappare di casa e decise di metterla in pratica. Senza farsi vedere dai suoi, la sera preparò due pezzi di pane, li racchiuse in un fagottino e lo nascose sotto il suo lettino. Quando fu sicuro che mamma e papà dormivano , si vestì in tutta fretta senza farsi vedere né sentire, raccolse il fagottino di carta da sotto il letto, aprì pian pianino la porta di casa, la chiuse alle spalle con molta cautela. Era adesso per la strada, inghiottito dal buio, quel buio di cui Elvis aveva tanta paura. Per fortuna c’era uno spicchio di luna che rischiarava un tantino la strada. Doveva assolutamente allontanarsi da quella casa. Non gli volevano più bene e non c’era nessuna ragione al mondo che lui restasse ancora con loro. Papà era cattivo , diceva fra sé, faceva male alle altre persone. E poi non lo portava più al fiume a pescare come faceva di solito, non giocava più con lui e qualche volta gli dava anche le botte. Questa era la prova che non gli volesse più bene. E neanche mamma gli voleva più bene. Lo sgridava spesso, non lo lasciava parlare e quando piangeva, anziché sentire le ragioni del suo pianto, lo batteva pure. Sì, proprio così, anche sua madre non gli voleva più bene. Non c’era davvero nessun motivo per restare a casa. Doveva cercarsi un’altra mamma, pensava con le lacrime agli occhi, e un altro papà che lo amassero per davvero. Non come loro che sono cattivi cattivi cattivi. E giù a piangere in quella notte stellata ma pungente di fine febbraio. Anche gli angeli lassù in cielo piansero quella notte.



Scartò il fagottino, tirò fuori un tozzo di pane e, per farsi coraggio, incominciò ad azzannarlo e a masticarne i relativi pezzi come lui sapeva ben fare. Aveva freddo, tanto tanto freddo. Ed i suoi denti battevano tanto gli uni sugli altri. Ad un tratto sentì alle sue spalle un rombo di un’auto in avvicinamento, scappò verso il ciglio della strada nascondendosi dietro un grosso albero. La macchina gli passò oltre e lui riprese a camminare lungo la strada senza sosta nella notte buia verso l’ignoto, piangendo, sempre piangendo e poi persino urlando alla luna, anch’essa mesta e malinconica, lassù. Poi un dubbio atroce lo assalì. Sì, egli stava andando alla ricerca di una nuova mamma e di un nuovo papà. E se poi questi, oltre a non volergli bene, gli facevano anche del male? In fondo, pensava, non avrebbe rappresentato nulla per loro. Cosa avrebbe potuto fare poi lui, così piccolo ed indifeso, per sottrarvisi? E giù a piangere a dirotto, a squarciagola con tutto il fiato che aveva in corpo. Ora incominciò a guardarsi indietro, nostalgico, si fermò al centro della strada nel tentativo di cogliere un movimento familiare. Ecco, qualcosa si muoveva in fondo alla strada. Vide in lontananza due grandi occhi illuminati che si avvicinavano e lui si mosse impaurito ancora una volta verso il marciapiede, vi salì, si nascose dietro un cespuglio e scrutò quelle due luci ormai vicine. Il rumore del motore, che gli era familiare, era quello prodotto dal camioncino di suo padre che si fermò all’altezza del cespuglio. Lo vide uscire dalla macchina e, guardando verso il cespuglio, si sentì chiamare “Elvis, ehi Elvis, ti ho visto. Avanti, vieni fuori, andiamo a casa”. Di slancio il bimbo si lanciò tra le braccia del padre che lo accolse con dolce ma severa tenerezza. “Andiamo a casa, figliolo. Mamma è in pena per te”. Durante il tragitto, Elvis, imbarazzato, come lo può essere un bimbo di quella età ed in simili circostanze, si mise a rosicchiare l’altro pezzo di pane, giusto per colmare quel vuoto prodotto dal silenzio che si era creato nell’abitacolo del camioncino. Mamma Gladys era sulla veranda della casa, ansiosa e tremolante ad attenderli, e quando vide scendere il suo piccolo, gli andò incontro, lo avvolse in una coperta e, con le lacrime agli occhi e con le braccia aperte, lo strinse a sé forte forte e gli sussurrò dicendo: “grazie al cielo sei qui, Elvis caro. Ti prego, anima mia, se non vuoi farmi morire di crepacuore, non farlo mai più, mai più. Devi promettermelo”. Elvis annuì con decisione. Dopo un po’ il padre ruppe l'incanto con una voce rotta dall’emozione: “Vieni qui, El. Adesso vieni qui da me”. Elvis, divincolatosi dal tenero abbraccio di sua madre e, intuendo le ragioni dell’esortazione di suo padre, gli andò incontro, si fece riporre sulle sue ginocchia e si lasciò sculacciare senza emettere un solo grido. Finita la punizione che altro non era che una carezza, Elvis volle che il suo papà lo prendesse in braccio. Appena sollevato, gli baciò con trasporto più volte la guancia, ormai convinto che mamma e papà non avevano mai smesso, neanche per un solo istante, di volergli bene. Ora potevano tutti e tre finalmente andare a letto. E, recitata per la seconda volta la preghiera della sera assieme alla madre, si addormentò. Felice di essere ancora a casa. Intanto, là fuori, la luna si fece più splendente e le stelle più brillanti. Quel piccolo smarrito soldino di cacio aveva ritrovato la strada di casa. Ora anche loro, lassù, erano più tranquille. (Fine seconda ed ultima parte di Elvis bambino).

Felice Natale, amici miei. Con tutto il cuore.

Gondar.

Ultima Modifica di Gondar : 01-02-2008 18:51
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  #3  
Vecchio 20-12-2007, 00:35
perlanera perlanera Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

ANCHE A TE CARO GONDAR, AUGURI DI CUORE...
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  #4  
Vecchio 20-12-2007, 12:23
deliziosa deliziosa Non in Linea
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Appena sollevato, gli baciò con trasporto più volte la guancia, ormai convinto che mamma e papà non avevano mai smesso, neanche per un solo istante, di volergli bene. Ora potevano tutti e tre finalmente andare a letto. E, recitata per la seconda volta la preghiera della sera assieme alla madre, si addormentò. Felice di essere ancora a casa. (Fine seconda ed ultima parte di Elvis bambino).

Felice Natale, amici miei. Con tutto il cuore.

Gondar.

Mamma mia che apprensione e che ansia!!! Poveri mamma e papà e soprattutto povero Elvisino...così angosciato e triste...
Certo...un abbraccio davvero commuovente...
Se Elvis è stato così unico...certamente è stato anche merito della sua cara mamma e del suo caro papà!!!

Buon Natale anche a te, caro Gondar...auguri di tanta serenità e felicità!!!!
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  #5  
Vecchio 01-01-2008, 10:00
Gondar Gondar Non in Linea
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Mamma mia che apprensione e che ansia!!! Poveri mamma e papà e soprattutto povero Elvisino...così angosciato e triste...
Certo...un abbraccio davvero commuovente...
Se Elvis è stato così unico...certamente è stato anche merito della sua cara mamma e del suo caro papà!!!

Buon Natale anche a te, caro Gondar...auguri di tanta serenità e felicità!!!!
Essere sulla stessa frequenza d'onda è cosa davvero indispensabile per meglio comprendere l'animo di Elvis Presley. E tu, cara Deliziosa, non solo sei sulla stessa frequenza, ma ne fai addirittura parte. Elvis ti sarà grato. Di lassù. Gondar.
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  #6  
Vecchio 04-01-2008, 21:20
Gondar Gondar Non in Linea
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

Il mio primo grande amore.

Abbiamo appena assistito allo sbocciare del primo amore di una coppia di giovani in quella parte del sud est degli Stati Uniti, precisamente a Memphis, nel Tennessee quando si era nell’A.D. 1954. Siccome, però, nella prima parte di questo racconto mi sono proposto di creare l’atmosfera ideale per raccontare l’impatto psicologico di un fan (che in questo caso sarebbe il redigente di queste pagine) dislocato a migliaia di chilometri da quel luogo, dall’altra parte dell’Atlantico, cioè in Europa, precisamente nella bassa Italia ed ancora più precisamente in un paesino della Puglia il cui nomignolo è Apulco, allorquando si imbattè, seppure mediaticamente, nell’extraterrestre Elvis Presley. L’organizzazione mentale di tale atmosfera è indispensabile per meglio definire i paralleli di vita vissuta. Pertanto, sebbene rischiassi di dare l’impressione di essere in ritardo rispetto agli avvenimenti del 1954, debbo riportarmi, per forza di cose, a qualche anno più tardi e precisamente negli anni tra il 1955 e il 1956, quando, all’età di 11 - 12 anni, provai la mia prima sofferenza d’amore verso l’altro sesso , anche se in un modo di gran lunga diverso da quello di Elvis. Vediamo, quindi, perchè. Frequentavo la prima media presso un istituto distante circa sei chilometri da Apulco. Proveniente dalle scuole elementari, ove c’era un insegnante unico per tutte le materie, mi ritrovai in una scuola ove c’erano diversi docenti ciascuno dei quali insegnava una o al massimo due materie diverse. Per la prima volta mi ritrovai in una classe promiscua composta quindi di maschi e femmine. Sin da piccolo sono stato un romantico timidone e non mancava occasione, mio malgrado, di diventare rosso come un peperone ogni qualvolta venivo a trovarmi in imbarazzo. Uno di questi insegnanti era la Prof Maria Cimino, insegnante di lettere e storia. Era una donna sulla trentina, esile, dal portamento soave, un faccino simpatico e sorridente, dai modi signorili e da un incedere elegante. Insomma era di una dolcezza infinita. Quotidianamente, ad eccezione del mercoledì, avevamo una o due ore di lezioni impartite da lei. In un religioso silenzio che si veniva a creare quando c’era lei, emergeva deliziosa la sua vocina melodica, tranquilla e delicata mentre ci commentava, ad esempio, l’opera omerica “L’Iliade” dopo che ci faceva leggere a turno le varie strofe. Io mi sentivo cullato dalla sua voce vibrante e carezzevole, a volte sommessa o sussurrata, a volte squillante mentre sognavo di essere Achille. Ogni giorno ne rimanevo affascinato dal suo charme, dal suo metodo di insegnamento, per la sua chiarezza espositiva, tanto da considerare le sue materie le mie preferite. Quando arrivava il mio turno di lettura, riuscivo, senza rendermene conto, a modulare il modo di declamare i relativi versi da stupirmi io stesso. Senza contare poi gli scimmiottamenti che dovevo sopportare da parte dei miei compagni di classe, una volta fuori dalla scuola. Ma a me poco importava. Senza saperlo, mi stavo facendo coinvolgere da un non so che di speciale che quella angelica creatura riusciva a infondermi. Debbo confessare, ma con l’ovvio senno del dopo, che, rivedendo le fotografie dell’epoca, la Cimino non era affatto una bella donna. Anzi era piuttosto bruttina, ma ai miei occhi di fanciullo, ella era il sole le stelle la luna tutto il firmamento. Era insomma un angelo. E finii per innamorarmi perdutamente di quella figura celestiale. Ma avevo io l'età, mi chiedevo, di innamorarmi, per giunta, della mia insegnante?



Anche se qualche anno più tardi dovetti convenire che il mio era un amore decisamente platonico e che lei stette al gioco solo perché rientravo nella casistica. Nel frattempo avvertivo una incontrollabile agitazione per tutto il mio essere senza capire cosa fosse. Dovetti realizzare che di quella presenza io non potevo fare assolutamente a meno. Tutto ciò mi portò pertanto a considerare che non potevo permettermi di fare brutte figure, specie ai suoi occhi, quando mi interrogava. Per questo motivo, ero sempre preparato, e tutte le volte che la Prof chiedeva chi voleva essere interrogato, io ero sempre quello che alzava la mano per primo. Finii per diventare davvero bravo in italiano. Non lo ero ahimè altrettanto nelle altre materie specie la matematica. La ragione era da ricercare, com’è ovvio, nel fatto che non dedicavo molto tempo alle altre discipline quanto a quelle della Cimino. I miei straordinari colloqui con lei avvenivano esclusivamente per via telepatica specie quando avevamo un compito in classe di italiano. Che solitamente prendeva l’intera mattinata. Immagino già che mi chiediate amici cari e fedeli lettori cosa mai potesse avvenire in quelle ore. Beh, per il mio modo di vedere, succedeva davvero di tutto. Infatti, mentre tutti gli altri compagni di classe si concentravano su quel foglio di protocollo, io restavo lì ad inseguirla con il cuore e con la mente, ad osservarla con estasi, a cogliere ogni espressione del suo viso, ogni gesto, ogni movimento delle sue labbra per berne il contenuto. E quando i suoi occhi si posavano su di me, venivo letteralmente investito da un qualcosa di molto simile ad una scossa elettrica che mi costringeva ad abbassare lo sguardo, mentre diventavo rosso in viso come un pomodoro maturo. Fino a quando lei si alzava, gironzolava tra i banchi e quando si trovava nei pressi del mio, io ne avvertivo il profumo, persino il respiro per poi poterne ammirare il suo incedere sensuale ed irresistibile. E il mio cuore si trasformava in un martello pneumatico quando casualmente capitava che mi sfiorasse il gomito al suo passaggio. Dio mio, mi chiedevo, possibile che tutto questo stia succedendo proprio a me? E i battiti del mio cuore diventavano così violenti da avere il timore che mi forassero il petto. Poi, lei ritornava a sedersi scivolando con grazia, dietro la cattedra, regalandomi un sorriso da Monna Lisa. E cominciava la “conversazione” telepatica. Con la mente le parlavo, la supplicavo, la imploravo stando seduto lì, in mezzo a tante facce di cera che oramai non erano altro che fantasmi; non avevano per la mia psiche né lineamenti nè vita. Qualcosa mi induceva a credere che lei colloquiasse con me. Che il suo pensiero mi dicesse delle cose. O per lo meno avevo la sensazione che lei mi trasmettesse impulsi di cui riuscivo a coglierne l’essenza. Ebbi l’impressione che tra di noi si fosse stabilita una formidabile intesa. Intanto si era giunti all’ultima ora e il mio foglio di protocollo era ancora bianco. Senza farmi prendere dal panico, rileggevo più volte la traccia (anche se qualche idea me la ero già fatta durante la sua trascrizione) e, riuscito a configurarne lo sviluppo, ci mettevo poco, anzi meno di poco a completarlo. E qualche volta mi capitava di consegnarlo direttamente in bella copia. Non so come, non so perché, riuscivo comunque tutte le volte a fare un compito mediocre a cui mi veniva dato sistematicamente un sei o un sei e mezzo che io sapevo di non meritare affatto. Una volta mi mise otto, e volle che lo leggessi addirittura in classe, con mia grande sorpresa ma anche con malcelato imbarazzo. Intanto i giorni passavano e non erano mai abbastanza lunghi per il mio spasmodico desiderio di lei. Ma lo strano era che non divenne mai un’abitudine. Anzi. Ogni giorno era come se fosse la prima volta. Col passar dei giorni e dei mesi diventai più temerario. Quasi tutte le mattine, prima che lei giungesse in classe, senza farmi accorgere da nessuno, inserivo una dedica, una poesia, una riflessione dedicate a lei scritta su un foglio di carta che ponevo, senza farmi notare dai compagni di classe all’interno del sottomano. Non m’importava un accidente delle conseguenze. Lo volevo fare e basta. Certo, quando osai la prima volta, per me fu sconvolgente dato che dovetti seguire in diretta il ritrovamento della mia prima poesia. Sapevo che la Prof tutte le mattine, una volta sedutasi, apriva il sottomano per prendere un foglio su cui scriveva alcuni appunti. Quella mattina fece esattamente quello che ho appena descritto. Entrò in classe, il capoclasse bum bum bum diede il “ritti”, lei si diresse verso la cattedra e nell’attimo bum bum bum di sedersi fece cenno al capoclasse di farci sedere. Subito dopo la Prof bum bum bum alzò la cartella bum bum bum bum strinse le palpebre, si aggiustò bum bum bum le lenti mentre puntava qualcosa sotto la cartella bum bum bum mosse il capo bum bum bum trasversalmente, tirò bum bum bum il foglio bum bum bum fuori dalla cartella, lo sollevò a mezz’aria bum bum bum e incominciò a scrutarne il contenuto bum bum bum. Il mio povero cuore era ormai impazzito.



Il suo viso rimase senza espressione per tutto il tempo. Né disse una sola parola. Poi, improvvisamente, il mio cuore mi sembrò che si fosse fermato dal momento che non avvertivo più i battiti, mentre ero lì ad osservarla – un cencio doveva essere il mio viso - in attesa della sentenza. Terminata la tacita lettura, accennò semplicemente ad un sorriso e ripose il foglio nella cartella. Non successe nulla. Tranne che a me. Ero allucinato e del tutto svuotato. Quella mattina, ricordo, non proferii una sola parola tanto che il mio compagno di banco dovette chiedermi se stavo bene. Stetti nel frattempo attento a seguire le mosse della Cimino prima che lei lasciasse la classe. Finalmente, a fine lezione, prese il foglio dalla cartella, lo infilò con nonchalance nella sua borsetta ed uscì. Solo allora mi risvegliai dal mio torpore e mi chiesi cosa sarebbe successo l’indomani. (continua). Gondar.

Ultima Modifica di Gondar : 19-01-2008 14:10
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  #7  
Vecchio 07-01-2008, 19:47
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Il mio primo grande amore.


Ciao di nuovo caro Gondar...come sempre hai il dono di incantare chi legge ciò che scrivi...che tenera questa storia!!! La tua prima cotta!!! Wow mica male per un ragazzino!!! Fin da piccolo era evidente quanto fossi romantico e sentimentale...complimenti!
Certo che la Prof Maria Cimino è stata proprio fortunata!!! Penso che sia bello sapere che sentimenti così puri e profondi provengano da un cuore di un fanciullo...io ne sarei lusingata e al tempo stesso intenerita...
Poi Gondarino...alla fine la tua poesia l'ha conservata nella sua borsetta...quindi l'avrà più che gradita!!!
Ti stiamo facendo troppi complimenti? Ma caro Gondar...tutto ciò che racconti è molto bello e coinvolgente!!! Soprattutto perché tutti i tuoi racconti sono ricchi di emozioni...non ti fermare mai Gondar!!! Ciao!!!
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  #8  
Vecchio 07-01-2008, 22:40
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Ge729 Re: Elvis Presley: l’Extra Terrestre

Il mio primo grande amore.
(Parte 2^)

L’indomani non successe nulla. E neanche il giorno successivo. Neppure nei giorni e nelle settimane a venire. Un paio di cosette mi confortarono. Una era che nessuno seppe mai niente e l’altra era che la Prof fece sempre finta di nulla, né cercò in alcun modo di avvicinarmi. Si comportò come si era sempre comportata. Cioè con deferente indifferenza, come se non avesse mai letta quella poesia anche se in sostanza era una dichiarazione d’amore. E questo mi fece un gran male al cuore. Ma non disperai, sebbene furono tante le notti che non riuscii a chiudere occhio pensando a quella creatura troppo avanti negli anni rispetto a me. E quando dormivo, varie sono state le volte che l’ho sognata in atteggiamenti intimi ma mai osceni. Voglio dire che sognavo che mi accarezzava i capelli, con dolcezza, e che mi baciava sulla bocca, teneramente, come avevo molte volte visto fare in numerosi film.



E fu proprio con l’immagine di lei che scoprii il sesso, che incominciai ad esaminare a fondo i cambiamenti del mio corpo, soffermandomi su alcune parti sino ad allora ritenute proibite. In casa non si era mai parlato di sesso, in quanto era considerato vergogna, oscenità. Era insomma tabù. Ma penso che ancora oggi sia ancora un po’ così, almeno dalle mie parti. Sono, perciò, cose che finisci per scoprirle piano piano, e quando sei in luoghi appartati con amici, quasi per gioco. Fino a quando, incuriosito dal sentito dire, finisci per scoprirlo da te quando sei in totale solitudine, in compagnia dell’oggetto del tuo desiderio. Ed è in quella solitudine che scopri l’America . E ti rendi conto quanto importante e stupenda possa essere da quel momento in poi la tua esistenza. Solo che hai bisogno di tempo, di più tempo per capire a pieno che quella meravigliosa condizione puoi condividerla con un’altra persona, già, con una donna, ma non con una qualsiasi, bensì con una compagna ideale che ti aiuti a toccare il cielo con un dito. Bene, ci conviene adesso uscire da queste divagazioni anche se divagazioni non sono in quanto sono alla base della continuità della specie umana. Diamo quindi una strizzatina alle palpebre della mente e poggiamo i nostri piedi ben saldi per terra. In quella scuola ubicata a sei chilometri da Apulco. Questo mio soffermarmi sulla Prof, i cui sentimenti li ho sempre tenuti per me e mai raccontato ad alcuno, perdurò per tutte le vacanze estive. Le quali furono ben diverse dalle precedenti, nel senso che incominciai a guardarmi attorno con una nuova vitalità e ad interessarmi non tanto ai giochi con gli amici del rione, quanto alle mie coetanee, delle quali incominciai ad apprezzarne forme e rotondità. Congelando, incomprensibilmente, il mio interesse per la Prof. Con la rinascita della mia nuova condizione, cominciai a notare i miei profondi cambiamenti organici, estetici e psicologici direttamente proporzionati ai turbamenti che provavo alla vista di zone sensibili femminili appena esposte che, per tramandato pudore, dovevano invece rimanere assolutamente coperte. Per ovvi motivi voglio sorvolare sui cambiamenti organici anche perché sono stati già trattati, seppure marginalmente. Per quanto attiene l’estetica, debbo confessare che prima di allora dipendevo in linea di massima dalla volontà di mia madre, nel senso che mi obbligava quando e come dovevo lavarmi nonché quando e come dovevo vestirmi. Incominciai ad essere più esigente verso me stesso nel senso che ebbi più cura della mia persona, anche se questo significò dare delle imbarazzanti spiegazioni alla mia genitrice che, per fortuna, accondiscese con comprensione alle mie richieste. Mi lavavo pertanto più spesso rispetto a prima, anche se questo mi comportò più faticosi pendolarismi alla non proprio vicina fontanella. Il corteggiamento è il passo successivo a questo nuovo stato di cose.



E questo avveniva di domenica e nei giorni festivi. Lo si attuava passeggiando avanti e indietro, di solito con un amico più o meno fisso, lungo la strada principale della cittadina che nei predetti giorni veniva interdetta all’uso dei mezzi di trasporto. A questo proposito, debbo dire che per mezzi di trasporto nel 1956-58 si intendono autobus, macchine per trasporto di più persone ma anche traini agricoli trasportati da muli, carretti a mano e quant’altro. Si adocchiavano, quindi, un paio di ragazzine assolutamente piacenti, stabilita a priori la reciproca selezione, e via ad inseguirle modulandoci con il loro stesso passo. Il mio amico ed io ci sorprendevamo ogni volta di più circa le nostre capacità di aggancio discutendo stando dietro di loro, con un timbro di voce tale da essere uditi, di varie banalità tutte mirate alla conquista della rispettiva “Venere”. Soffermiamoci su uno dei tanti approcci e di cui ho ancora viva memoria, anche se riferito a qualche episodio accaduto qualche anno più tardi nelle medesime circostanze. I retro dialoghi furono più o meno questi: “Hai visto Nicola, che le abbiamo ritrovate queste due bambole? Te lo dicevo io di non disperare”. “Si Gondar, in effetti, ero piuttosto pessimista, ma ora, ringraziando il cielo, sono qui davanti a noi”. “Che sogno di ragazze, potevi mai sperare di più?”. “Pensa te, stavo per dirti di tornarcene a casa, tanto la serata poteva considerarsi conclusa. Meno male che mi hai convinto a restare”. “Senti Nicola, loro sanno i nostri nomi, ma tu hai idea come si possano chiamare?”. “Io penso sia sufficiente chiederglielo. Non ci sarebbe alcun male se ci dicessero come si chiamano. Almeno questa notte, al momento di addormentarci, potremo pensare a loro chiamandole per nome”. “E’ un’ottima osservazione, Nicola, sarebbe bello. Pensa, sarebbe ancora più bello poterci addormentare immaginando che anche loro si addormentassero con i nostri nomi. Non sarebbe fantastico?”. “Allora, gentili fanciulle, ci dite, vi prego, i vostri nomi? Io mi chiamo Gondar ed il mio amico si chiama Nicola”. Dopo un breve concitato dialogo sottovoce tra le due, finalmente la prima ci accontentò dicendo “Io sono Maria”. “Io sono Rosalba” le fece eco l’altra. Rotto il ghiaccio, ci affiancammo, felici, ai rispettivi lati e giù a parlare, a dire, a discorrere, ad esporre, a conversare, a cincischiare, a concionare. Tutto questo, nella lingua italiana o pseudo tale appena appresa tra i banchi di scuola. Debbo dire che questa lingua ancora “sconosciuta” faceva presa, addomesticava, affascinava, ammaliava, incantava, confondeva. Insomma era come quell’apriti Sesamo dei famosi quaranta ladroni. Funzionava. Ed il bello è che le parole uscivano dalle nostre labbra come un fiume in piena, in giusta sintonia con il ritmo forsennato del battito cardiaco che lavorava a più non posso. Intanto l’estate stava finendo e l’apertura delle scuole era ormai prossima. E l’incontro con il mitico personaggio Elvis Presley era anch’egli sulla soglia dei miei occhi. (continua)

Gondar.

Ultima Modifica di Gondar : 14-01-2008 09:58
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  #9  
Vecchio 07-01-2008, 17:05
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Essere sulla stessa frequenza d'onda è cosa davvero indispensabile per meglio comprendere l'animo di Elvis Presley. E tu, cara Deliziosa, non solo sei sulla stessa frequenza, ma ne fai addirittura parte. Elvis ti sarà grato. Di lassù. Gondar.


Carissimo Gondar...che tu sia Benedetto!!! Perdonami soltanto adesso ho letto la tua troppo ma troppo generoso pensiero nei miei confronti...ciò che hai scritto non solo è tropo bello ma troppo importante che non sento di meritare...davvero!!! Ma non ti nascondo...che sono tanto commossa per aver letto queste bellissime parole...Elvis è davvero speciale...per tutti noi...lo amiamo da morire e in qualche modo riusciamo ad immaginarci cosa avrebbe potuto provare nel suo tanto buono e generoso cuore...da lassù immagino che sia grato soprattutto a te che hai un cuore tanto simile al suo riuscendo per questo a cogliere tutti i momenti più importanti della sua vita e a raccontarceli con tanta passione e amore...regalandoci ogni giorno mille emozioni...Grazie Gondar!!! Grazie per ciò che hai scritto...te ne sono riconoscente...ma ti ripeto è troppo per me...Grazie per tutto ciò che scrivi...quando tu ci racconti Elvis... lo sentiamo tutti più vicino!!! Grazie di cuore Gondar!!!
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  #10  
Vecchio 07-01-2008, 19:00
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Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

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deliziosa Visualizza Messaggio
Carissimo Gondar...che tu sia Benedetto!!! Perdonami soltanto adesso ho letto la tua troppo ma troppo generoso pensiero nei miei confronti...ciò che hai scritto non solo è tropo bello ma troppo importante che non sento di meritare...davvero!!! Ma non ti nascondo...che sono tanto commossa per aver letto queste bellissime parole...Elvis è davvero speciale...per tutti noi...lo amiamo da morire e in qualche modo riusciamo ad immaginarci cosa avrebbe potuto provare nel suo tanto buono e generoso cuore...da lassù immagino che sia grato soprattutto a te che hai un cuore tanto simile al suo riuscendo per questo a cogliere tutti i momenti più importanti della sua vita e a raccontarceli con tanta passione e amore...regalandoci ogni giorno mille emozioni...Grazie Gondar!!! Grazie per ciò che hai scritto...te ne sono riconoscente...ma ti ripeto è troppo per me...Grazie per tutto ciò che scrivi...quando tu ci racconti Elvis... lo sentiamo tutti più vicino!!! Grazie di cuore Gondar!!!
Non avrai letto a tempo dovuto la mia replica, ma in compenso l'hanno letta gli altri amici del Forum, cara deliziosissima Deliziosa. Quando ciascuno di noi scrive, è come se scrivesse o rispondesse a tutti i cuori sensibili. Sono dei messaggi che vengono recipiti da tante "Deliziosa" come te. Tuttavia, ti sono ancora una volta debitore per le tue accorate espressioni, anche a nome della platea elvisiana. Gondar.
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  #11  
Vecchio 07-01-2008, 19:11
deliziosa deliziosa Non in Linea
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Messaggi: 1.290
Predefinito Re: Elvis: l’Extra Terrestre

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Gondar Visualizza Messaggio
Non avrai letto a tempo dovuto la mia replica, ma in compenso l'hanno letta gli altri amici del Forum, cara deliziosissima Deliziosa. Quando ciascuno di noi scrive, è come se scrivesse o rispondesse a tutti i cuori sensibili. Sono dei messaggi che vengono recipiti da tante "Deliziosa" come te. Tuttavia, ti sono ancora una volta debitore per le tue accorate espressioni, anche a nome della platea elvisiana. Gondar.


NON SO COME INGRANDIRLO!!!
TU LO HAI GRANDE
GRANDISSIMO!!!
GRAZIE!!!
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